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Looking at things Vol.5: perché Beyond: Two Souls non emoziona

ATTENZIONE: l’articolo contiene SPOILER sulla trama di Beyond: Two Souls, continuate a vostro rischio e pericolo.

Dopo circa una settimana di pigre sedute spaparanzato sul divano in piacevole compagnia, ieri ho finito Beyond: Two Souls. In un recente episodio di RingCast, il podcast di videogiochi che conduco da anni, spiegavo come Beyond fosse il gioco “della domenica”. Richiede poca concentrazione, si può giocare perfettamente anche da stanchi, e in due funziona concettualmente meglio. Prima che a qualcuno venga in mente di lagnarsi, questa non è una recensione, ma più una riflessione sul perché l’ultimo lavoro di David Cage sia al tempo stesso pregevole sotto alcuni punti di vista e incredibilmente idiota quando si tirano in ballo altri elementi.

Prima di tutto va detto che Beyond è un videogioco terribilmente (forse pure troppo) drammatico, costruito però su fondamenta solide: Jodie, la protagonista del gioco, è legata dalla nascita ad Aiden, un’entità spirituale la cui origine non è chiara fino alle ultime battute di gioco. Ora, di per sè questa situazione garantisce tutto quello di cui Beyond avrebbe avuto bisogno: c’è una protagonista insicura che deve gestire problemi più grandi di lei, c’è un comprimario muto, in grande intimità con Jodie, la cui presenza permea l’intera esperienza, ma soprattutto c’è un ostacolo di fondo che rende la storia interessante: Jodie è diversa dagli altri, e sempre lo sarà. Il legame che ha con Aiden le impedisce di condurre una vita normale, e in questo senso il gioco fa un buon lavoro piazzando Jodie in situazioni socialmente complesse in cui una persona con i suoi “limiti” non ha sostanzialmente possibilità di successo.

È qui che il gioco riesce a trattare il tema della diversità in maniera delicata, forse goffa a tratti – fra uncanney valley e dialoghi a volte banali – ma anche, e non raramente, toccante. Jodie bambina o adolescente è constretta a desteggiarsi fra situazioni di orrore in senso stretto e di orrore mondano, dove i suoi peggiori nemici spesso non sono le entità che fuoriescono dall’Infraworld ma le persone che la attorniano.

I problemi iniziano quando il gioco inizia a tirare in ballo la CIA e la Repubblica del Kazirstan, ovvero i cinesi cattivi terroristi pazzi. Le scene ambientate in medio oriente urlano “dovevamo pur vendere in America” da ogni frame, mentre la loro utilità per la storia umana di Jodie è talmente secondaria che la completa rimozione della storia d’amore con l’agente Ryan Clayton – forzatissima e che il gioco sembra voler suggerire come via preferenziale – non avrebbe impattato minimamente lo sviluppo di Jodie come personaggio. Tanto che, alla fine, dopo mesi passati in uno chalet sul fiume, fra le persone con cui Jodie avrebbe potuto continuare la sua vita Ryan stava allo stesso livello dei due barboni incontrati nell’episodio Homeless è mai più menzionati, e dell’opzione “Da Sola”.

Al di là di vari problemi più inerenti al gameplay (inspiegabile se non con “per necessità narrative e nostra incapacità” la decisione di rendere i poteri di Aiden incoerenti a seconda della situazione), colpisce in negativo anche il colpo di scena affidato al personaggio di Dafoe, Nathan Dawkins, fino ad un capitolo dalla fine peraltro uno dei personaggi sviluppati meglio. Come è possibile che lo scienziato, figura paterna per gran parte del gioco, perda il senno QUINDICI ANNI dopo l’evento traumatico della morte di moglie e figlia, e decida di fare l’unica cosa che qualcuno nella sua posizione non farebbe mai? Ed è un peccato, perché a me Nathan piaceva pure, se non l’avessero trasformato in un cattivo grottesco ad un soffio dalla fine, pur di portar a casa un climax finale, appunto, “da videogioco”.

Insomma, non so se per incapacità di Cage o per richieste della produzione (non è difficile immaginare ordini calati dall’alto sulla scia di “più pistole, più scifi, meno feste delle medie”), ma Beyond fatica a riconoscere che la sua forza non è nei set pieces dove esplode tutto, quanto nei momenti più mondani dove Jodie deve socializzare con altri ragazzi della sua età, preparare una cena romantica o comunque interagire con altre persone affrontando problemi verosimili nel contesto di un videogioco in cui la protagonista ha un fratello gemello fantasma.

Bel tentativo, ma se Quantic Dream vuole davvero lasciare il segno deve avere le palle di raccontare una storia il cui un trailer assomigli più ad Another Year che a quello di Transformers.



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