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Wonder Woman 1984: Gadot magnetica per un film colorato e conciliante

Wonder Woman 1984 aveva il compito a cui tutti i sequel sono chiamati ad adempiere se succedono a un film particolarmente amato e significativo, ovvero riuscire a essere L’Impero Colpisce Ancora del franchise. In questo caso, però, c’era anche dell’altro: Wonder Woman era stato accolto e amato anche in qualità di cinecomic femminista. 

Il primo film è stato salutato quasi con la stessa partecipazione emotiva e lo stesso giubilo che probabilmente deve aver suscitato l’invenzione della ruota. Full disclosure: io ero, e sono, tra quelle persone. In diversi – soprattutto maschi – si sono però chiesti cosa avesse di tanto speciale un prodotto cinematografico che non era il primo, né il più bravo, nel mostrare una protagonista femminile forte e carismatica, figura vista altrove e magari al servizio di storie ben più complesse e originali. Ma essere i primi in questi termini non è mai stato il punto. (Ne avevo parlato più diffusamente qui).

Wonder Woman è stato il primo cinecomic dell’era #metoo/times’up ad atterrare nel mezzo di una conversazione globale sul ruolo della donna nella società, nella cultura, nell’arte e quindi nel cinema. Un film in cui l’indubbia bellezza della protagonista non è mai in funzione dell’appagamento dell’occhio maschile. Il primo film che ha dato alle bambine un modello positivo e propositivo indirizzato proprio a loro, e ha insegnato ai bambini che anche le donne possono salvare il mondo.

Le varie Ellen Ripley, Sarah Connor, ma anche le Elektra e Catwoman (queste ultime due confinate in film omonimi terribili), sono state degli unicum, in pellicole maschili, accadute e trascorse senza lasciare eredi, senza innescare una conversazione che preludesse a un cambiamento. 

Il primo Wonder Woman è arrivato poi in un momento in cui sull’altra sponda del fiume, in casa Marvel, si contavano circa venti film, tutti di successo, ma senza che si accennasse a incentrarne uno su di una protagonista femminile. La Marvel si era sentita così sicura della propria capacità di attrarre gente al cinema che aveva serenamente messo in scena un procione parlante e armato, ma di film con lead femminili neanche a parlarne, nemmeno con la prospettiva di una storia monografica dedicata a Vedova Nera, un personaggio già ben introdotto, amato e interpretato da Scarlett Johansson, una A-list star.

In questo clima la DC si è sentita di rischiare. Moderatamente, perché stiamo parlando di un fumetto stra-conosciuto e amatissimo, ma in quel momento sono riusciti a coprire un vuoto spaventosamente offensivo e, nel mentre, a portare un po’ di luce, ottimismo e speranza in un universo fino a quel momento greve e plumbeo. Il resto è storia recente, e quale che sia la vostra opinione sui meriti del film, siamo tutti d’accordo sul fatto che Gal Gadot sia stata una scelta di casting inceccepibile. Wonder Woman 1984, di nuovo diretto da Patty Jenkins, riparte proprio da qui, dalla consapevolezza di avere una protagonista che può graziare superbamente ogni inquadratura. Ma questo non basta a riscattare una storia debole che, una volta spalmata su un minutaggio eccessivo per quello che il film ha da dire, risulta trascurabile e per nulla incisiva al punto da nuocere e depotenziare il messaggio della storia.

Non è un caso se in questo sequel non muore nessuno e anzi il finale è congegnato in modo tale da traghettare tutti i protagonisti, villain inclusi, verso un finale emotivamente conciliante. Scelta meritoria e rinfrancante, purtroppo oltre al cosa è importante il come e Wonder Woman 1984 lascia molto a desiderare da questo punto di vista.

Tutto inizia a causa di una pietra magica che ha il potere di esaudire i desideri. Un innesco narrativo talmente ingenuo e cartoonesco che la storia non riesce mai ad affrancarsene. Dal momento in cui l’oggetto entra in scena, il film diventa estremamente prevedibile. Diana desidera essere di nuovo insieme a Steve (Chris Pine), Barbara Minerva (una bravissima Kristen Wiig) essere come Diana e Max Lord (un Pedro Pascal che fa quello che può) dare sfogo a tutta la sua megalomania. Da questo momento Jenkins ci dice che tutto ha un costo, le scorciatoie sono pericolose e a volte bisogna riuscire a mettere da parte desideri egoistici per il bene comune. Una morale semplice e chiara, ben esposta nel prologo ambientato a Themyscira, ma prontamente banalizzata da una sceneggiatura incapace di andare oltre il compitino svolto.

Un’ occasione persa, dunque, tanto più che che la scelta di ambientare la pellicola negli anni ’80 è stata dettata da ragioni politiche, più che estetiche. Più che le spalline imbottite e le acconciature cotonate, l’intento del film è prendere di mira la compulsione al successo incentivata dall’era reaganiana, promotrice di ambizioni fatue e sfrenate che trovano una potente sponda nell’era trumpiana. Ma anche qui, nessuna sottigliezza o capacità e intenzione di profondità: è tutto buttato in faccia allo spettatore.

Il film, curiosamente, regala diversi momenti degni di nota. Jenkins riesce a a padroneggiare con pari efficacia i momenti intimi (Diana solitaria, la scena dei fuochi d’artificio), quasi tutti quelli divertenti (Diana e Barbara, ma non Diana e Steve), e le scene d’azione (il salvataggio dei bambini). Ma la somma delle sue parti dà origine a un film assolutamente al di sotto delle legittime aspettative, per quanto piacevole nel complesso. Avremmo dovuto assistere alla consacrazione di Diana Prince, ma dobbiamo accontentarci di ammirare Gal Gadot nel personaggio e poco altro. Per un film che succede a un altro recepito come femminista, poi, ci troviamo poi anche di fronte a una situazione inquietante che nel film non viene minimamente affrontata: Steve torna dall’Aldilà, ma nel corpo di un altro uomo. Né Steve, né Diana si pongono minimamente il problema che qualcuno sia stato esautorato dalla sua stessa vita e che il suo corpo venga usato, senza consenso, da altri due individui. 

A fine visione si rimane con ben poco. Wonder Woman 1984 è una pellicola che può suscitare un grande affetto, ma Jenkins stavolta non è riuscita a trovare una sintesi tra messaggio e resa cinematografica.



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