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Tomb Raider: Se la teenager s’incazza

Ammetto candidamente di non essere mai stato un estimatore dei Tomb Raider classici. Quando Lara Croft veniva esibita persino durante i concerti degli U2 (Bono ai tempi già indossava gli occhiali arancione e credo che da allora non se li sia mai tolti…dev’essere brutto vedere il mondo con i colori falsati solo per soldi. Perchè lo farà per soldi, giusto? O sarà uveite permanente? Boh.) come “simbolo del videogioco che cambia e attira le masse”, io da buon nerd me ne stavo a leveluppare come un imbecille qualche personaggio di JPRG.

Mai e poi mai avrei pensato che la saga dell’archeologa tettona sarebbe durata fino a oggi, con buona pace di Toby Gard, ideatore del personaggio, che probabilmente non ci credeva nemmeno lui. A ben vedere, dopo un primo episodio “seminale” (ehm…) , tutti quelli che seguirono scatenarono polemiche a non finire sulle pagine delle riviste prima e quelle dei siti poi, tra appassionati integralisti della prima ora e casualoni che assistevano indifferenti ai piccoli ma importanti cambiamenti che ogni episodio introduceva al gameplay e alla storia.

Dopo l’acquisizione della Eidos da parte di Square Enix,  si è quindi deciso di fare tabula rasa e ripartire da zero, anche per fronteggiare un drastico calo di popolarità dell’avventuriera. E’ nato così Tomb Raider, che di tomb ha poco e raider ancor meno ma che rappresenta uno dei più fulgidi esempi di action adventure degli ultimi anni. La matrice, va da sé, è Uncharted e non certo un qualsiasi titolo della serie originale. Il blockbuster Sony ne ha influenzato la grammatica, la narrazione, il gameplay. Eppure…

Tomb Raider non è una copia conforme, anzi. Eguaglia e talvolta supera il suo padre putativo. Lara, anima fragile, almeno all’inzio del film, pardon, del gioco, che si apre con uno spettacolare e “zemeckis-iano” naufragio su un’isola misteriosa (ma senza botole nascoste), è una teenager come tante che si trova a dover crescere in fretta. Rivederla, dieci/dodici ore dopo, ricoperta di ferite, non solo esteriori, vincente e pronta ad iniziare la sua nuova vita, rappresenta uno dei più emozionanti fenomeni di “crescita ludica” visti da parecchi anni a questa parte.

Nonostante lo script della Pratchett sia tutt’altro che esaltante e molte, troppe situazioni appaiano banali e scontate (la vita di Lara sull’isola prevede l’applicazione pedissequa della Legge di Murphy), il gioco avvince ed emoziona. E’ violento, crudo e brutale: le morti abbondano. Il corpo di Lara è straziato, lacerato, trafitto. Alla faccia della sospensione dell’incredulità e pure del realismo, che imporrebbe un decesso per tetano pochi minuti dopo l’inizio del gioco.

Tomb Raider offre un gameplay variegato: qualche enigma, gli odiatissimi (e ostici) QTE, una velatissima componente Rpgistica, un approccio “Metroid-esco”, ottimi combattimenti, scene emozionali ed emozionanti e un finale appagante. E’ c’è pure il multiplayer, residuo ancestrale di questa (oramai non più) next gen. Sotto il profilo scenografico, Tomb Raider rientra tra i vertici di questa lunga generazione: sequenze e inquadrature mozzafiato, ambienti dettagliati e una grafica fuori parametro, con una cura maniacale per le animazioni e un notevole gusto per l’uso del colore.

I puristi resteranno sconvolti, ma questo Tomb Raider è il miglior reboot che si potesse realizzare: un gioco fresco, divertente, figlio di questi anni e dell’evoluzione del videogioco, che sa però anche omaggiare il passato, glorioso, di un’icona senza tempo.

Lara, insomma, è tornata per restare.

Tomb Raider è disponibile per PS3,XBOX360 e PC dal 5 marzo.



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