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The Amazing Spider-Man: déjà vu & false (ri)partenze

Quanto tempo dovrebbe passare dalla fine di una saga cinematografica di grande successo prima di effettuarne il reboot? Sicuramente più di sei anni, eppure tanti ne sono trascorsi dalla fine (ingloriosa, purtroppo) della trilogia dedicata all’Uomo Ragno firmata Sam Raimi. Sony sta alla canna del gas, la divisione cinema non fa eccezione ed ecco quindi l’idea più semplice e apparentemente lucrativa: ripartire da zero per raccontare la stessa storia con un nuovo cast, un nuovo regista e nuovi villain. Tutto nuovo…per davvero?

The Amazing Spider-Man parte dagli stessi presupposti della trilogia originale, e d’altra parte la storia sembra la solita: Peter Parker, il morso del ragno, gli zii, la responsabilità…già dalle prime sequenze però, si capisce che stavolta toni e personaggi, laddove possibile, sono cambiati. Il nuovo Peter Parker è meno tonto, più nerd, più coraggioso e risoluto, Gwen Stacy è una giovane scienziata tosta e in gamba, sullo sfondo della vicenda pesa il mistero della scomparsa dei genitori di Spider-Man e l’eroe si costruisce da solo l’accrocchio spararagnatele.

Paragonare The Amazing Spider-Man al primo Spider-Man è al tempo stesso inutile ed inevitabile. Laddove il capitolo iniziale della trilogia dichiarava apertamente di essere fondativo per una saga composta da più capitoli, The Amazing Spider-Man è un sasso buttato nello stagno per vedere fin dove arrivano le onde. Gli appigli per il sequel, peraltro già pianificato, sono palesi, ma resta la sensazione che stavolta la produzione vada un po’ a tentoni, e non escluderemmo la chiusura di baracca e burattini nel caso il responso del boxoffice non fosse in linea con le (peraltro contenute) ambizioni di Sony.

Il grosso, anzi, enorme problema è l’assenza di epica e mistero. La sceneggiatura, evidentemente scritta e riscritta più volte, non riesce mai a creare vera tensione; il segreto dell’eroe è inesistente, visto che per quasi tutto il film la sua identità viene rivelata a chiunque e, pura follia per un personaggio mascherato, Spider-Man opera a volto scoperto. Forse la strada dell’autoironia consapevole sarebbe stata preferibile, ma le poche risate che suscita il film sono ahimè involontarie e raggiungono il picco in una sequenza del prefinale che forse sulla carta funzionava, ma una volta tradotta sullo schermo si trasforma in un letale boomerang di comicità involontaria. Con pessimi dialoghi, troppe incongruenze, nessi causa-effetto lasciati a casa, una sola ottima intuizione scenica (la soggettiva dei voli) The Amazing Spider-Man fatica a trovare una propria identità e a lasciare il segno nell’oramai affollato elenco di titoli superoistici.

Una legge sacra ed intoccabile del cinema afferma che non si può parlare troppo male di un film in cui reciti Emma Stone. Noi, con molta fatica e abnegazione, ci atteniamo a questo dogma, anche se la nostra beneamata è davvero poco sfruttata. Garfield è una simpatica faccia da schiaffi, ma fin troppo furbetto per rappresentare Parker. Un po’ fuori contesto è Ryan Ifans, sicuramente uno dei dieci attori più underrated della storia del cinema contemporaneo, ma il cui villain manca di spessore.
Marc Webb non è riuscito a trovare la chiave di lettura corretta per il rilancio dell’eroe. Laddove in passato il regista ha mostrato di saper utilizzare registri diversi (500 days of Summer, l’indimenticato episodio pilota di Lone Star), qui è rimasto intrappolato nelle ragnatele di una storia che, forse, non voleva e non doveva essere narrata. Al pubblico l’ultima parola e la decisione di far continuare le avventure di Peter Parker o schiacciarlo sulla parete…



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