La prima vera risata, spassosa e liberatoria, a Venezia la strappano due argentini, Gastón Duprat e Mariano Cohn: portano in concorso alla Mostra il loro Competencia Oficial [in italiano Finale a sorpresa], scoppiettante commedia sui vizi e le fragilità – che spesso coincidono – delle star.
Il tris di protagonisti non poteva essere più blasonato, per una pellicola girata in spagnolo. Penélope Cruz, vera grande star prestata dalla Spagna a Hollywood, che le ha dato anche l’Oscar. Antonio Banderas, che all’Oscar non è arrivato ma vanta comunque una nomination oltre a una vittoria a Cannes. E Oscar Martínez, gigante del teatro argentino che proprio a Venezia vinse la Coppa Volpi come miglior attore cinque anni fa.
Finale a sorpresa: il cinema ride di se stesso e delle sue dinamiche
Il detonatore è un miliardario dell’industria farmaceutica che, arrivato a ottant’anni, cerca nuove e faraoniche strade di prestigio sociale. Decide di produrre un film, e di farlo in grande stile: nei titoli di testa devono esserci solo i migliori. Dietro la macchina da presa chiama la visionaria Lola Cuevas (Cruz), idolatrata regista a cavallo fra genio e follia. A interpretare i fratelli protagonisti della pellicola, invece, due stelle molto diverse fra loro: l’impegnato Iván Torres (Martínez), più votato alla missione teatrale che alla fama cinematografica, e Félix Rivero (Banderas), superstar internazionale.
Lola è ossessiva e porta sul set metodi estremi. Ma la sua vena di pazzia si rivela esplosiva quando si scontra con le piccole fissazioni e con i vezzi dei suoi attori, due primedonne. Iván è snob: il successo della sua arte non passa dal box office. Félix è vanesio, fatuo, un narciso innamorato della sua celebrità. Lo scontro fra gli ego spropositati dei due co-protagonisti farà scintille.
La comicità di Duprat e Cohn, che hanno co-sceneggiato il film con il fratello maggiore di Duprat (Andrés, che attualmente dirige il Museo Nazionale delle Belle Arti di Buenos Aires), è franca e diretta: punge e fa a pezzi la vanagloria dei protagonisti di un sistema in cui l’amore per se stessi può diventare doloroso. Valgo perché sono amato? Sono amato perché ho talento?
Il gioco che distrugge l’immagine dei divi si ripete, ma non stanca: Finale a sorpresa non è mai fiacco. La commedia dell’assurdo cresce e si gonfia fino a esplodere con una virata inattesa. È in questo modo che evita di mostrare la corda.
Manie, capricci, piccole fobie si inseguono, cozzano, sono frecce che feriscono portando con sé vendette meschine. Su cui il modus operandi della regista butta benzina. Da antologia la scena in cui chiede alle sue due star di portare sul set una selezione di dorature e Félix, tronfio, strafà esibendo due Golden Globe, la Conchiglia d’argento del Festival di San Sebastián e la Coppa Volpi vinta alla Mostra di Venezia, oltre a una selezione dei Goya (il massimo riconoscimento del cinema spagnolo) vinti negli anni.
Duprat e Cohn riescono così a ritrarre la ferocia dei meccanismi che regolano la vita dei divi e il rapporto col loro pubblico ironizzando con verve caustica ma autentica, perché dietro gli eccessi si intravede la verità della sofferenza: quella di chi cerca conferme all’esterno (Félix, che all’infilata di premi abbina quella di donne) o quella di chi con il giudizio altrui rifiuta di scendere a compromessi. Perché ne ha paura?
Come spesso accade – e non solo nel cinema – gli ego più grandi sono anche quelli più delicati e instabili.
In stato di grazia il trio degli interpreti, con una Cruz deliziosamente maniacale, Martínez dai tempi comici perfetti anche quando resta di ghiaccio e Banderas che disegna una caricatura di se stesso.
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