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Farming Simulator 2017: La vita agra

Nel nostro mestiere invece occorre staccarli bene da terra, i piedi, bisogna muoversi, scarpinare, scattare e fare polvere, una nube di polvere possibilmente, e poi nascondercisi dentro.

Luciano Biancardi, La Vita Agra

Farming Simulator 2017 mi ha costretto a riflettere sul concetto di divertimento e rivedere ogni mia precedente convinzione a riguardo. L’illuminazione è arrivata in piena notte, di fronte alla luce biancastra del televisore acceso nell’oscurità, al culmine di una mezz’ora rubata al sonno e spesa a valutare il mezzo agricolo più adatto alla raccolta di grandi quantità di granturco.

Per farlo ho dovuto prima imparare a conoscere ed applicare una serie di processi agricoli tutt’altro che banali. Dopo di che mi è toccato studiare i diversi mezzi agricoli al lavoro nelle fattorie dei vicini e comprendere il funzionamento di macchinari di cui avrei lontanamente potuto immaginare l’esistenza. Infine, una volta posseduto dalla necessità di acquistarne uno mi sono ritrovato nottetempo a studiare una decina di schede tecniche, soppesando e confrontando con impeccabile serietà una lunga sequenza di dati tecnici sintetizzati in freddi valori numerici.

Un’attività che mi era apparsa come un’incombenza tediosa, ma necessaria e dunque da sopportare senza sorriso quando mi sono ritrovato a dover sostituire la mia utilitaria, di colpo stava occupando le mie ore di svago. Penso sia stato in quel preciso istante che ho realizzato perché Farming Simulator è un fenomeno – nemmeno troppo di nicchia – fin dal 2008, anno della sua prima apparizione su PC per mano di GIANTS Software.

Nel frattempo il segmento dei simulatori, soprattutto su PC, è letteralmente esploso. Tralasciando titoli che sembrano trollare più che lasciare sfogo a reali velleità simulative, è interessante notare come i giochi gestionali abbiano lentamente concentrato i loro scopi verso mansioni sempre più specializzate. Una volta si giocava a vestire i panni di dio e controllare l’evoluzione umana. Poi si è passati ad amministrare città e in un lampo siamo finiti a pulire i vialetti di un parco a tema. A dar retta a Steam, oggi per molti il massimo della vita è guidare un camion digitale lungo un’autostrada europea procedendo per ore ed ore sulla corsia di destra, senza risparmiarsi nemmeno le soste per dormire o le code al casello.

Concepire un gioco come un investimento in termini di tempo e impegno non è una novità. Senza scomodare il classici del passato, che rispondevano però ad altre logiche, la versione moderna di Elite è un’ottimo esempio di questo tipo di approccio. Servono giorni, letteralmente, solo per imparare a far decollare e atterrare la propria nave senza sfracellarsi ad ogni manovra. Senza dubbio però c’è la scintilla dell’epicità nell’immaginarsi come un solitario contrabbandiere galattico nel buio del proprio salotto, anche se il rischio maggiore che si corre è quello di finire il carburante ai confini dell’universo e dover attendere una gloriosa missione di salvataggio intergalattica.

Il punto è che non si può capire perché simulare con un pad tra le mani la vita dell’imprenditore agricolo possa rappresentare per qualcuno un’alternativa al proprio tempo libero finchè non si prova. E a quel punto è troppo tardi. Di colpo la fluttuazione del mercato dei semi, la compatibilità strumenti agricoli e la comprensione dei processi che portano la terra a produrre ciò che poi finirà nei nostri piatti diventano pensieri in grado di palesarsi in qualunque momento della giornata.

Farming Simulator è l’equivalente di una giardino zen, da accudire con attenzione lasciando che tra le sue zolle le tensioni della giornata sprofondino. Relegarlo a mero scacciapensieri però è alquanto limitativo. La concentrazione e l’impegno richiesto sono pari solamente alle soddisfazioni che derivano dal lavoro ben fatto. La ricompensa che nasce dalla fatica è il perno della filosofia che avvolge interamente il gioco.

Il tempo scorre lentamente. Il lavoro va eseguito personalmente, dall’inizio alla fine, anche se ciò significa spendere un pomeriggio avanzando a 7 Km/h su un trattore rovesciando letame su una distesa di zolle, assicurandosi che il campo sia coperto in modo uniforme. Ciascun compito poi ha il suo orario, e anche per recarsi al mercato bisogna saltare sul pick-up e guidare, lasciando anche passare il treno al passaggio a livello se si sceglie il momento sbagliato. Per qualche giorno mi sono chiesto il perché di una scelta simile: non sarebbe stato meglio un apposito menù?

Poi ho iniziato a prendere confidenza con i menù di gioco, e no, decisamente meglio guidare lentamente sullo sterrato. Eppure anche i menù, enormi, ostici e apparentante indecifrabili hanno il loro fascino. Sono una bibbia per iniziati, un torrente che separa il cittadino dal vero bracciante disposto a immergersi fino ai gomiti nel fango per dare un senso alla sua giornata.

Il successo di Farming Simulator è probabilmente davvero indecifrabile dall’esterno. Nonostante ciò però la simulazione di GIANTS Software prosegue impassibile il suo percorso di crescita, in termini di utenza e contenuti, dal 2008. Per questa prima edizione disponibile anche su console l’aggiunta principale è l’introduzione dei maiali nel novero degli animali da allevamento insieme alla possibilità di svolgere lavori retribuiti per le fattorie confinanti.

Suona come una follia, innegabile. Eppure il consenso crescente di Farming Simulator va cercato proprio nella sua natura ostica e rigorosa. Un terra lontana, dove videogiocare è ancora sinonimo di impegno e dedizione, un rifugio sicuro ben distante dalla massa di titoli che si finiscono da soli tenendo premuto avanti tra una cut-scene e la successiva. Prova ad accendere la console ora e dimmi se di colpo non senti il richiamo della campagna



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