pen|ti|mén|to 

s.m.
1257;

CO

1a. sentimento di rimorso o rammarico per aver trasgredito una legge morale o religiosa, cui si accompagna il proponimento di evitare la stessa azione nell’avvenire: profondo e sincero pentimento, mostrare, provare pentimento | nell’etica cristiana, dolore e rimorso per colpe e peccati commessi trasgredendo le leggi divine e i comandamenti cristiani

1b. estens., rammarico, rincrescimento per aver compiuto o non compiuto un’azione, per aver tenuto un comportamento diverso da quello che sarebbe stato opportuno o preferibile tenere

1c. TS dir.pen. collaborazione di criminali con la giustizia, che può costituire un’attenuante per una notevole riduzione della pena

2a. CO estens., cambiamento di opinione, di parere, di comportamento:una scelta che non ammette pentimenti

2b. CO correzione apportata da un autore a un testo già compiuto o alla riedizione di uno scritto | cambiamento apportato da un pittore alla sua opera in una parte già eseguita (fonte).

Oltre all’interesse per ricostruire il processo creativo, il pentimento è anche un fondamentale strumento in fase attributiva: solo un originale presenta pentimenti, mai le copie. [fonte]

«Deus meus,
ex toto corde me pǽnitet ac dóleo de ómnibus quæ male egi
et de bono quod omísi,
quia peccándo offendi Te,
summe bonum ac Dignum qui super ómnia diligáris.
Fírmiter propóno, adiuvánte grátia tua, me pæniténtiam ágere,
de cétero non peccatúrum peccandíque occasiónes fugitúrum.
Per mérita passiónis Salvatóris nostri Iesu Christi, Dómine, misérere.»

Un dettaglio da un'illustrazione de gioco pentiment

Introduzione: tempo e pentimento

“Manual save games were a mistake”

     –     Josh Sawyer

 

Invero la storia dei videogiochi si fonda, in buona parte, su un’eresia. Per quanto ci è dato sapere, i salvataggi manuali non sono che un’anomalia, un residuato genetico del tempo in cui i videogiochi non si erano ancora differenziati dagli applicativi. Sono come un organo vestigiale il cui uso improprio nega la sacralità del tempo. Ogni gioco è un labirinto, e il nostro compito è trovare una via d’uscita. Il nostro peggior nemico? Non il Minotauro, né il labirinto stesso, ma il tempo che scorre inesorabile. I salvataggi ci offrono il potere di ingannarlo. Possiamo esplorare ogni sentiero, ogni biforcazione, mappare il dedalo e trovare infallibilmente l’uscita. Un potere straordinario. Anzi, divino. Ma forse è troppo per l’esperienza che un videogioco vuole offrire. Di norma, il senso di un gioco non è la ricerca della perfezione, ma della fallibilità. È imparare dagli errori. A volte, significa scegliere una strada e pentirsi di quelle tralasciate. L’esperienza è la somma dei nostri errori e di quelli di chi ci ha preceduto. Senza errore, non c’è esperienza. Senza pentimento, non c’è autenticità. Come un dipinto, l’esperienza autentica nasconde sotto la superficie le correzioni dell’artista.

     1 – Nel principio era la parola      

             Palinsesto 

Un manoscritto si apre davanti a noi, con i suoi fogli finemente decorati e le parole vergate a mano. La miniatura di un frate amanuense ci trasporta in un’epoca lontana, dove i libri erano un bene prezioso e ogni pagina era una vera opera d’arte. È un peccato doverle cancellare. D’altra parte è così che usavano gli antichi: carta e pergamena erano merci preziose, per questo motivo era più economico raschiare via le parole per fare spazio alle nuove — da qui il termine palinsesto, che significa letteralmente “raschiare di nuovo”. 

La “rasatura” che apre il gioco non è solo un gesto pratico: è un atto simbolico, quasi sacrificale. Eppure, nulla scompare del tutto. L’inchiostro lascia traccia nei solchi della pagina, e le parole cancellate riaffiorano con nuovi significati, conservando parte della loro essenza originaria. A uno sguardo attento, il foglio può rivelare storie passate, storie possibili, storie sbagliate. Ma capire quale fosse quella originale è un’impresa difficile. Scoprire quale sia la vera, invece, è semplicemente impossibile.

               Scripta manent

Si sa che alcune idee nascano già formate, pronte per essere colte. Altre, invece, devono essere scartate, sedimentare in profondità e germogliare lì dove nascono i sogni. Un gioco la cui storia prende forma scrivendo sé stessa appartiene senza dubbio a questa seconda categoria: troppo esoterica per non suscitare scetticismo, troppo bizzarra per essere realizzata.

Ma Josh Sawyer (Icewind Dale I e II, Neverwinter Nights 2, Fallout: New Vegas, Pillars of Eternity) non è tipo da lasciarsi scoraggiare. Dopo la complessa gestazione di Pillars of Eternity II: Deadfire, il noto game designer di Obsidian Entertainment vede l’occasione giusta per realizzare il suo progetto più personale: un’idea rimasta in sospeso per vent’anni, che finalmente prende forma in un’avventura investigativa a sfondo medievale.

Un territorio poco esplorato e pieno di insidie, dove l’accuratezza storica è fondamentale, ma il rischio di pedanteria è sempre in agguato. Per oltre un anno, Sawyer e il suo team si sono immersi in libri d’ore, testi di magia, poemi classici e bestiari medievali, ma anche in atti notarili, contratti e manuali di storia della tipografia con il duplice obiettivo di trovare l’equilibrio tra fedeltà storica e accessibilità e rispondere alla domanda “come dare voce ai personaggi di un gioco senza voce?”

               Il potere delle parole 

L’azione più importante richiesta in Pentiment è leggere (e tanto). Nessuno pronuncerà le parole che compaiono sullo schermo: saranno affidate unicamente alla nostra voce interiore, tuttavia insufficiente a cogliere tutte le sfumature tra i vari caratteri. Perché le parole non sono semplici segni su carta, ma sigilli che racchiudono il carattere di chi le scrive, il suo stato d’animo, il suo ceto sociale, in breve: la sua storia.

Per l’occasione, il team di Lettermatic, specializzato in type design e lettering, ha studiato un’ampia gamma di stili tipografici, sintetizzandoli in sei font distintivi:

  • Textura: tipico dei manoscritti monastici, usato dagli ecclesiastici eruditi.
  • Humanist: basato sulla scrittura umanistica italiana, caratterizzante un’educazione universitaria.
  • Cursive: ricostruito da campioni del XVI secolo, usato dai personaggi dotati di un’istruzione di base.
  • Paesant cursive: lo stile più semplice, riservato alle persone con il livello di istruzione più basso.
  • Printed: ispirato ai caratteri della tipografia di Nicolas Jenson (1430 ca. – 1480).
  • Thread-puller: la lingua degli enigmi e dei segreti.

Ma gli stili, da soli, non bastano a definire ogni personaggio. Sono le imperfezioni, le cancellature e le sbavature che trasformano in segno le turbolenze dell’animo umano e poiché non tutti gli errori si ripetono nello stesso modo, particolare attenzione è stata dedicata alla riproduzione di una casualità credibile. Alcuni refusi nascono dalla fretta, altri dalla scarsa istruzione, dalla rabbia, o dalla paura, ma tutti, senza eccezione, hanno un significato. Parole ed errori si stratificano, raccontando la storia di un paese incastonato tra le Alpi, dove la modernità si affaccia con il suo volto più sorprendente.

               Dalla pergamena al libro stampato 

Nel XVI secolo, la diffusione delle idee cambia radicalmente con l’avvento della stampa a caratteri mobili. Tassing e Kiersau, benché luoghi di fantasia, diventano uno studio in miniatura di ciò che sta accadendo nel resto d’Europa: l’invenzione di Gutenberg trasforma il territorio e il tessuto sociale, mentre l’abbazia perde progressivamente il suo ruolo centrale nella comunità. Già in ritardo rispetto ai tempi e volutamente anacronistico, questo processo è simbolicamente rappresentato dalla secolarizzazione della produzione libraria.

La professione del copista è resa obsoleta dalla stampa, che accorcia tempi e distanze a scapito della contemplazione artistica. Le lamine d’oro, gli azzurri ineffabili, le straordinarie miniature e i marginalia, capaci di evocare stupore dai bordi di ogni pagina, non appartengono più alla nuova era. 

Le rivolte contadine e la riforma protestante, veicolate attraverso fogli stampati, diffondono idee sociali, religiose e politiche che scuotono l’ordine secolare. In questo contesto, le parole diventano armi potenti, capaci di determinare il destino di intere comunità. Da qui l’importanza di scegliere accuratamente le parole in un gioco che non dimentica nulla di quanto diciamo e che, prima o poi, presenterà il conto delle decisioni prese.

               Una selva di parole 

Il nostro vagare per Tassing è come addentrarsi nelle profondità di un testo, svelarne gli intrecci, rimuovere gli strati superficiali per giungere al nucleo più antico. Ci ritroviamo, nostro malgrado, a vestire i panni del detective quando un uomo viene ucciso e quelli del linguista quando il delitto si fa sintagma all’interno della narrazione, con il compito di individuare una storia che prevalga sulle altre, senza alcuna certezza di essere nel vero. 

Intanto, le parole si stratificano in lingue vive e morte fino a formare una struttura che riflette l’immagine imperfetta del mondo. È una libreria — la stessa di Eco e di Borges — sui cui scaffali si affastellano codici miniati, grimori e incunaboli, sfiorandosi con le loro copertine polverose, chiamandosi l’un l’altro, raccontando e mentendo. In uno di essi c’è (o forse c’era già) la storia che si intreccia davanti ai nostri occhi, mentre ne sussurriamo le parole sulla punta delle labbra. 


     2 – L’ambizione di Bruegel 

               Vita di paese

Nel film The Mill and the Cross (2011), il personaggio di Bruegel il Vecchio (interpretato da Rutger Hauer) pronuncia una frase che è l’emblema di tutta la sua arte: “My painting will have to tell many stories. It should be large enough to hold everything […] all the people”. Citata da Josh Sawyer come fonte di ispirazione per Pentiment, la pellicola di Lech Majewski narra la realizzazione del capolavoro La Salita al Calvario. Nell’opera, oltre duecento comparse – mercanti, contadini, clerici, soldati, e altri ancora – compongono un ritratto di vita quotidiana in cui nessun personaggio emerge sugli altri come protagonista. Il colpo d’occhio è dinamico e vertiginoso. Il vortice di personaggi riempie la scena di elementi narrativi, ognuno con la sua piccola, incidentale parte nell’evento. In fondo, è solo un giorno come tanti: dispute tra villani, un povero cristo messo in croce, vita di paese. Sullo sfondo l’occhio ricerca l’immagine di una roccia che sfiora il cielo con un mulino posto agevolmente sulla cima. Questo elemento diventa il centro della ragnatela lasciata vacante dal suo tessitore, simbolo dell’incedere inarrestabile e rivoluzionario del tempo. 

               Progresso e trasformazione

Svegliarsi in una fattoria di Tassing in una mattina del 1518 significa udire gli anziani lamentarsi del tempo, il gorgoglio della zuppa, il canto del gallo alle prime luci dell’alba. Durante il desinare, si condividono le difficoltà di un raccolto scarso e di dazi sempre più gravosi, ma si scambiano anche notizie dai centri vicini, voci di rivolte e di speranza. La vita segna la pelle, ma la bellezza sa manifestarsi anche tra le arnie e le porcilaie, dove parla con la voce del volgo e la saggezza di una madre che ha visto l’inizio e la fine di molte cose. Ogni casa racconta una storia fatta di piccoli dettagli, e queste storie si intrecciano o si separano nel caleidoscopio delle vite. 

Sin dai primi passi in paese, si percepisce la stessa ambizione narrativa e scenografica che accomuna Pentiment e La Salita al Calvario. Ma Pentiment mostra qualcosa che nelle opere di Bruegel il Vecchio era tecnicamente impossibile: l’evoluzione della comunità nel tempo.

L’alba ha l’odore del pane fresco e il martellare ritmico sull’incudine. Il ceto intermedio ha trovato il suo alveo naturale nelle vie del centro, dove nei secoli successivi incontrerà le condizioni favorevoli alla sua affermazione. Persino gli stampatori (incredibile visu in un villaggio della periferia imperiale, sebbene non implausibile) vivono la loro fase inflattiva incidente alla secolarizzazione della produzione libraria. 

Il perfezionamento tecnologico della stampa ha ridefinito i concetti di identità e comunità. Il nuovo stato “mercuriale” della materia informativa ha catalizzato una trasformazione nella percezione del mondo che persiste tutt’oggi più o meno inalterata. Non è dato sapere, ad esempio, se il luteranesimo sarebbe avvenuto senza la democratizzazione delle informazioni, ma è indubbio che la sua diffusione sarebbe stata più lenta. E chissà che cosa ne sarebbe stato delle rivoluzioni contadine senza la pubblicazione dei Dodici articoli di Memmingen e la diffusione dei pamphlet illustrati.

È curioso poi notare come alcune dinamiche sociali imitino il funzionamento del sistema immunitario: quando le idee di rinnovamento si diffondono in maniera virale, la reazione di contrasto non tarda ad arrivare, quasi come se il tessuto sociale si opponesse per ristabilire lo status quo. Alla nascita dell’editoria e del giornalismo è conseguita una lotta tra dirompenza trasformativa e desiderio di controllo — ovvero, tra libera informazione e censura esercitata dalle autorità politiche e religiose. Da questo conflitto sono emerse problematiche fino ad allora sconosciute. La veridicità delle fonti, la capacità di influenzare le opinioni e l’uso scorretto dei nuovi media sono questioni attuali che affondano le loro radici negli albori dell’era moderna. 

               Kiersau tra due epoche

La velocità del torchio rende di fatto obsoleta l’arte dei copisti, mentre la riforma protestante accelera la chiusura dei monasteri in Europa centrale. Sola, nella sua bolla anacronistica, resiste Kiersau. Con la sua operosità benedettina, l’abbazia rappresenta una sorta di microcosmo delle vicende umane suddiviso in due metà: una femminile e una maschile, essendo infatti un’abbazia di tipo doppio — un fatto raro, ma non del tutto inusuale.

L’emisfero femminile è un luogo di preghiera e operosità. Il cortile ospita un orto dove suor Matilda e suor Gertrude, con le loro conoscenze botaniche e farmacologiche, preparano decotti, impacchi e infusi. Altre suore, come suor Illuminata, gestiscono la biblioteca del monastero, custodendo tesori di enorme valore culturale e artistico. Tuttavia, la loro posizione subordinata all’interno della comunità monastica — e, in generale, in quella di Tassing — è evidente: ciascuna porta con sé una storia fatta di rinunce, costrizioni e sofferenze. Insieme, esse assumono una funzione simbolica che evidenzia le disparità di potere tra uomini e donne nel Medioevo (e non solo).

Il monastero maschile rappresenta invece l’emisfero dominante. Al suo interno si trovano la chiesa, il chiostro, la biblioteca, il refettorio, il giardino, il dormitorio, la casa dell’abate, la foresteria, i recinti per animali, il mattatoio e il cimitero. Il vero fiore all’occhiello però è lo scriptorium, l’opificio dedicato alla copiatura e alla decorazione dei manoscritti. La fama degli amanuensi si estende in tutto l’impero ed è, a conti fatti, l’unico motivo in grado di scongiurare la chiusura dell’abbazia.

Tra i due emisferi, sorge il reliquiario. Eretto per accogliere la reliquia della mano di San Maurizio, il reliquiario è un luogo dove la fede, il racconto e talvolta la menzogna si intrecciano per costruire non soltanto il sacro, ma la stessa idea di realtà storica. Come Baudolino insegna, non è tanto il reperto in sé ad attirare i pellegrini (e relative donazioni) da ogni angolo del mondo, ma il racconto – la liturgia, il pamphlet, la voce del predicatore – a trasformare un frammento di osso qualunque in un oggetto dotato di potere miracoloso. Il tema delle reliquie offre inoltre lo spunto per una considerazione sulla natura stessa della storia, dato che ogni “prova” storica altro non è che un frammento di un racconto costruito, selezionato e spesso “abbellito” per servire uno scopo preciso. In questo senso, Pentiment ci invita a leggere la Storia (e la Storia delle reliquie) come un grande repertorio di «oggetti‑testimonianza» la cui verità è sempre mediata dalla narrazione umana.

               The mill

Kiersau domina la valle, offrendo una vista maestosa sulle montagne che circondano Tassing. Dall’alto, le costruzioni appaiono tutte simili, tranne una: il mulino di Lenhardt Müller, l’ultimo richiamo all’arte di Bruegel il Vecchio. Prima di domandarsi cosa ci faccia un mulino a vento in una cittadina dell’Alta Baviera, sarebbe opportuno capire il suo ruolo nella narrazione. Indifferenti al destino della gente, le pale fanno girare senza sosta la macina di pietra. Una mano invisibile muove gli ingranaggi, trasformando l’energia in lavoro e generando profitto. Una dinamica che prefigura le prime regole di un sistema in cui la creazione e l’accumulazione di valore diventano il motore delle trasformazioni sociali e produttive. 

Le ore, prima scandite sui momenti delle preghiere, ora seguono il ritmo di un cuore meccanico. Il tempo ha lasciato il segno. Ripercorriamo i nostri passi verso la fattoria, ma le cose sono diverse da come le avevamo lasciate: la modernità ha già cambiato il volto al mondo. 

     3 – The Fifth Knot          

             La città della ragione

Il protagonista di Pentiment è Andreas Maler, un giovane artista in viaggio d’apprendistato per l’Europa. La personalizzazione del personaggio è estremamente essenziale e si limita a pochi aspetti del suo profilo: le città visitate, gli ambiti di studio, e altri tratti volti a influenzare le interazioni di gioco. Tale scelta stilistica riflette la natura del gioco: in Pentiment il giocatore può immedesimarsi in Andreas e determinare il corso degli eventi. Tuttavia, il protagonista ha una caratterizzazione fondamentalmente predefinita, che si ispira, in buona parte, alla figura di Albrecht Dürer: entrambi sono originari di Norimberga, condividono un passato familiare difficile, e devono entrambi far fronte al peso delle aspettative. 

Inoltre, l’approfondimento psicologico è un aspetto centrale nella narrazione, reso possibile soltanto grazie a una limitazione delle varianti caratteriali.

Andreas vive un’esperienza introspettiva intensa, realizzata attraverso un linguaggio simbolista denso e immaginifico. In sogno, la Nave dei Folli lo conduce alla Città della Ragione, dimora dei quattro pilastri della sua personalità:

  • La cautela e la compassione cristiana, raffigurata come la Beatrice dantesca;
  • La razionalità e l’etica, incarnate nell’immagine di Socrate;
  • L’irrazionalità e l’istinto, simboleggiate da San Grobiano;
  • Il mediatore interiore, personificato dal mitico Prete Gianni.

Questo luogo è una proiezione simbolica della psiche del protagonista, e non deve sorprendere che ricordi il dipinto La Città Ideale esposto a Urbino, dal momento che l’intero mondo di gioco ci appare come una rappresentazione artistica all’interno di un codice miniato. I tratti lineari, la palette cromatica limitata e la cura per ogni minimo dettaglio trasformano ogni scena in un dipinto, dove l’artista osserva il mondo attraverso la lente della propria esperienza.

               Wanderjahre

Grazie al suo status laico, Andreas ha la possibilità di esplorare sia i chiostri dell’abbazia che l’ambiente secolarizzato di Tassing. Da buon protagonista postmoderno, però, il giovane artista si ritrova al centro di eventi più grandi di lui. Queste vicende non segneranno solo la storia del mondo, ma soprattutto la sua vicenda personale.

Nel primo capitolo, Andreas è un pittore dotato ma ancora inesperto. Alcuni dettagli rivelano il suo rapporto complicato con il padre, le ansie per un destino imposto da altri e il timore di non essere all’altezza delle aspettative. Tuttavia, tra le mura di Kiersau, trova una guida in Fratello Piero, un copista anziano, che diventa per lui un mentore e la figura paterna di cui aveva bisogno. Emblematica è la scena in cui Piero osserva l’opera incompleta di Andreas e gli offre un insegnamento fondamentale: 

“L’arte è illusione, è narrazione, ma nella loro forma più sublime queste immagini tracciano un sentiero verso la verità.” 

Questo concetto si rivelerà cruciale nel corso della storia, stratificandosi nel testo come i colori sovrapposti in un dipinto, dando profondità e significato alla narrazione.

A un primo livello, questo insegnamento aiuterà Andreas a perfezionare il suo capolavoro, arricchendolo di sfumature capaci di restituire la complessità e la bellezza della vita quotidiana. In questo si può scorgere una metafora della fiction storica, che intreccia immaginazione e realtà su basi documentate e filologicamente accurate. Ma l’importanza del pensiero di Piero si rivelerà soprattutto in seguito, quando un omicidio sconvolgerà la quiete di Tassing e Andreas si ritroverà, suo malgrado, a dover indagare. 

               The Fifth Knot (with a six-pointed white shield) 

Come ogni buon gioco di ruolo, Pentiment coinvolge il giocatore attraverso scelte e questioni morali. Ma non è il semplice atto di scegliere a rendere grande un gioco di ruolo, quanto il peso delle conseguenze. Ed è proprio in questo che si esprime la complessità della scrittura di Pentiment. Imboccare una strada e tralasciarne altre, coltivare dei rapporti trascurandone altri, innamorarsi di un’idea che ne esclude altre: ogni atto è un filo teso tra mistero e rivelazione, ogni decisione un punto dove si annodano diversi destini. Quando l’artista — tra tutti i tipi di persone, in assoluto la meno obiettiva — si trova di fronte a una scelta di vita o di morte, le sue convinzioni vengono messe alla prova. È in situazioni come queste che il sentiero per la verità appare labirintico come il celebre Quinto Nodo di Albrecht Dürer.

               La città della malinconia

A partire dal secondo capitolo, la mente di Andreas — un tempo governata da armonia e razionalità — appare decisamente più ingarbugliata. Come Andrej Rublëv nel celebre film di Tarkovskij, Andreas Maler diventa testimone di conflitti e violenze indicibili, che scatenano in lui una profonda crisi interiore. Tali turbamenti si riflettono nel “palazzo mentale”, dove Prete Gianni è stato detronizzato in favore di Malinconia,  — ossia Beatrice vestita di “umor nero”, o comunque si voglia chiamare la depressione prima della nascita della psichiatria. Contestualmente, Socrate e San Grobiano sono scomparsi senza lasciare traccia e non è difficile intuirne il motivo: una volta insediata, la malinconia occupa l’intera sfera mentale, soffocando ogni forma di pensiero razionale e di gioia. 

Il mondo interiore diventa così in un groviglio, dove ogni tentativo di fuga sembra stringere ulteriormente i nodi intorno alla persona. All’origine di questo malessere si celano diverse cause. Una di esse è certamente il lutto che sconvolge la sua esistenza. 

Si stima che, a quell’epoca, tra il 25% e il 30% dei bambini morisse entro il primo anno di vita, e circa il 40-50% non raggiungesse i cinque anni. Anche la mortalità materna era elevata, con un tasso di circa un decesso ogni 50 parti o complicazioni correlate. Questi numeri suggeriscono una familiarità con la morte ben superiore a quella dei nostri giorni, ma poco possono dire su come le persone affrontassero il lutto. In casi come questi, la finzione può addentrarsi in territori che le fonti storiche difficilmente riescono a rappresentare e ricreare una sorta di “mappa psichica”. Dunque la finzione — ovvero l’arte — tende non necessariamente al vero, ma almeno al verosimile. Da questo punto possiamo individuare un’altra causa della profonda crisi del protagonista. Andreas scopre che, dietro il complesso intreccio di simboli della realtà, non può celarsi alcuna certezza assoluta. Sotto uno strato segnico se ne nasconde un altro, dietro ogni enigma si cela un nuovo mistero, proprio come Tassing nasconde i suoi segreti tra statue e antichi mosaici. 

Se però la verità è solo un concetto illusorio e non esiste un sentiero lineare che porti ad essa, qual è allora il vero significato dell’arte? 

Disilluso e tormentato, l’artista inizia a dubitare della propria vocazione. Il modello interpretativo che lo ha sempre guidato si rivela inadeguato, costringendolo a una scelta cruciale: cambiare o perdersi per sempre nel proprio labirinto interiore.

     4 – Ciò che rimane 

“Nella storia contano anche i fatti narrati avvenuti”
Stanizlaw Lec, Pensieri Spettinati.

               Origini 

Tassing è situata in una valle delle Alpi Bavaresi, lungo la via imperiale che collega l’Alta Baviera al Tirolo. La leggenda narra che la città sia stata fondata da Moritz, un legionario romano di origine egiziana. La sua legione, in fuga dall’esercito romano — a quell’epoca poco accomodante verso le conversioni al cristianesimo — si trovò bloccata dalla neve nei pressi del luogo in cui sorge oggi Tassing. Qui, Moritz trovò un aiuto insperato da Satia, la figlia di un capo locale. La giovane condusse i soldati verso una fonte miracolosa, dove lei stessa fu battezzata. Al momento del battesimo, le nevi si sciolsero, rivelando un’abbondanza di cibo e risorse che salvò la legione. In segno di gratitudine, Moritz fondò la città di Tassing. Purtroppo, tutto ciò non servì a salvarlo. Infatti le truppe romane, che nel frattempo erano giunte sul posto, martirizzarono sia lui che Satia. Come se non bastasse, i romani smembrarono il corpo di Moritz temendo una sconveniente resurrezione. Una reliquia della sua mano viene custodita nel monastero di Kiersau ed è visibile ai pellegrini a fronte di una modica somma di denaro. A Satia invece è stato eretto un santuario in una radura non lontana dall’abbazia. In seguito, San Maurizio e Santa Sazia sono diventati i patroni della città di Tassing.

               Varianti del mito

Questa versione non è l’unica storia sulle origini di Tassing. Un’alternativa vede come protagonista una ninfa di nome Tassia. Come consuetudine per quelle della sua specie, Tassia decise di fare il bagno in una fonte nella foresta, così si spogliò delle sue vesti e si immerse delicatamente nelle limpide acque del ruscello. Poco distante, il dio Marte era intento nella caccia al cinghiale quando un urlo improvviso spaventò la sua preda e la fece scappare. Curioso e non poco irritato per l’accaduto, Marte giunse nella radura e qui vi trovò Tassia importunata da un grasso, orrido satiro. Di fronte a questa scena, il dio non restò con le mani in mano: difatti si tramutò in un lupo e mise in fuga la creatura ferina. In segno di gratitudine, Tassia invitò Marte a bagnarsi con lei. Quando i due infine si separarono, le gocce grondanti dai loro corpi toccarono il terreno, rendendolo il più fertile di tutta la valle.

Ma ne esiste un’altra di storia, più antica dei cristiani e delle divinità romane, che gli anziani tramandano con i loro arcaismi e rebus linguistici. In questa variante, il capo della tribù locale si chiamava Raetus e aveva fama di non essere molto riconoscente verso gli dei. Troppo orgoglioso per fare offerte, Raetus aveva condannato la sua gente a vagare senza una terra da poter chiamare propria, cacciando e raccogliendo cibo per sopravvivere. Un giorno, attirato dai guaiti di dolore, Raetus si imbatté in un lupo caduto in una trappola. Invece di uccidere la bestia, come avrebbe fatto la maggior parte dei suoi simili, Raetus decise di liberarla. Ora, gli antichi dei potevano comportarsi in maniera strana, talvolta crudele, ma, se c’è una cosa sulla quale si poteva contare, era la loro gratitudine. I lupi, per chi non lo sapesse, erano gli animali sacri a Perchta, il cui culto era molto potente a quel tempo. Perchta era la dea della natura e della caccia, ma non di una qualsiasi: Perchta era a capo della Caccia Selvaggia — una “processione spettrale” attraverso cieli e foreste che annunciava eventi funesti. Così la dea incaricò il lupo di guidare Raetus fino ai campi a lei sacri. Così, il capo condusse la sua gente in queste terre fertili dove fondarono la loro casa. In seguito arrivarono i romani e dopo ancora i santi ad eclissare la memoria di quei fatti. Ciononostante, alcuni a Tassing ancora onorano Perchta, che li protegge dalle streghe e da altre minacce.

               Il tempo, la storia e la marmellata 

Queste sono solo alcune delle innumerevoli storie sulle origini di Tassing, sedimentatesi col tempo nella memoria collettiva. Sebbene possano sembrare incredibili, incoerenti e talvolta frammentarie, insieme formano un terreno stratificato di racconti cui diamo il nome di storia. Se poi reperti, reliquie, e testimonianze possono essere fraintese quando non addirittura contraffatte — Baudolino docet — rimane una sola certezza: che non si potrà mai stabilire quale versione sia quella “effettivamente vera”. 

La storia, materia fragile ed estremamente malleabile, si presta ad infinite interpretazioni: si dice che abbia un verso giusto e uno sbagliato e che solitamente la scrivano i vincitori. Non si può trascurare poi “il problema della marmellata”: come si preparava la marmellata quando lo zucchero era un bene di lusso? Se lo domandava lo storico Marc Bloch in una lettera al collega Lucien Febvre, sollevando un interrogativo che apriva nuove prospettive nello studio del passato, lontane dai cosiddetti grandi avvenimenti. Esempi di tale approccio sono i saggi di Carlo Ginzburg come Il Formaggio e i Vermi o Il Ritorno di Martin Guerre di Natalie Zemon Davis — entrambi citati tra le ispirazioni di Pentiment. Questi studi hanno dato origine alla “microstoria”, campo che indaga gli aspetti più minuti e spesso trascurati del passato. L’attenzione si sposta dalla guerra di Smalcalda alla vicenda personale di un mugnaio alle prese con udienze e processi a causa delle sue bizzarre convinzioni religiose. Il campo di ricerca si restringe a verbali, incartamenti e inventari, dai quali emerge un disegno incoerente, spesso contraddittorio influenzato sia da chi ha prodotto le fonti sia da chi si ritrova a doverle interpretare.

               Il Caso di Andreas

In questo contesto, Andreas Maler accetta la sfida di ricostruire il mosaico e perde. In ogni possibile diramazione della trama, la ricerca della verità si rivela un fallimento. Non è colpa sua – dopo tutto, non è un investigatore di professione. Il vero “colpevole”, se così si può dire, è l’autore, che, rimuovendo la soluzione dall’equazione, fa crollare l’intera struttura narrativa del “whodunit”. Senza certezze su cui basarsi, senza prove inconfutabili, l’unica opzione per Andreas è “scrivere” una storia che prevalga sulle altre e pentirsi di quelle scartate.

Dopotutto che cos’è la storia se non “ciò che ci lasciamo alle spalle”? Se ne sta lì, nei libri o nella terra, in attesa che le generazioni future ne diano una nuova interpretazione e trovino una nuova versione prevalente su tutte le altre.

Ma se le parole sono uno strumento per mentire, se non ci si può fidare delle persone e se né l’arte né la storia possono aspirare alla verità assoluta, che dire dei libri? Come diceva Umberto Eco, “I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica, ma cosa voglia dire”. Allo stesso modo di come Pentiment sveli i suoi segreti pagina dopo pagina, rivelando nel suo strato più intimo di essere il palinsesto de Il Nome della Rosa, così simile all’originale eppure così diverso.

Alla fine, ciò che rimane non è una verità assoluta, ma un caleidoscopio di storie che, come reliquie antiche, si depositano nella coscienza del giocatore. La storia non è mai una conclusione definitiva, ma un invito a giocare di nuovo e lasciarsi sorprendere da nuove interpretazioni. In questo gioco di ombre e luci, i libri e le storie ci ricordano che il vero potere non risiede nel racconto univoco dei fatti, ma nel continuo dialogo tra passato e presente, tra ciò che fu e ciò che, ancora, si può svelare.

     Bonus track – Chansons balladées

Svegliarsi in una fattoria di Tassing nel 1518 significa udire il vento che muove gentilmente i rami, il ronzio operoso delle arnie, il canto del gallo alle prime luci del giorno. È il calmo respiro di un’epoca preindustriale. In Pentiment il silenzio è spesso protagonista, ma questo non si traduce affatto in una scarsa attenzione alle musiche. Tutt’altro: la colonna sonora è parte fondamentale dell’opera, riflettendo la medesima cura per i dettagli dell’opera.

Quando ci avviciniamo al monastero, siamo accolti dagli echi di una voce angelica: fratello Rudiger sta intonando il Victimae Paschali Laudes, una sequenza risalente all’XI secolo dedicata alla sacralità della Pasqua, che i futuri eventi caricheranno di ulteriori significati. La solennità del momento è tale che vale la pena restare in ascolto. Il canto gregoriano risuona ancora nelle navate quando incontriamo fratello Piero nello scriptorium. Le parole del miniatore magari non avranno voce, eppure ne percepiamo ugualmente tutto il calore attraverso il delicato contrappunto tra dulciana e ciaramella. Il repertorio di riferimento è quello della chanson e della musica polifonica, che ha conosciuto la sua massima espressione proprio a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.

La medesima tessitura armonica si rivela in Andreas’ Return, incentrato sulla prodigiosa (e improvvisata) intesa tra viella e viola, così come in Sister Amalie’s Second Vision, in cui la sovrapposizione di linee vocali costruisce un ponte emotivo che coinvolge profondamente il giocatore. 

Ma non è tutta polifonia ciò che luccica. Nel brano The Mob Pursues the Abbot, infatti, l’immediatezza di un’unica linea melodica è necessaria ad accentuare la concitazione della scena cui fa da accompagnamento. Il saltarello, già reso celebre dai Dead Can Dance in Aion, viene riproposto con una rivisitazione ritmica dove melodia e percussioni seguono metriche diverse, dove la prima sembra affrettare il passo trascinando dietro la seconda in una fuga rocambolesca. 

Gli Alkemie sono un ensemble di musicisti di base a Brooklyn specializzati in musica medievale. La loro passione per i sentieri sonori che si perdono in epoche remote li ha portati all’attenzione di Josh Sawyer grazie a un fortunato passaparola. 

Il processo di composizione è stato quantomeno singolare: di solito, in ambito videoludico, un compositore si trova a dover scrivere dei brani quando il lavoro dei programmatori è già finito. Con Pentiment le cose sono andate un po’ diversamente. Senza una traccia cui fare riferimento, la composizione ha seguito le “imbeccate narrative” del game director. Il risultato finale è un’opera che si mantiene in costante equilibrio tra accuratezza storica e fruibilità, riflettendo al contempo le complesse sfaccettature del gioco.

La copertina è stata realizzata da Benjamin A. Vierling con la tecnica mische. Il dipinto ritrae il protagonista della storia, Andreas Maler, circondato da una miriade di riferimenti al gioco più o meno espliciti: dalle note misteriose al pettirosso morto, passando per il monastero ai piedi delle montagne bavaresi e un “pentimento” della tauroctonia mitraica, che emerge dal motivo raffigurante il toro alato di San Luca, patrono di artisti e pittori.



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