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Youth – Giovinezza: Quadri da un’esposizione

In una lussuosa beauty farm ubicata in mezzo alle montagne svizzere Fred, un ex direttore d’orchestra e compositore e Mick, regista ancora attivo e alle prese con il suo ultimo film, trascorrono un periodo di vacanza attorniati da personaggi bizzarri. L’esperienza serve a entrambi, amici da una vita, per tracciare un bilancio delle proprie esistenze e progettare il breve futuro che ancora li aspetta.

Conferme e sorprese per il primo film “post-Oscar” di Paolo Sorrentino, che chiude mirabilmente un mese magico e memorabile per il cinema italiano, dopo gli exploit di Moretti e Garrone. Youth, magnifico ossimoro, visto che i protagonisti della storia sono due anziani, gioca su continue contrapposizioni. Il fantastico bestiario umano proposto dal regista, che spazia da donne dalla bellezza adamantina ad attori in cerca di ispirazioni, da coppie di anziani silenti e litigiose a calciatori sovrappeso ma ancora in grado di strabiliare usando una palline da tennis (indovinate chi…), rappresenta l’Arte in tutte le sue declinazioni, definendone limiti e confini.

Anche i ricchi piangono, verrebbe da pensare, osservando le umanissime e medriocrissime tragedie vissute da questi vip, rinchiusi volontariamente in una gabbia dorata: si diventa famosi, riconosciuti e riconoscibili sempre per i motivi sbagliati, si viene lasciati all’improvviso per persone scadenti, si pianificano progetti per anni, per poi vederli sfumare in un attimo. Youth riesce ad descrivere efficacemente il senso di spaesamento ed incertezza che prima o poi ogni essere umano prova, indipendentemente da età, sesso e tenore di vita.

Sorrentino scrive bellissime battute, almeno una mezza dozzina sono da imprimere a fuoco nella memoria e diventeranno mantra da citare nei prossimi anni, conferma la sua innata capacità di trovare sempre l’inquadratura giusta, la luce adatta, le musiche, gli ambienti, i volti e i corpi funzionali al suo progetto, ma senza l’alchimia tra i meravigliosi, titanici e amabili Michael Caine e Harvey Keitel, la migliore “strana” coppia vista da anni a questa parte, il suo film non risulterebbe così convincente e incisivo. I momenti in cui sono entrambi in scena, anche silenti, sono sempre una gioia per gli occhi e dimostrano quanto sia importante per un regista avere un cast all’altezza delle sue ambizioni.

Sì, qualche volta ci “si cita addosso”, non tutte le trovate visive sono convincenti e alcuni personaggi (l’attore snob, peraltro ben interpretato da Paul Dano, la figlia di Caine, una radiosa ma sprecata Rachel Weisz) mancano di quella tridimensionalità che sarebbe necessaria per farli apprezzare appieno, ma al netto del suo necessario cinismo e del suo latente pessimismo, Youth è molto divertente e intelligente e, per un attimo, sa ricordare quanto il tempo sia il bene più prezioso che posseggono gli uomini. In tempi frenetici e superficiali come quelli odierni, non è cosa da poco.



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