Quest’anno voglio essere supersintetico e quindi, prima di iniziare, faccio solo un piccolo spot personale: laddove questi listoni vi siano stati utili nel corso degli anni, beh, sappiate che ho aperto un piccolo blog  dedicato a recensioni brevi di film belli (e spesso poco noti, aggiungo), FilmExpress, nel caso non vogliate aspettare 12 mesi per sapere cosa, IMHO, valga la pena di vedere, https://filmexpress.blog/

Ciò detto, cominciamo. 

BLAGA’S LESSONS

Un’anziana insegnante, vedova da poco, viene raggirata e perde tutti i suoi risparmi. Irrisa da tutti, ignorata dalla giustizia, “passa al lato oscuro”…
Clamorosa black comedy (a star stretti) bulgara, e nuovo centro per il regista e sceneggiatore Stephan Komandarev, che firma un altro titolo imperdibile dopo l’ottimo Directions – Tutto in una notte a Sofia (unico a essere stato portato in Italia). Film (e spaccato sociologico) sagace, feroce, hobbesiano nell’animo, intriso di un pessimismo totale, assoluto, senza speranza, ambientato in un mondo, il nostro, in cui l’unico modo per sopravvivere è spesso fottere il prossimo, con abilità e (come insegna l’incredibile finale) fortuna. Tutto impeccabile, dalla scelta della location (Šumen, sede di un assurdo ed imponente monumento in cemento) al cast, dove brilla la luce di Eli Skorcheva, star del cinema locale negli anni ’80. Candidato bulgaro agli Oscar 2024, non passò il primo taglio, ma lo avrebbe meritato.

ANORA

Bimbominkia russo figlio di miliardari conosce e sposa una brillante escort ma la famiglia si oppone e manda tre sgherri a sistemare le cose…
Esilarante e intelligente satira sul capitalismo che fa muovere il mondo, sulle caste, ancora oggi esistenti, vertice della produzione di Baker e Palma d’Oro meritata (anche se Emilia Perez…), nonostante una ventina di minuti di troppo. La sequenza dell’arrivo dei tre sgherri mandati dai russi a “sistemare” la coppia è la migliore dell’anno, anche e soprattutto grazie all’interpretazione di un cast pazzesco e in stato di grazia (nota: Tarantino sa scegliere molto bene i giovani da lanciare, considerando che in Once Upon a Time… in Hollywood c’erano la qui eccezionale Mikey Madison, Margaret Qualley, Austin Butler, Sydney Sweeney…) a cominciare dall’impagabile Mark Ėjdel’štejn, perfetto idiota, che passa la vita a giocare, bere, drogarsi e scopare (vabbè, chiamalo scemo) e dal bravo Yuri Borisov, già visto nell’amabile Scompartimento N.6. Baker forse non ha la profondità autoriale di un “grande”, ma sa dirigere i suoi attori, creare ottimi personaggi e dosare bene commedia e dramma, tanto basta.

THE BEAST

Una donna e un uomo si amano in tre epoche diverse, ma la ragazza dell’ultima ricorda tutte quelle precedenti…
Cervellotico ma affascinante viaggio nei sentimenti e nella memoria, quello che Bertrand Bonello fa compiere allo spettatore, che si vede trasportato a Parigi, nel 1910, l’anno in cui la città venne sommersa dalla Senna, a Los Angeles, nel 2014, durante un terremoto e nel 2044, dominato dalle intelligenze artificiali e ci si può liberare per sempre dalle emozioni, tramite un apposito processo. La bestia del titolo è l’ansia, più o meno esistenziale, che la protagonista, una clamorosa Seydoux, prova incrociando il lui della situazione, il bravo George MacKay, sempre in ruoli diversi e sempre con qualcosa che si mette di mezzo a rovinare la favola. Un viaggio non semplice ma affascinante, tra reale e immaginario, naturale e artificiale, passato, presente e futuro, con un finale lynchiano.

EMILIA PEREZ

Un’avvocatessa viene contattata dal feroce capo di un cartello di narcotrafficanti perchè quest’ultimo vuole cambiare sesso. La decisione cambierà le vite di molte persone…
Il vispo settantenne Audiard (Un héros très discret, Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa, Dheepan, Parigi, 13Arr.) firma il più inclassificabile dei suoi film, creando un musical/melò/crime/thriller dal ritmo incredibile, con numeri e canzoni fuori parametro (altro che Joker…). Sotto alla superficie “ludica” (diciamo così), tante e gravi questioni esistenziali, a cominciare dalla domanda se a un cambiamento fisico possa corrispondere anche un mutamento caratteriale (risposta: no). Cast clamoroso, con tutte le protagoniste in palla e una regia ottundente, abbacinante, mirabolante. Decisamente uno dei migliori film dell’anno. Premio della giuria e Prix d’interprétation féminine a Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz e Zoe Saldana al Festival di Cannes 2024.

MY FAVOURITE CAKE

Mahin è una lucida e ironica vedova settantenne che vive da sola in un appartamento a Teheran: fa spese, cura le piante, sente la figlia via Facetime e vede regolarmente un gruppo di amiche attempate. Un giorno incontra un tassista di pari età e…
Clamorosamente ignorato dalla giuria della Berlinale 2024, dov’era in concorso, My Favourite Cake, della coppia registica iraniana Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, è, a mani basse, uno dei migliori film dell’anno: un’opera rara e preziosa che racconta, senza svolazzi autoriali e prese di posizione didascaliche intrise di ideologie, ma con leggerezza e a volte drammatico realismo (vedi la sequenza che vede la protagonista difendere dalla polizia una ragazza accusata di non portare correttamente il velo…) la quotidianità di una donna e l’Iran attuale. Il “romance tra anziani” è buffo, intimo e trattato con lucidità (il tema è poco frequentato anche dal “libero” cinema occidentale, figuriamoci da queste parti) e reso credibile dall’ incredibile performance della coppia formata da Esmail Mehrabi e Lily Farhadpour.

THE SEED OF SACRED FIG

“Il mondo è cambiato, Dio no”
Theran, oggi: Iman è stato promosso giudice istruttore presso il tribunale rivoluzionario, ma il paese è scosso da proteste e tensioni, a seguito della morte di Mahsa Amini, cui le figlie partecipano attivamente, mentre la moglie/madre cerca di mediare tra le parti…
Capolavoro assoluto di Mohammad Rasoulof (saggiamente fuggito all’estero prima di essere arrestato dalle guardie rivoluzionarie), che fotografa l’Iran attuale meglio di qualsiasi documentario, articolo giornalistico e servizio televisivo. Un film fluviale e potentissimo, costruito attorno a quattro personaggi, i membri della famiglia, cesellati come meglio non si potrebbe, ognuno piegato da un fardello etico-morale irrisolvibile. Il padre è giudice e devoto al regime, ma ha scrupoli morali nel mandare a morte le persone, le figlie sono (pardon, sarebbero) il nuovo Iran, senza ḥijāb e teocrazia, la madre ama tutti (incredibile la performance di Soheila Golestani) ma non trova un punto di equilibrio. Il film riesce perfettamente a descrivere un paese grottesco e assurdo (i cartonati dei leader religiosi e statali presenti nel tribunale, gli interni delle abitazioni indistinguibili da quelle occidentali) in cui delazioni e sospetti contribuiscono a creare uno stato di perenne paranoia, che sfianca ogni resistenza e distrugge anche gli apparentemente saldi vincoli familiari. Incredibile e quasi “hollywoodiano”, nell’accezione positiva del termine, il finale dove l’opera di denuncia vira verso il thriller duro & puro. Un’opera abbacinante.
Candidato della Germania (dove il regista si è rifugiato) come miglior film internazionale agli Oscar 2025 e Premio speciale al Festival di Cannes 2024.

HOW TO MAKE MILLIONS BEFORE GRANDMA DIES

Un giovane streamer, saputo che sua nonna è in fin di vita, decide di vivere con lei allo scopo di farsi intestare i suoi beni. Le cose però andranno molto diversamente da come aveva previsto…
La capacità del cinema orientale di trattare con leggerezza ed ironia temi pesantissimi, in questo caso la malattia e la Morte, viene confermata da questo splendido coming-of-age, capace di raccontare con arguzia le differenze (ma anche la possibilità di una dialogo costruttivo) tra generazioni diverse. Sceneggiatura impeccabile, equilibrata, che evita accuratamente il melodramma e racconta la vita ed il percorso di due personaggi credibili e di grande empatia, vero cuore dell’opera. Candidato dalla Thailandia come miglior film internazionale agli Oscar 2025.

TWILIGHT OF THE WARRIORS: WALLED IN

Hong Kong, anni ’80: un rifugiato, dopo innumerevoli vicissitudini, si trova costretto a vivere nella cittadella di Kowloon, una sorta di enclave in mano alla criminalità, ma scoprirà che non tutto il male vien per nuocere.
Clamoroso. Memorabile. Esaltante. Un film che resterà negli annali del cinema orientale e degli action movie e che omaggia come meglio non si potrebbe la storia del cinema di Hong Kong (che lo manda giustamente a concorrere per gli Oscar 2025). Esagerato nelle coreografie, mirabolante nei valori produttivi, abbacinante nella messa in scena, grazie alla regia ipercinetica di Soi Cheang, amabile nelle performance attoriali, tutte sublimi, sia quelle delle vecchie glorie (Louis Koo, Sammo Hung, Richie Jen) che dei “nuovi” (Raymond Lam, Terrance Lau). Un grandioso mix di umanesimo, epicità ed action, forse solo un po’ troppo allungato nel peraltro pirotecnico finale. Il cinema di Hong Kong è ancora vivo.

KNEECAP

2010, Belfast: due amici passano il tempo a farsi e fancazzeggiare, quando uno di loro, figlio di un paramilitare che aveva finto la propria morte per sfuggire all’esercito, viene arrestato per droga e trattenuto perché si rifiuta di parlare inglese. A fare da traduttore viene chiamato così un mite insegnante di musica che si rende conto che i versi declamati dal ragazzo hanno un certo ritmo…
Esilarante, anarchico, politico. Rich Peppiatt, esordiente ma già regista dei video della band (che esiste veramente da molti anni), si ispira al primo Boyle e a Trainspotting, aggiornandone linguaggio e ritmo, giocando con le immagini (animazioni on-screen, movimenti di camera assurdi, split screens, deepfake…) ma tenendo sempre al centro la storia e i personaggi, magnificamente interpretati da…i veri protagonisti, attori nati. Cast sublime (grandioso il cameo Michael Fassbender), musica fantastica (anche per chi non ama il genere hip-hop) e c’è spazio anche per tanta satira sociale e politica. L’Irlanda lo manda agli Oscar 2025 come miglior film internazionale.

BLACK DOG

2008, pochi giorni prima che inizino le Olimpiadi di Pechino: un giovane uomo, dopo essere stato rilasciato dal carcere, torna nella sua città natale ai margini del deserto del Gobi, nel nord-ovest della Cina. Qui lavora assieme ad un team per ripulire la città dai cani randagi, stringe una bizzarra amicizia con un cane nero…
Un’opera assolutamente incredibile, sia sotto il profilo formale, grazie alla divina e ariosa regia di Guan Hu, che sotto quello concettuale, riuscendo a toccare innumerevoli temi (rapporto cane/uomo, figlio/padre, città/stato, presente/futuro) con straordinaria efficacia, grande leggerezza e un paio di momenti obiettivamente esilaranti, nonostante il contesto sia tutt’altro che roseo. Uno spaccato inquietante ma al tempo stesso ottimista (il fantastico finale, speculare al pazzesco incipit) della Cina “moderna” (si fa per dire…), interpretato magnificamente dal bravissimo Eddie Peng. A Cannes ha vinto il premio nella sezione Un Certain Regard.

FREMONT

Una ragazza afgana, emigrata in America, lavora come “scrittrice” dei bigliettini presenti nei biscotti della fortuna in un ristorante cinese e aspetta il grande (?) amore…
Piccolo film dal grande cuore, che richiama il cinema di Jarmusch (Paterson in particolare), esistenzialista e pensoso, lento e malinconico ma anche capace di far sorridere (le, a loro modo esilaranti, sessioni dallo psicologo fissato con Zanna Bianca). Ottimista e “resiliente”, poggia sulle spalle della bravissima Anaita Wali Zada. Comparsata in amicizia dell’oramai divo Jeremy Allen White.

UNA SPIEGAZIONE PER TUTTO

Ungheria, oggi. Un ragazzo viene bocciato alla maturità a suo dire perché preso di mira da un professore di fede politica avversa. Una giornalista rampante diffonde la storia e monta la polemica…
Capolavoro, poco da aggiungere.
Una satira misantropa, cinica e ferocissima sulla società attuale, il ruolo del giornalismo, dell’insegnamento e della politica. E, in mezzo, i casini esistenziali dell’adolescenza, periodo che è molto ostico da attraversare e dal quale si esce sempre a fatica e “rodati”. Davvero in gamba Gábor Reisz nel mettere in piedi una storiella esile che va montando come la panna mano a mano che una serie di coincidenze fortuite (il “come” la giornalista viene a sapere della storia è esilarante…e può davvero succedere!) la alimenta, coinvolgendo sempre più persone. Un domino senza controllo movimentato da una regia iperdinamica ed eccentrica, che segue passo a passo ogni azione dei quattro personaggi principali e l’intreccio delle loro vite. Non stupisce che il film, presentato l’anno scorso a Venezia, abbia vinto il Premio Orizzonti per il miglior film. La spiegazione per tutto? Le persone sono spesso molto stupide e quasi sempre orribili.

DO NOT EXPECT TOO MUCH FROM THE END OF THE WORLD

“Ora che la tua testa ha sfondato il muro, cosa farai nella tua nuova cella?”
Angela lavora nel reparto produzione di video sulla sicurezza sul lavoro per conto di una multinazionale di stanza a Vienna e gira per la città di Bucarest per organizzare il “casting” (tra gente mezza morta o disabile) per un nuovo filmato: incontra persone e succedono cose…
Questo lo aspettavo da più di un anno (era a Locarno e la Romania lo ha candidato agli Oscar) e non ha deluso: Radu Jude si conferma come uno dei migliori registi europei sulla piazza e dopo il clamoroso Bad Luck Banging or Loony Porn firma un’altra poderosa, feroce ed assurda picconata al Capitale e al Mondo (non solo occidentale). Tre stili diversi di regia, linguaggi e approcci, due film (uno in bianco e nero, l’altro a colori degli anni ’80) che si alternano per due ore per fondersi alla fine e un’inquadratura fissa per gli ultimi quaranta minuti, titoli di coda scritti a mano e da leggere come un pdf e in mezzo una mezza dozzina di riflessioni, provocazioni, intuizioni e sequenze geniali.

VERMINES

Davvero clamoroso, questo debutto dell’esordiente francese Sébastien Vaniček (e onore al Festival di Venezia che lo aveva mostrato come film di chiusura della Settimana Internazionale della Critica), che mischia L’Odio + Aracnofobia + Alien + Attack the Block e ne tira fuori un tiratissimo e terrorizzante horror “sociale”, che vede un gruppo di ragazzi braccati da ragni killer in un palazzone ubicato ai margini della banlieue parigina. Film clamorosamente stratificato: da un lato c’è l’immersività dell’azione (regia fantastica e almeno due sequenze capolavoro per tensione e suspense) dall’altro il taglio sociale, con i banlieusard (tra loro, uhm, “eterogenei”) ma liquidati come “diversi” e quindi sacrificabili, reietti e abbandonati dal mondo esterno, globalizzato, uniforme. I mostri sono vicini…

YOLO

Giovane donna abulica, sciatta e sovrappeso, viene costantemente vessata & coglionata da parenti, amici e colleghi. Un giorno incontra un istruttore di boxe e decide di provare, almeno una volta nella vita (YOLO è appunto l’acronimo di “you only live once”), a vincere…
Inizia come commedia un po’ stupida, ma diventa quasi subito un formidabile spokon e uno dei migliori esponenti del genere “riscatto femminile”, senza mai scadere peraltro nel manicheismo tipico dei film americani, dove per far risaltare un ruolo femminile si dipingono tutti gli uomini come babbei, violenti o ritardati. Merito della riuscita dell’operazione è la clamorosa, sensazionale, impensabile performance di Jia Ling, che ha perso davvero mezzo quintale durante le riprese, che attua una trasformazione che coinvolge non solo il fisico ma anche lo spirito. Grande interprete quindi, ma anche regista capace e in certi momenti visionaria (la scena del tentato suicidio “da intuire” è memorabile nella sua semplicità).

LATE NIGHT WITH THE DEVIL

Jack Delroy è la stella e conduttore di Night Owls, un talk show notturno. La notte di Halloween del 1977, strani fenomeni cominciano a verificarsi nello studio televisivo mente è in corso lo show…
Originale nella forma e nel contenuto (il film “dura” quanto la puntata dello show), piacevolmente analogico, genuinamente terrorizzante, grazie ad un perfetto dosaggio di scary moments e pause defatiganti, con uno script al bacio che mantiene costante la tensione e, per certi versi, riesce anche ad essere “etico/politico/sociale”, vista l’ambientazione spazio-temporale. Bravissimo David Dastmalchian, protagonista assoluto dopo tanti ruoli secondari, e kudos ai fratelli Carines, registi e sceneggiatori, assolutamente da tenere d’occhio per il futuro.

EXHUMA

L’horror è il genere cinematografico in cui la distanza qualitativa tra i prodotti americani, realizzati da e per un pubblico di decerebrati, e quelli del resto del mondo è più evidente. Siderale, in questo caso.
Campionissimo d’incassi in patria, Exhuma racconta la storia di un variegato team (sciamana e relativo assistente, geomante e impresario di pompe funebri) alle prese con una ricca famiglia di Los Angeles di origini coreane perseguitata da terrificanti eventi paranormali. Se la prima metà del film è affascinante (la rappresentazione dei rituali è pazzesca) ma convenzionale (con valori produttivi eccelsi, chiaro), nella seconda il film esplode, contaminando il plot con elementi storico-politici di enorme interesse. Finale compiuto e inquietantissimo. Sublime il cast, guidato dal leggendario Choi Min-sik (l’indimenticabile Oh Dae-Su di Old Boy).

VINCENT DEVE MORIRE

Vincent, mite pubblicitario, un giorno viene aggredito senza motivo da uno stagista, il giorno dopo da un collega e quello seguente da una coppia di bambini ed è costretto a cambiare vita quando si rende conto che qualsiasi estraneo vuole ucciderlo, senza motivo…
Originale, intelligente e ferocissima satira e opera perfettamente “sul pezzo”, capace come poche di rappresentare la paranoia dei tempi moderni, fatta di ossessioni alimentate dai media e amplificate dai social e frutto del micidiale mix di pandemie, guerre, crisi economiche e complotti. Davvero sorprendente l’esordio di Stéphan Castang, passato a Cannes l’anno scorso, che deve tutto allo script, capace di mixare efficacemente dramma e humour noir (fino a sconfinare nell’horror/slasher), senza dare troppe spiegazioni (non esiste via di salvezza per il genere umano, se non la fuga) e alla performance “definitiva” del bravissimo Karim Leklou.

ODDITY

Un anno dopo la morte violenta della sorella gemella, Dani, avvenuta in una villa fuori città, Darcy, cieca e capace di comunicare con l’aldilà, si reca sul luogo del delitto, dove vivono il cognato e la sua nuova compagna, alla ricerca della verità…
Originale di mix tra horror, melodramma, assurdo e grottesco, Oddity rivela il talento del regista e sceneggiatore Damian McCarthy (il precedente Caveat onestamente non è era memorabile), che punta tutto su pathos e suspense, alternando momenti assolutamente WTF ad altri più lirici ed eleganti. Poche location, quasi nessuna scena in esterni, per un film che sembra quasi un’opera teatrale, ben recitata dalla coppia Carolyn Bracken (alle prese con un doppio personaggio) e Gwilym Lee. Finale geniale.

LA STANZA ACCANTO 

Asciutta, talvolta ironica e laicissima riflessione sulla Morte e quello che arriva poco prima, da parte di un Almodovar lucido e sincero, che oramai da anni “non sbaglia un film”, e sfrutta appieno la grandiosa performance di una Swinton in stato in grazia e di un’ottima Moore, stavolta valida spalla. Melodramma umano mai ricattatorio o lacrimevole, immerso nella luce e nei colori degli oggetti, della natura, dei vestiti, molto “meta” (le citazioni cine-artistic-musical-letterarie non si contano, a cominciare dall’immenso finale di Gente di Dublino, per inciso uno dei migliori testi mai scritti sul tema, imho) e argutamente feroce contro religione e ignoranza diffusa. Certo, come faceva dire ad uno straripante André Dussollier il collega Ozon nell’altrettanto splendido Tout s’est bien passé “Come fanno i poveri a morire?” anche i personaggi di Almodovar possono permettersi un prefinale morbido perchè effettivamente, sì, morire e brutto e scegliere scientemente di farlo problematico, ma farlo senza soldi è pure peggio…

BONUS!!!

MIGLIOR FILM ANIMATO DEL 2024: IL ROBOT SELVAGGIO

Dopo un incidente, un robot si trova isolato su un’isola popolata solo da animali. Il suo software gli impone di aiutare il prossimo e un giorno si imbatte in un uovo…
Splendida fiaba sci-fi animata, che si distingue per il suo approccio filosofico e riflessivo ed esplora la relazione tra l’intelligenza artificiale e la vita organica con inventiva e originalità. Visivamente incredibile, grazie alla scelta di dare un taglio impressionista ai chara dei personaggi e agli sfondi, con tante sequenze spettacolari, The Wild Robot sa parlare ad adulti e bambini, senza eccessive idealizzazioni (specie nella prima parte, dove la Natura è spietata e realistica e la Morte è presentata come parte integrante e inevitabile della vita) e con un’ironia e leggerezza rarissime, nel cinema animato americano, toccando molti temi “umani” (fisicamente assenti nel film). Una favola modernissima e ricca di empatia, che cita spesso (dal design del robot “miyazakiano” a classici vecchi e nuovi come Il gigante di ferro e Robot Dreams) ma sa parlare con la sua voce. Un futuro classico e il miglior film animato mai realizzato da DreamWorks Animation (toh, assieme a Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio).

MIGLIOR FILM ITALIANO DEL 2024: VERMIGLIO

L’arrivo di un soldato siciliano in uno sperduto villaggio sulle Alpi Retiche a cavallo della fine della Seconda guerra mondiale cambia radicalmente le vite dei membri della piccola comunità.
Il miglior film italiano dell’anno e un’opera destinata a lasciare il segno, anche a fronte di un quasi sicuro insuccesso commerciale. Maura Delpero firma una ricostruzione storica certosina, girando in modo asciutto, preciso e suggestivo, senza mai però che la forma ceda al contenuto e racconta una comunità e un periodo storico con una sceneggiatura credibile e impeccabile. I dialoghi: perfetti, memorabili nel mescolare le credenze popolari figlie dell’ignoranza, della suggestione e delle superstizioni religiose, a stilettate sagaci e pragmatiche, frutto della vita vissuta, della fatica, del lavoro duro, che vanno oltre gli insegnamenti che possono desumersi dai libri. Film stratificato e a volte arcano, che affronta compiutamente tanti temi (il ruolo della donna, l’accettazione della Morte, lo scorrere del Tempo, la fragilità dell’umano a fronte della Natura, immobile e atarassica, il passaggio dall’era rurale a quella moderna, l’accettazione del diverso) dove ogni personaggio è cesellato con un’attenzione insolita per il cinema italiano. E che cast incredibile, che fotografia pazzesca (di Mikhail Krichman, che ha lavorato spesso col grande Andrey Zvyagintsev). Davvero una visione epifanica. Candidato italiano all’Oscar 2025 come miglior film internazionale.

MIGLIOR DOCUMENTARIO DEL 2024: THE REMARKABLE LIFE OF IBELIN

Mats Steen è un videogiocatore norvegese morto a causa di una malattia muscolare degenerativa e incurabile, all’età di 25 anni.
I suoi genitori hanno inizialmente pianto quella che pensavano fosse stata un’esistenza solitaria e isolata, scoprendo però in seguito che Mats aveva condotto una “vita digitale” vibrante e intensa, che ha impattato profondamente su una vasta comunità di giocatori…
Si parla spesso (e a ragione) di quanto tossica possa essere in certi casi la comunità videoludica. Questo (fantastico) documentario, mostra finalmente anche l’altra faccia del medium, quella che porta estranei sparpagliati in ogni parte del mondo a unirsi per cause comuni, scambiare opinioni ed esperienze, crescere, divertirsi e maturare assieme. Benjamin Ree, regista illuminato, racconta la storia di Mats senza mai scadere nel melodramma e con un uso originale ed efficace del mezzo ludico (nel caso specifico World of Warcraft, con il cui motore viene raccontata la vita virtuale del ragazzo, partendo dagli archivi delle sue partite). Ne viene fuori il ritratto di una persona brillante e geniale, ironica e romantica, costretta in un corpo inabile a quasi tutto, ma traboccante di vita.
Se la Terra è una condanna, insomma, si può sempre essere liberi ad Azeroth.

MIGLIOR DOCUMENTARIO MUSICALE DEL 2024: BEATLES 64 

Davvero splendido questo documentario, l’ennesimo, oramai sono un genere a sè stante, sui FAB4, di cui stavolta viene raccontato il viaggio in America che li rese celebri anche lì. Il taglio è notevole e originale, si parla per esempio del rapporto con i fan e la musica afroamericana, di come il loro arrivo sia stato “salvifico” in un’America depressa dopo la morte di Kennedy e vengono toccati parecchi temi non prettamente legati alla musica, che permettono una contestualizzazione storica impeccabile. Peccato solo per le solite interviste spezza ritmo (anche se mi ha fatto piacere rivedere il mitico Sananda Maitreya aka Terence Trent D’Arby, che nel 1987 pubblicò uno dei miei album preferiti in assoluto), pare che la strada di Wham! (a oggi il miglior doc musicale mai realizzato, imho) non sia stata ancora seguita da nessuno.

MIGLIOR SERIE TV ITALIANA DEL 2024: HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO

Non c’avrei scommesso un centesimo e invece è davvero ben fatta, divertentissima, autoironica, con quel pizzico di malinconia tipico anche delle canzoni del gruppo. Pienamente confermato l’immenso talento di Sydney Sibilia, senza dubbio uno dei più moderni e poliedrici talenti registici italiani contemporanei. La sceneggiatura fa sbellicare, loro sono fantastici e l’idea di focalizzare l’attenzione sul rapporto tra i due e il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con tutti gli innumerevoli casini ad essa connessi, risulta una scelta assolutamente vincente, idem dicasi per l’utilizzo di una narrazione non lineare, che si dipana su diversi piani temporali. Un coming of age come non se ne vedevano da tempo, sembra quasi incredibile che sia un prodotto italiano. John Hughes, Richard Linklater e Cameron Crowe apprezzerebbero.

MIGLIOR SERIE TV AMERICANA DEL 2024: DISCLAIMER

Serie dell’anno. Non che il 2024 abbia finora offerto chissà che, ma…serie dell’anno e la dimostrazione che si può fare “cinema” anche col format delle serie tv. Cuarón torna alla regia (tutte le puntate sono da lui scritte e dirette) dopo il capolavorico Roma e più di un lustro, ma non ha perso la capacità di raccontare le emozioni. La storia, tratta da un bestseller di Renée Knight, narra la vendetta ordita da un anziano professore il cui figlio è morto per “colpa” di una scrittrice di successo con la quale aveva avuto una relazione, ma nelle mani di Cuaron diventa lo spunto per imbastire una tragedia grottesca che parla di delitto e castigo, rimpianti e rimorsi e dell’importanza che il Caso e il Destino hanno nelle vite delle persone. Illuminata dalla ammaliante fotografia di Emmanuel Lubezki, raccontata da un sagace voice over e dalle performance incredibili di tutto il super cast (Kevin Kline in testa), Disclaimer brilla nel desolante panorama della serialità americana e dimostra che per creare qualità servono talenti non improvvisati.

 



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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