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Godzilla: bentornati mostri!

Ci sono almeno due ragioni che devono spingere l’appassionato di cinema ad accogliere con gioia ed entusiasmo l’arrivo in sala di Godzilla: la prima è che finalmente, con tanti, troppi anni di ritardo, si può dissociare il nome del povero mostro dalla nefandezza targata Roland Emmerich e datata 1998, fulgido esempio di cretinismo applicato alla settima arte; la seconda è che, nonostante un ritmo altalenante e qualche passaggio a vuoto (due, in particolare), questo film è uno dei migliori blockbuster a stelle e strisce degli ultimi tempi.

Un gran film, Godzilla: un’opera cui convivono felicemente autorialità ed effetti speciali, forma e sostanza, ragione e sentimento. Gran merito va ascritto alla mano ferma di Gareth Edwards, già autore del pregevole (per quanto leggermente sopravvalutato) Monsters e di alcuni cortometraggi di grande spessore. Sulla carta, riproporre il mostro nato mezzo secolo fa da un’idea di Ishirô Honda (ben coadiuvato all’epoca dei film della Toho dai grandi Eiji Tsuburaya e Tomoyuki Tanaka) poteva trasformarsi in un boomerang, vista anche la magra figura rimediata dai Kaijū l’anno scorso.

Eppure, l’attualizzazione della figura di Godzilla, figlio delle inquietudini dell’era nucleare e della guerra atomica, un mostro che incarna(va) le paure della rinascente società nipponica, funziona. Il climax che porta al disvelamento progressivo del mostro richiama le pagine felici di Jurassic Park (le pagine, appunto, non il deludente porting cinematografico) o, per restare in ambiti spielberghiani di eccelsa qualità, Lo Squalo. Lo script di Max Borenstein e Dave Callaham utilizza il mostro col contagocce, cerca di arricchire la storia con sottotesti e citazioni, individua diversi punti di vista e prospettive. Ma, soprattutto, porta sullo schermo quello che tutti volevano vedere: mostri che combattono. Già, perché Godzilla non è solo ma accompagnato da altre creature gigantesche e bellicose che trasformano gli esseri umani in mere comparse. In questo senso, è significativo il cambio di passo tra il primo atto del film (meno convincente), interamente focalizzato sulle relazioni tra i personaggi e la seconda parte (eccelsa), in cui i mostri se le danno di santa ragione.

Poco da dire sul cast: l’idea di affidare parti secondarie ad attori di spessore (Bryan Cranston, Juliette Binoche, Sally Hawkins, David Strathairn e un Ken Watanabe interpretato dallo stesso doppiatore dei tempi di Inception, elemento che conferisce un effetto un po’ straniante ad alcune sue affermazioni) funziona alla perfezione e bilancia la non eccezionale prova della coppia formata da Aaron Taylor-Johnson e Elizabeth Olsen, altrove bravissimi: curiosa la loro scelta, visto che dal prossimo anno entreranno in pianta stabile a far parte del Marvel-team (per la serie: Disney vince anche quando non gioca…).

Godzilla torna quindi a splendere di luce propria, offrendo due ore di “mostruoso” e godibilissimo escapismo, anche dopo mezzo secolo: la parziale “nolanizzazione” di questo capitolo (tutti si prendono un po’ troppo sul serio) non va letta come volontà di desacralizzare l’icona di tanti film di ottima serie b, ma anzi di valorizzarla e conferire ad essa una valenza apolide: contro i danni provocati dalla razza umana, non c’è bandiera che tenga e la minaccia per l’umanità, fragile e indifesa, è sempre presente. Gareth Edwards cancella così con un colpo di coda cloni (Cloverfield) ed imitatori (Pacific Rim) dell’originale e firma il miglior disaster movie degli ultimi anni. Il re dei mostri è tornato.



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