Continua la fortunata collaborazione tra Netflix e Mike Flanagan, il regista di pellicole horror originali e coinvolgenti quali Ouija – L’origine del male (2016), Il gioco di Gerald (2017) e Doctor Sleep (2019), recentemente prestato alla televisione per la serie antologica The Haunting – Hill House (2018) e Bly Manor (2020) – dove sembra aver trovato la sua dimensione ideale grazie alla disponibilità di una maggior libertà creativa e una modalità di scrittura di più ampio respiro narrativo. In passato Flanagan aveva già manifestato l’esigenza di voler raccontare le storie in maniera più articolata ed esplicativa rispetto alle consuetudinarie possibilità offerte sia dal genere (l’horror) che amava trattare – tradizionalmente votato alla suggestione e/o all’impressione estetiche d’impatto – sia dal formato cinematografico – meno idoneo a sacrificare l’espressività visiva a favore di lunghi dialoghi e chiose verbali – spesso risultando in alcuni passaggi dispersivo e poco chiaro.
Le due stagioni di The Haunting, al netto di qualche eccesso logorroico, avevano dimostrato come, in effetti, una diversa disponibilità in termini di tempo aveva garantito a Flanagan sia una maggior chiarezza d’intenti – ossia il desiderio di superare il classico racconto dell’orrore per occuparsi di sentimenti e spiritualità – sia una poetica più puntuale – fatta di riferimenti precisi (Stephen King su tutti) e idee personali sulla natura sostanzialmente corruttibile dell’umanità.
Con Midnight Mass (2021) – la miniserie da poco rilasciata su Netflix – sembra proprio che Flanagan sia riuscito nell’impresa di fare ordine tra le numerose istanze del suo estro, di gestire equamente i tempi e gli spazi della narrazione (con un leggero allentamento di ritmo e coesione nella parte centrale del racconto, causato da una scrittura a carico dei personaggi forse troppo monologata) e connettere le storie individuali (fin nei risvolti più intimi) con i grandi temi.
La serie racconta le vicissitudini di una sparuta comunità che vive sulla remota isola di Crockett, le cui divergenze paiono amplificate sia dall’atteso ritorno del giovane Riley – appena uscito di prigione – sia dall’inaspettato arrivo di padre Paul – intervenuto a sostituire l’anziano prete malato. Da questo momento in poi sull’isola cominceranno a verificarsi eventi tanto straordinari quanto inspiegabili, che condurranno gli abitanti a ritrovare una fede che sembrava irrimediabilmente scalfita da una serie di episodi nefasti.
Con Midnight Mass Flanagan riesce far dialogare il singolare con l’universale mettendo sullo stesso piano la religione, il folclore e il cinema presentandoli come analoghi racconti mitopoietici tanto suggestivi quanto sensibili al credo (e alla sospensione d’incredulità) dei singoli fruitori. In questo modo diventa molto semplice passare senza soluzione di continuità da una dimensione reale a una figurata – evitando di ricorrere a voli pindarici o a soluzioni farraginose – mostrando il Male sia nella sua forma più chiara e terrificante, sia nella sua forza più astratta ed emblematica. Il Male è insieme angelo sterminatore, mostro arcaico e Nosferatu, un’entità composita in cui si fondono culto, mito e tradizione.
Questa maniera di presentare la minaccia tende così ad annullare ogni prevedibilità producendo, al contrario, una suspense diffusa e trascendente. Flanagan riesce a manipolare abilmente ruoli e figure per palesare la natura allegorica di tali racconti – la parabola religiosa, la leggenda folcloristica e il racconto cinematografico – e riflettere piuttosto circa la ricaduta spirituale sull’umanità che ne recepisce, ne metabolizza e ne trasmette i valori. Il risultato finale è molto simile a quello che, attraverso un genere e un percorso espositivo diversi, aveva ottenuto Nic Pizzolatto con la prima stagione di True Detective (2014): l’universo ha le risposte, noi siamo le domande non le supposizioni.
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