Primo step: perplessità. Un film sui Lego, i mattoncini da (s)comporre in infiniti modi, prima di semplice legno poi sempre più elaborati, che diventano un lungometraggio cartoon: pareva un’idea un po’ bislacca. È pur vero che la Lego ha da tempo trasportato su video il suo prodotto, realizzando svariati videogame molti dei quali improntati sulla dinamica citazionista (da Harry Potter a Star Wars); ma il progetto suonava tanto come un raschiare il fondo del barile di un’originalità ormai latitante (non solo nel genere dell’animazione).
Secondo step: interesse. Phil Lord e Christopher Miller, i registi, hanno infatti diretto quell’impagabile gioiello schizofrenico di Piovono Polpette
Terzo step: folgorazione. Ovvero, la presa visione di The Lego Movie. L’assunto di partenza è semplice, poco più di un pretesto: il protagonista, mattoncino qualunque sempre sorridente e un po’ tonto, è il prescelto per salvare il mondo dalle grinfie del supercattivo Lord Business, che obnubila la comunità tramite la ripetizione di programmi tv, canzonette e il monito ad essere felici sempre & comunque. Business è affiancato dal doppio braccio destro “poliziotto cattivo/poliduro” che di tanto in tanto volta la faccia come il sindaco di Nightmare Before Christmas
Un’avventura postmoderna ma che si fonda prima di tutto sugli archetipi del viaggio dell’eroe: con la profezia, il risveglio, la presa di coscienza, la caduta e la rinascita, e ovviamente il maestro e guida, che fa un po’ il verso ai vari Gandalf e Silente (che ovviamente non mancano, in una comparsata nella quale l’uno viene confuso con l’altro: più vicino a noi di così!..), nonché la misteriosa compagna di viaggio fidanzata con un Batman irresistibilmente antipatico e primadonna.
Al centro della trama ci potrebbe essere chiunque, e difatti è così: Emmet, l’ordinary man per eccellenza, anti-protagonista e antieroe che scopre nel nonsense il punto di forza e la salvezza. Lord e Miller però non si fermano qui e volano pindaricamente oltre lo “strappo nel cielo di carta” nell’invito a non lasciarsi sottomettere dall’abitudine, dagli stereotipi, dall’appiattimento delle convenzioni.
Vero che i registi non raggiungono le vette di comicità senza ritorno di Piovono Polpette, e inoltre qui la morale classica è un po’ spiattellata: addirittura ce la fanno contemporaneamente in due (giocattolo e bambino: quanto ci manca Toy Story
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