Nel 2013, lo scrittore Brian K. Vaughan insieme agli artisti Marcos Martin e Muntsa Vicente fondarono una sorta di antesignano di Subastack, Panel Syndicate. Al pari del servizio di newsletter che sta cambiando il panorama fumettistico statunitense in queste settimane, la piattaforma ideata da Vaughan era concepita per distribuire digitalmente opere a fumetti senza l’intermediazione di una casa editrice, lasciando scegliere al lettore il prezzo da pagare per ottenere una copia digitale priva di DRM, i cui proventi sarebbero finiti direttamente e totalmente agli autori. Dopo The Private Eye realizzata dal team dei fondatori (e che abbiamo recensito tempo fa), la seconda serie ospitata su Panel Syndicate è stata Universo! dello spagnolo Albert Monteys, Amazon nelle scorse settimane in Italia grazie a Tunué.
Non sono addentro le meccaniche editoriali, ma è davvero bizzarro che una serie con queste potenzialità sia rimasta inedita in Italia, nonostante la candidatura agli Eisner Awards nel 2017. Già che ci sono, faccio mea culpa anche io e ammetto di averla letta fuori tempo massimo, altrimenti sarebbe entrata senza dubbio nel nostro listone dei migliori fumetti del 2021.
Universo! è una serie antologica ambientata un millennio nel futuro dell’umanità. Nei cinque episodi raccolti nel volume, Monteys racconta di dipendenti di mega-corporazioni obbligati dal loro capo a viaggiare nel tempo per brandizzare la creazione, robot-partner troppo innamorati, alieni trans-dimensionali e de-sincronizzazioni temporali di una storia d’amore.
Come nel capolavoro di ironia sci-fi ideato da Matt Groening, la visione del futuro di Universo! è un’estremizzazione di tendenze già in atto oggi, portate alle loro più radicali applicazioni e rilette attraverso il filtro della satira. Laddove Futurama però, anche per una questione di target e posizionamento, applicava un registro ironico per lo più solare, fatte salve alcune mirabili eccezioni che mi riducono in lacrime ancora oggi, il filtro critico applicato da Albert Montey in Universo! è decisamente più cinico e intriso di humor nero.
Forse è un segno di come gli anni 2000 hanno cambiato la nostra percezione del futuro. Il Fry che si risveglia nel 3000 dopo essere (più o meno) sbadatamente inciampato in una criocapsula è per la maggior parte del tempo entusiasta, per quanto stranito, di ciò che gli riserva il futuro: il nuovo millennio per lui è un’opportunità, la possibilità di costruirsi una vita migliore di quella che lo attendeva all’alba del 2000.
Thomas, il primo personaggio che incontriamo aprendo la copertina di Universo!, è invece terrorizzato fin da subito. Il suo viaggio nel tempo è un viaggio di lavoro impostogli dal sig. Wortham, magnate della mega-corporazione per cui lavora: un turbo capitalista la cui testa putrefatta sopravvive all’interno di una sfera colma di liquido. Ricorda nulla? Rispedito all’origine del tutto per appiccicare alla Storia un’etichetta aziendale, Thomas è spaventato, annoiato, rassegnato, rancoroso e vendicativo: per quanto intorno a lui vada in scena l’assurdità, si arriva alla fine del primo episodio senza una vignetta che lo ritragga sorridente.
Come preannunciato dal titolo, nella serie di Abert Monteys c’è tutto: commoventi storie d’amore, riflessioni esistenziali, prospettive lavorative, incontri extra terrestri ed extra sensoriali, robot, intelligenze artificiali, uomini, asincronie temporali e disastri che causano estinzioni di massa. Tutto è raffigurato attraverso il morbido stile grafico di Monteys, autore completo del volume, perfetto in ogni occasione.
La linea grafica è umoristica, tonda e caricaturale nella raffigurazione umana, senza tuttavia rinunciare a una base realistica nella profondità delle espressioni dei personaggi. Le tavole che si sviluppano in orizzontale, peculiarità diffusa della produzioni Panel Syndicate, conferiscono spesso un tratto cinematografico widescreen alla scena. Mentre i testi, ottimamente tradotti da Valentina Testa, portano il lettore a cullarsi delle riflessioni sulla nostra natura di essere umani di oggi e di domani, il colore gioca invece sullo straniamento attraverso accostamenti forti (viola e verde, rosso e blu) e la scelta di tonalità inattese.
L’amalgama finale è un volume che riesce a connettere punti tra loro lontanissimi, sia narrativamente con i racconti che riprendono elementi e situazioni dai precedenti, sia emotivamente, toccando corde solo all’apparenza distaccate. Oltre ai cinque episodi qui pubblicati, ne esiste anche un senso: c’è la possibilità, dunque, che Monteys continui la sua serie fino a realizzare un secondo volume: un altro, ottimo motivo per meravigliarsi di ciò che ci riserva il futuro.
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