Nel disegno di Jean-Jacques Sempé, un uomo nella sua officina sta aggiustando una bicicletta. Intorno a lui parti di biciclette, pezzi di ricambio e biciclette appese.

Le prime barzellette che si imparano da bambini sono i colmi sugli artigiani. “Qual è il colmo per un idraulico?” “Non capire un tubo!” e via così, in punta di fioretto a ironizzare sui mestieri più comuni. Ma quale potrebbe essere il colmo per un biciclettaio? Per Jean-Jaques Sempé la risposta sarebbe “Non saper andare in bicicletta!”. Come nel caso del suo Raoul Taburin, ma qui le cose si complicano. 

In questa che è la sua unica graphic novel (gli altri libri pubblicati da 21Lettere di cui vi abbiamo già parlato in passato alternavano illustrazioni a blocchi in prosa), il compianto autore francese scomparso nel 2022 racconta la vita del suo protagonista, Raoul Taburin appunto, riparatore di biciclette e noto nel paese di San Cerone per il suo umorismo. Quando incontriamo il nostro Taburin, ormai è così noto e apprezzato a San Cerone da essersi fatto un nome. Taburin, appunto, per gli abitanti di San Cerone è ormai sinonimo di bicicletta. Non è una novità, anzi, è un’usanza locale piuttosto diffusa tra la popolazione locale. Tutto inizia con monsieur Frognard, il salumiere, che serve ottimo frognard ai suoi compaesani. Poi c’è Bifaille, l’ottico, che ha piazzato un paio di bifaille sul naso di tutti i cittadini desiderosi di vederci chiaro.  Taburin è il più recente ingresso in questa galleria di celebrità locali; non è raro a San Cerone origliare qualcuno che seduto al tavolino di un bar, sistemandosi i bifaille, saluta la compagnia annunciando di essere in procinto di balzare sulla sua taburin per andare ad acquistare un paio d’etti di ottimo frognard! 

Raoul, tuttavia, a differenza dei suoi esimi colleghi, nasconde un segreto che non gli permette di godersi fino in fondo la sua nomea: Taburin non sa andare sulla taburin. Lo so, siamo davanti a una premessa sottile come un foglio di carta, ma siamo anche di fronte all’opera di un maestro dotato di una sensibilità che ha pochi pari, capace di trasformare questo incipit da barzelletta in una storia divertente e sempre delicata, che si lascia esplorare a diversi livelli.

C’è quello più superficiale e umoristico che si snoda attraverso il rapporto di Taburin con la bicicletta, sempre tumultuoso e ricco di avversità; ovviamente nessuno a San Cerone può credere che l’uomo che ha dato il nome alla bicicletta non sia capace di pedalare, da qui tutti gli stratagemmi adottati da Taburin per nascondere la verità ai compaesani, se possibile dietro un muro di risate e battute. Così tutti pensano che Taburin sia un gran burlone dotato di una gran fantasia; in realtà al pari di tanti spiritosi Taburin usa semplicemente l’ironia come meccanismo protettivo, uno scudo con cui ripararsi dai giudizi e dietro cui dire ciò che non si può. 

Non c’è voluto molto insomma per scivolare più in profondità, dove Sempé usa il suo biciclettaio che non pedala per raccontare la forza della pressione sociale e l’influenza del giudizio degli altri sulla percezione di sé. C’è un momento nel racconto in cui, alla fine una festa di paese, troviamo Taburin seduto da solo, in disparte, a osservare uomini e donne che ballano in pista con un sorriso sereno in volto, mentre Sempé chiosa: quando la luce del giorno si affievolisce, le coppie naturalmente si formano. Evidentemente, non tutte le pressioni sociali esercitano lo stesso peso su Taburin. 

Il tema del lavoro però si confonde spesso con quello dell’identità (non so San Cerone, ma a Milano “Che lavoro fai?” è la domanda che segue quasi sempre lo scambio di nomi tra sconosciuti) e Sempé scruta in quella direzione. Quella di Taburin è una strana sindrome dell’impostore che a quanto pare non è prerogativa della società ultramoderna, ma può manifestarsi anche nei borghi più rurali. Il bicilettaio che non sa montare in sella è un intero composto da due metà che non combaciano e lo stridore che lo affligge è il prodotto dell’attrito tra l’immagine che si trasmette di sé e come il resto del paese lo percepisce. Come suo solito, Sempé non dà facili consigli né predica morali, si limita a metterci di fronte alle contraddizioni del nostro tempo con la leggerezza beffarda di chi non giudica. Eppure, anche senza condannare, le contraddizioni restano lì e non resta che curare lo stridio, fino a levigare le due parti e farle infine comunicare tra loro, oppure prenderla sul ridire. 

Sempé sceglie di sicuro quest’ultima strada, sorretto dalla leggerezza del suo tratta. Raoul Taburin è un fumetto anomalo, una serie di vignette, piccole e grandi, a colori o in bianco e nero, squadrate o stondate, che si susseguono, per lo più accompagnate da didascali o brevi dialoghi, tra cui esplodono all’improvviso scene enormi, o  minuscole. A Sempé bastano pochissimi tratti per definire una scena e pochi colpi di acquarello per introdurre l’atmosfera: nella prima immagine che precede persino il titolo titolo, in cui un bambino pedala spensierato senza mani mentre un altro nasconde i suoi lividi e la bici tutta storta dietro un albero del bosco, c’è già tutto il racconto a venire. La mia preferita, però, resta la doppia pagina in cui l’eroe per un giorno Bilongue insegue il colorato gruppone del Tour de France, ormai lontano a un paio di curve di distanza, nel mezzo di una campagna sconfinata perfettamente resa da una pioggia di brevi tratti d’inchiostro. 

Anche in questo caso, in continuità con i precedenti volumi di Sempé pubblicati in passato, 21Lettere sceglie di non tradurre i dialoghi nelle vignette, ma di lasciarli in originale, riportandoli tradotti a pié di pagina insieme alle didascalie. Il volume è come al solito molto curato sotto il profilo dei materiali: la copertina è rigida e parecchio spessa, così come la carta scelta all’interno presenta una buona grammatura e un’ottima resa tanto delle linee più fini quanto del colore (e in aggiunta, l’odore della carta usata da 21Lettere è riconoscibile al primo colpo, ma qui entriamo nel feticismo, me ne rendo conto NdClod). In questo senso, 21Lettere è sempre una garanzia e il lavoro che sta compiendo per riportare in libreria le opere di un figura importantissima per il fumetto francese e mondiale merita ancora una volta tutto il nostro apprezzamento. 

Dove acquistarlo: 21Lettere



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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