Amo i western, e amo ancor di più quella scrittura archetipica dei personaggi riconoscibile innanzitutto negli Spaghetti Western. Nel docufilm sulla vita di Corbucci, Django & Django, Quentin Tarantino sostiene una teoria di cui sono sempre stato convinto: ossia che negli western italiani ci fosse sempre una definizione iperbolica dei protagonisti, spesso tratteggiati con capacità all’limite del sovrumano, e dotati di una morale sottesa ma comunque viva e distintiva. Poi, se a tutto ciò uniamo del sano genere (in questo caso folk/horror), la piega che ne viene fuori è qualcosa che avrebbe fatto impazzire il me sedicenne (in realtà anche il me ventottenne, nei suoi limiti). Perché chi come me ha maturato parte del proprio gusto e senso estetico nell’adolescenza, forse, leggendo Two Moons di John Arcudi e Valerio Giangiordano proverà una certa sensazione di appagamento, quasi a voler dimostrare la propria familiarità con tutto ciò che si intravede in quest’ultima novità SaldaPress targata Image.
Una storia di sangue in un paese nato nel sangue
La Guerra Civile Americana o Guerra di Secessione (1861-1865) è stato senz’altro uno dei conflitti fratricidi più raccontati nel contemporaneo, ed è, non a caso, il contesto di questo libro.
Unione e Stati Confederati continuano ad affrontarsi in tutto il sud-est, con i sudisti che arretrano dopo ogni confronto campale. In questa cornice, l’Unione ha già da tempo aperto i ranghi a coscritti indigeni, ossia i nativi pellerossa dei territori ormai americani. Il giovane Pawnee Virgil Morris è uno di questi. Naturalmente le imprese puramente belliche del soldato Morris ci interesseranno poco, in particolare dopo il twist sovrannaturale che Arcudi, senza neppure chiedercelo, ci sbatte in faccia piuttosto presto.
Veniamo quindi proiettati in un contesto sospeso, in cui la narrazione si fa via via sempre più criptica e, per l’appunto, sovrannaturale. Il soldato Morris dovrà confrontarsi con vecchi moniti ed esseri squisitamente orrorifici, calandosi frequentemente in interessanti momenti di riflessione perlopiù di natura esistenziale: credere o non credere? Come accettare l’esistenza di esseri tanto ameni, quando è apparentemente il solo a vederli? La complessità di queste scelte è parallela solo al suo scetticismo, figlio della sua cultura d’adozione: quella americana.
Perché sì, Two Moons, indirettamente o no, tocca un tasto dolente, quello identitario. Badiamo bene, non mi sto mettendo in bocca proselitismi Alt-right o più generalmente reazionari. No. Mi riferisco al categorico rifiuto da parte del protagonista di accettare, almeno in un primo momento, la verità sulla natura delle sue visioni; una natura sciamanica che la sua cultura natia teme e rispetta. Tuttavia Virgil sembra aver abbandonato quei costumi, già ai tempi ritenuti gretti e arretrati, in favore del modernismo del mondo che avanza. Virgil Morris è figlio di due culture: una di sangue e una di costume. E mentre l’uomo bianco continua a uccidersi da Gettysburg a Savannah, una forza sconosciuta e incurante dei conflitti umani avanza, sapientemente occultata fra i ranghi che quella stessa guerra ha creato. Mostruosità estremamente difficili da abbattere e dotati di una ferocia che non teme i proiettili.
Two Moons, Weird Western
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una nuova wave del genere horror: guardando al passato, abbiamo parzialmente restaurato il concetto di mostro. Giangiordano si destreggia agilmente fra le creature, dando prova di sentirsi a proprio agio in questo processo creativo. Leggendo infatti le note di Arcudi, si scopre come i due abbiano stabilito una sintonia creativa efficace e impattante. Che siano esseri dalle fattezze caprine o persino insettiformi, i mostri qui presenti convincono non solo sul piano del character design, ma persino e soprattutto sul piano stilistico. Il loro utilizzo infatti, non è mai relegato a semplice macchietta antagonista. La loro presenza è minatoria a tal punto da far percepire la minaccia in maniera concreta, e non banalmente come qualcosa di ricorrente.
Volendo restare in tema grafico, Giangiordano conferma il suo estro anche quando si cimenta con altre forme d’orrore: in tutte le vignette in cui viene rappresentato il conflitto civile, il fumettista romano non risparmia colpi, plasmando sequenze cinetiche sorprendentemente violente, in cui la velocità con cui di norma si consuma una battaglia viene qui rappresentata con tremenda efficacia. E sempre restando in tema character design, notevoli sono i numerosi volti che popolano l’opera: dall’indiscutibile delicatezza dell’infermiera Frances, passando per le varie divise che si alternano nelle vicende, come il sergente McBride, le cui fattezze mi hanno curiosamente ricordato Mario Brega. Lo stesso Virgil cambia aspetto progressivamente, passando dall’essere una semplice casacca yankee, al guerriero instancabile e feroce in pieno stile Navajo Joe. Il tratto grafico, coadiuvato in maniera convincente dai colori di Dave Stewart e Bill Grabtree, appare elegante e realistico, efficace anche nel ricostruire un’ambientazione fedele e mai alienante.
Nella sua notevole resa, Two Moons, seppur con vaghe imperfezioni, appare convincente, crudo e persino pulp. Una commistione stilistica in cui la violenta storia del Nord America incontra la tradizione spirituale dei suoi popoli nativi: La Guerra Civile come sfondo di una storia fatta di sciamanesimo, allucinogeni e amenità dal vago sentore lovecraftiano. Peraltro l’atto finale mi ha ricordato qualcosa a metà strada fra Alamo e Distretto 13 di Carpenter.
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