Resta la polvere affronta grandi domande universali sull’essenza dell’uomo e sul suo rapporto con la natura, eppure il quesito che più ostinatamente continuo a pormi dopo aver letto questo splendido romanzo è piccolo e meschino. Perché un’insegnante universitaria di Nanterre ha deciso di scrivere un libro così brutale, ambientato tra gli allevatori di bestiame della Patagonia?
Sandrine Collette
Il ribaltamento è curioso, perché solitamente la sottoscritta è l’alfiere di tutta quella letteratura di genere trascurata in favore di una sequenza infinita di storie di umanità meschina e natura selvaggia. Resta la polvere però è vergato con uno stile così magnifico che basta l’apertura del romanzo per rimanere sotto il suo giogo. Non è un rapporto facile, incurante com’è il romanzo delle inclinazioni naturali del suo lettore, tanto quanto lo sono i fratelli di Rafael alla sua incolumità, mentre lo sottopongono a dolorose, pericolosissime vessazioni al galoppo dei loro criollos, strappazzando un piccolo di soli 4 anni.
Le angherie nei confronti del Piccolo costellano il romanzo, tant’è che dal suo ruolo di vittima sacrificale di famiglia Rafael riesce a uscire solo a tratti e solo ripagando con la stessa moneta di crudeltà e indifferenza i tre fratelli aguzzini e una madre durissima e dispotica. Privato di ogni dolcezza dalla vita greve e sfiancante che conduce e dalla mancanza cronica di affetto che regna nell’estancia, il Piccolo prova vero attaccamento solo per i cani pastore e per il suo cavallo, prolungamento del suo corpo e del suo spirito nelle interminabili cavalcate al chiaro di luna. Cavallo e cavaliere vagano in un deserto lunare morti di stanchezza e sonno, dimentichi dello scopo originario di queste passeggiate notturne (la vendetta e la violenza, i veri motori del romanzo), con gli zoccoli imbotti per non far rumore e una stoffa sul viso per proteggersi dal biancore lunare, anche quello in grado di ferire.
Di queste immagini di natura durissima e selvaggia elevata a bellezza primordiale il romanzo è ricolmo, così come di colpi di scena e rivelazioni dure come gli schiaffi che Rafael riceve quotidianamente. Resta la polvere però non cade davvero mai nel giochino letterario e deprecabile dell’utilizzare le disgrazie dei più miserabili per mettere in luce il proprio talento.
Anzi, nel raccontare la lotta per la sopravvivenza di un piccolo allevamento familiare – strozzato dai grandi allevatori di bestiame della pampa e dall’orgoglio che impedisce di vendere gli ultimi manzi e dedicarsi al più redditizio e semplice allevamento di pecore da lana – Collette ci ricorda continuamente che non è semplice comprendere l’origine della meschinità dei suoi protagonisti. I quattro fratelli e la madre vivono in una dimensione di infelicità assoluta, ma l’estancia massacrante e squallida è anche l’unico luogo sulla terra a cui sentano di appartenere. Tutti i familiari sono al contempo prigionieri e carceri delle reciproche vite, incapaci di concepire un’esistenza diversa.
La malvagità è connaturata all’uomo o frutto della durezza imposta dall’ambiente circostante? Uno degli aguzzini di Rafael, estratto a forza dal suo contesto, svilupperà molto in fretta un’umanità insospettabile, mentre proprio il Piccolo sarà incapace di cogliere l’enorme opportunità che si ritroverà per le mani di lasciare famiglia e miseria alle spalle. Pur avendo modo di scoprire le bellezza e la ricchezza del mondo oltre l’estancia, Rafael si rivelerà il suo autentico figlio e guardiano, in una sorta di chiusura ascetica e catartica, non prima però di aver ottenuto la sua vendetta sui familiari accecati dalla cupidigia e dall’invidia.
Resta la Polvere è una galoppata a rotta di collo nell’animo umano, in cui l’eleganza dello stile di Collette ricorda il naturale portamento principesco e potente dei cavalli selvaggi. C’è solo un momento in cui questa sorta di sventurata cronaca familiare lascia intravedere il delicato lavoro di costruzione di un romanzo, la sua natura meditata e artificiale. Nell’introdurre l’elemento che darà una svolta alla seconda parte del romanzo, Collette calca un po’ troppo la mano e finisce quasi per creare un McGuffin volto ad esasperare ancora di più la tensione tra i personaggi.
In un romanzo tanto tumultuoso e forte è normale rimediare qualche graffio, che però non intaccata la bellezza palpitante di una lettura il cui sentore di selvatico e selvaggio rimane nel cuore e nella mente a lungo.
*Ma anche tu l’hai accostata a Faulkner nel titolo, direte voi, il problema è che cliccate solo dietro accostamento ad affermato scrittore americano e maschio, rispondo io con una punta di disperazione.
Disclaimer – L’editore ha fornito una copia del romanzo a titolo gratuito in cambio di un’onesta recensione, quella che avete appena finito di leggere.
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