“You can be my wingman.”
È facilmente questa la battuta che tutti i fan in coda al comic-con scelgono di avere apposta come dedica da un Val Kilmer che fisicamente – dopo due tracheotomie – è solo una eco lontana dell’attore che ha interpretato Iceman in Top Gun. Ed è proprio l’abitare in questa nuova forma, afflitta dalle conseguenze di un cancro alla gola, ad aver spinto l’attore a mettere ordine nelle migliaia di ore di girato della e sulla sua vita. Il tentativo dichiarato è quello di dotare di una voce la sua intera esistenza in un momento in cui la sua voce reale è venuta meno, e le parole che riesce ad articolare attraverso l’impianto post operatorio sono insufficienti a esprimere la misura dell’uomo che è stato e che è tutt’ora in divenire.
“My name is Val Kilmer, I’m an actor. […] I was the first guy I knew to own a video camera.”
Val Kilmer è una star hollywoodiana atipica, lui stesso si definisce un character actor con l’aspetto del leading man, e la sua filmografia riflette molto questa contrapposizione. È diventato famoso nell’ormai iconico ruolo di Iceman in Top Gun, ha raggiunto l’apice della carriera ottenendo – senza perseguirlo – il ruolo di Batman, l’eroe mascherato che rappresenta il sacro graal per ogni attore bianco possibilmente americano, salvo poi rinunciare al sequel per dedicarsi ad altro. È stato co-protagonista di un film che è già parte della storia del cinema, Heat di Michael Mann, Doc Hollyday in Tombstone, ha recitato nel fantasy Willow e nel parodistico Top Secret, ed è stato Jim Morrison nel biopic sui Doors diretto da Oliver Stone.
L’interpretazione di Morrison, almeno sulla carta, avrebbe dovuto funzionare da consacrazione definitiva, magari attraverso un oscar, ma alla fine la pellicola ha ricevuto un’accoglienza tiepida sia da parte del pubblico che della critica. Eppure in quel ruolo Kilmer aveva dato tutto al punto che la sua dedizione al personaggio, al limite del fanatismo anche fuori dal set, compromise irreparabilmente il già precario matrimonio con la collega Johanna Whally.
Il metodo immersivo e maniacale attraverso il quale Val Kilmer approcciava ogni ruolo, unitamente alla sua insistenza nel cercare verità e onestà artistica in ogni personaggio, è stato spesso motivo di conflitto con diversi registi e colleghi. Val Kilmer non era esattamente l’attore a cui mettere in mano un copione e aspettarsi che eseguisse le direttive del regista alla lettera, o che non si occupasse di nessun altro aspetto della produzione. È emblematico lo scontro, documentato da Kilmer, tra lui e John Frankenheimer ai ferri corti sul set di un film dalla lavorazione travagliata come pochi: The Island of Dr. Moreau. Ma ancora prima di arrivare a questo punto del documentario capiamo che Kilmer è un nativo digitale ante litteram dotato di uno spiccato interesse nel trasformare in traccia fisica non solo momenti ben precisi, ma anche le emozioni e l’atmosfera evocate da quei frangenti.
“I spent decades finding my voice through characters. I’ve tried to see the world as one piece of life.”
Per quanto il documentario verta inevitabilmente anche sulla carriera cinematografica dell’attore, uno degli eventi dominanti della sua vita è costituito dalla morte a soli 15 anni di Wesley Kilmer, fratello, amico, regista promettente e compagno con cui condividere l’amore per il cinema. Sarà Val, il più giovane studente ammesso alla prestigiosa Juillard, a realizzare il sogno di entrambi e a documentare ogni passo di questa realizzazione attraverso migliaia di ore di girato in cui compaiono colleghi, registi, famigliari, amici e soprattutto sua figlia Mercedes e il figlio Jack, voce narrante del documentario.
Per un qualsiasi cinefilo, ma anche blando interessato, il dietro le quinte dei set e dell’industria cinematografica mostrati in Val sono autentico oro colato, vere e proprie chicche, ma alla fine il documentario, più che un excursus delle tappe che hanno formato la vita professionale e personale dell’attore, risulta essere una testimonianza di come si è sentito nel vivere quei momenti e, in retrospettiva, di come si sente oggi nel rievocarli nella più ancestrale delle ricerche: quella di sé stessi.
Val è stato presentato in anteprima a Cannes 2021 ed è il frutto del lavoro di regia e selezione operata da Ting Poo e Leo Scott. Il materiale abbraccia quasi sessant’anni della vita dell’attore e, tra gli altri, compaiono Kelly Mcgillis, Kevin Bacon, Sean Penn, Oliver Stone, Marlon Brando.
Il documentario, prodotto da A24, è stato acquistato da Amazon Prime Video.
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