Esiste un termine per definire il sentimento che, tanto rigorosamente quanto in maniera sfuggente, sembra voler esplorare Edgar Wright con il suo ultimo e curioso film Last Night in Soho (Edgar Wright, 2021). Il termine è Hiraeth e può, a seconda dei casi, riferirsi alla nostalgia per un tempo ormai trascorso che non si può più rivivere – più legato al classico sentimento proustiano – o alla malinconia di un tempo che mai si è vissuto – la cosiddetta “sindrome dell’età dell’oro” – che, accanto alla meraviglia di un’idealizzazione sfrenata e compressa dove si mescolano come in un trip allucinogeno suoni e colori iconici del passato, inevitabilmente porta con sé suggestioni imprevedibili e fantasmi conturbanti.

Se la poesia si è sempre rivelata il medium ideale per evocazioni di questo tipo, che certo richiedono precise sensibilità e un certo grado di complessità espressiva, il cinema ha sempre lasciato che a occuparsi dei tempi e degli spazi di epoche passate (ma anche future) fossero i rapporti informativi 1:1 – la scenografia e la fotografia per l’ambientazione spaziale, la musica, i costumi e i dialoghi per quella culturale e le didascalie (scritte e orali) per i dettagli – lasciando che le suggestioni fluissero naturalmente dalle scene e non divenissero, come invece accade sovente nella poesia, le protagoniste ufficiali della narrazione.

last night in soho

Nel cinema, il riguardo per il tempo non vissuto è e resta un’imprescindibile ma collaterale condizione che serve a rendere più credibile ed efficace una storia, ma raramente è divenuto il soggetto principale della stessa. Tra gli esempi più apprezzabili ricordiamo Midnight in Paris (Woody Allen, 2011) in cui, con invidiabile capacità affabulatoria, il regista newyorkese riusciva a rendere la Belle Époque protagonista assoluta di una storia d’amore con Gil Pender (Owen Wilson), un uomo perennemente inadeguato e transperiod, frustrato dall’inafferrabilità del passato e della volatilità dei suoi simulacri.

Lo scopo di Allen, allora, era evidentemente quello di proporre una critica della malinconia in grado di rendere ogni curiosità appagata e ogni passione vissuta fonti di incipiente insoddisfazione e futura normalizzazione e crescita. Ma se in Midnight in Paris Allen affrontava la scoperta con ironia e accettazione, servendosi della usuale commedia romantica sofisticata, in Last Night in Soho Wright privilegia i toni del noir e del thriller proponendone una critica più dura, in cui ritrovare nel medesimo appeal fantasmatico il pericolo di una sublimazione ingannevole e pericolosa.

last night in soho

Eloise Turner (Thomasin McKenzie), una giovane orfana ossessionata dalla Swinging London, si trasferisce nella City per frequentare una prestigiosa scuola di moda. Nonostante le raccomandazioni dell’apprensiva nonna, che ben conosce la porosità emotiva e sensoriale della nipote, Ellie si lascia inghiottire dal rimo frenetico e dalle ipocrisie della metropoli, rifugiandosi in un sogno fanciullesco che presto si trasformerà in un incubo “a luci rosse”.

La maestria di Edgar Wright, che come pochi altri è capace di maneggiare i generi e i riferimenti cinematografici offrendo uno spettacolo sempre curato e originale, risiede senz’altro nella costruzione di sequenze complesse e coinvolgenti senza ricorrere ai trucchi sintetici e livellanti della CGI, scelta che spesso obbliga il regista a uno sforzo compositivo in grado di offrire soluzioni uniche e strabilianti – la sequenza del passo a due con Sandie (Anya Taylor-Joy), realizzata attraverso complicati scambi coreografici e precisi raccordi di montaggio che restituiscono un labirinto di sguardi e immedesimazioni, lascia davvero a bocca aperta.

Lo sviluppo narrativo e le soluzioni visive di Last Night in Soho – specie nel dipanare l’atavico compromesso tra sogno e realtà – che trovano ispirazione soprattutto nel Dario Argento di Suspiria (1977) e nel Wes Craven di A Nightmare on Elm Street (1984), non disdegnando le pulsioni scopiche di Mario Bava e Michael Powell, offrono degli Swinging Sixties un lato oscuro e squallido che non può e non deve essere “rimosso”, ma piuttosto elaborato e superato, anche a costo di rimetterci il (candido) punto di vista.

Il film, purtroppo, non sta riscuotendo il successo che merita, forse perché non appare completamente centrato e risolto sul piano narrativo, ma è una certezza che se si ha voglia di guardare qualcosa di diverso dal solito, qualcosa di autenticamente immersivo e avvolgente, qualcosa che non potrete dimenticare tanto presto, allora Last Night in Soho è il film non potete perdere.



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