La vittoria de La grande bellezza agli Oscar ha acceso il dibattito sulla cultura italiana, sul suo rapporto con il mondo, e sul modo in cui è percepita dall’estero. Nelle interviste dedicate al grande successo del film di Paolo Sorrentino non mancano le riflessioni sul perché il film abbia avuto tanto successo all’estero. Il regista ha sottolineato come le uniche vere stroncature al film siano arrivate dalla critica del nostro paese (un’osservazione non del tutto precisa, ma che dà il senso di una tendenza difficile da smentire). L’Oscar al film ha dato vita ad una valanga di reazioni che vanno dall’orgoglio nazionalista alla malcelata perplessità: può un film così apertamente satirico rappresentare il nostro paese all’estero? La domanda sottintesa, terra terra, sembra essere “ma che figura ci facciamo”?

La grande bellezza è un viaggio tra una versione iperreale della Roma dei ricchi, potenti e influenti, tra salotti intellettuali, feste private ai confini con il baccanale, strip club e monumenti millenari. Jep Gambardella, il protagonista del film, è un romantico che nonostante la decadenza della sua vita non è si è ancora completamente trasformato in un cinico. Vede il mondo che lo circonda con lucidità, ne capisce le contraddizioni e le bruttezze, ma non può fare a meno di esserne innamorato. Il suo distacco è la nostra porta d’ingresso in un tour guidato dove splendore e grottesco vanno mano a mano senza nessun paura del giudizio di nessuno. C’è chi crede sia un film su Roma; c’è chi crede che non sia un film su Roma, perché chi lo ha fatto non è romano. C’è chi crede sia una metafora dell’Italia di Berlusconi, c’è chi crede che sia un film fatto per gli stranieri che poco può dire agli italiani.

TGB

Di solito quando se ne dice tutto e il contrario di tutto, vuol dire che l’opera ha colpito il segno. Che ha il potere di far riflettere ognuno di noi in maniere differente, che non è contenibile da categorie da scaffale, e mette a nudo chi guarda. E la precisione dello sguardo di Jep/Sorrentino, privo di malizia come di condiscendenza, mette a nudo tante delle cose che fanno l’Italia quello che è. La sua decadenza, la sua abitudine all’ipocrisia come stile di vita; la sua gente, incapace di creare comunità ma straordinaria a costruire complicità; un senso di pigrizia quasi arrogante nel suo distacco dal resto del mondo.

La grande bellezza può mettere in imbarazzo gli italiani esattamente come è successo con I Soprano, una serie creata da stranieri, ma capace di descrivere il carattere e le idiosincrasie degli italiani con una precisione chirurgica raramente raggiunta dalla narrativa nostrana (sopratutto in televisione). A nessuno piace essere visti sotto un’ottica negativa. E in Italia c’è un senso di vanità collettivo che sembra difficile da scuotere: quando un italiano vince, tutta l’Italia vince; quando qualcuno critica gli italiani, critica anche me; se un film vince per l’Italia, ma non lo sento mio, ha fatto qualcosa di sbagliato. Forse le scie chimiche nei cieli italiani fan venire il narcisismo.

Il film di Sorrentino rappresenta alcuni degli aspetti più riconoscibili dell’Italia in tutto il mondo: la voglia di star bene, i resti di una delle culture più importanti della storia dell’umanità, il senso dello stile. Sono elementi che, però, molti italiani non sentono loro. I Sardi hanno altre caratteristiche che riconoscono come proprie, così come i Calabresi, i Veneti, i Siciliani. L’Italia dopo tutto è una nazione costruita due secoli e mezzo fa da un’élite educata e benestante , per unire una serie di regioni piuttosto diverse tra loro. È un paese giovane ma composto da terre con una storia spesso centenaria. In molti hanno provato a dare forma ad una cultura nazionale, dai re fino ai fascisti. Nessuno ci è riuscito fino in fondo: la cultura se si forza diventa debole, ha bisogno di tempo. Non a caso noi abbiamo un rapporto di amore e odio con gli Stati Uniti, un paese molto simile al nostro, sotto molti aspetti, che consideriamo più giovane del nostro nonostante sia più “vecchio” dell’Italia. Lo strano misto di imbarazzo e orgoglio che ha circondato il trionfo de La grande bellezza in America è solo l’ultimo episodio in questa lunga storia.

lagrandebellezza_Unopiu_1394549918

Sia Sorrentino che da Servillo, nel descrivere l’accoglienza del film negli USA, parlano dell’approccio degli Americani alla cultura come “privo di pregiudizi” e “ingenuo”. In entrambi i casi le descrizioni sono viste con un’ottica positiva, ma c’è una certa condiscendenza in queste definizioni, un’eco dell’idea che l’America sia un posto culturalmente meno “serio” del nostro: è un frainteso che va avanti da troppo tempo. L’America è lo spettacolo di Hollywood, è Lynch, è Kubrick, è Philip Roth, Paul Auster, Robert M. Pirsig e David Simon. L’atteggiamento italiano (ma comune anche in altre parti d’Europa, a dirla tutta) è più indicativo della nostra idea di arte, piuttosto: la convinzione che qualcosa possa avere valore solo quando difficile e in qualche modo pesante. Un agghiacciante regalo di un’idea scolastica e cattolica della cultura, che avrebbe fatto accapponare la pelle a Shakespeare, a Leonardo da Vinci, a Dickens, a Melville. Un’idea di cultura che seduce moltissimi in tutto il mondo (soprattutto coloro che arrivano all’arte passando dall’accademia), ma che tradisce una certa insicurezza di fronte al passato, non dissimile al senso di smarrimento che sembra accompagnare Jep nelle sue camminate tra le rovine romane.

Ma il la storia della Cultura è il racconto fatto dall’accademia e dagli storici per dare senso qualcosa che un tempo era vivo e ora non c’è più. Viene spesso reso epico da chi vuole raccontarlo nella maniera più affascinante possibile, gli artisti di un tempo sembrano irraggiungibili ed intoccabili perché ne vediamo solo i successi, le caratteristiche più affascinanti e straordinarie. Pensiamo che l’artista debba essere sovrannaturale perché pensiamo che la versione romanzata della loro vita sia vera, ci dimentichiamo di come la loro arte parlasse al loro tempo, alla gente che li circondava. E nel frattempo tutto quello che è nuovo sembra inesorabilmente destinato a non essere all’altezza. Fortunatamente Sorrentino non è un artista di questo tipo. La grande bellezza è un ottimo film, sensuale, magnetico, mai noioso, che guarda al passato per dare senso al presente.

Ma forse è vero, La grande bellezza non rappresenta l’Italia. Soprattutto perché la “cultura italiana” non esiste: è troppo tardi perché possa nascere. Un tempo le nazioni dovevano mostrare il loro valore al mondo comunicando un’idea di sé chiara e precisa, che si sedimentava nei secoli per dare le fondamenta a intere generazioni, e per una ragione molto semplice: il 90% della popolazione non sapeva leggere, scrivere, contribuire al dibattito pubblico, a quello politico, e ancora meno alla vita culturale di un paese. La cultura era anche il quotidiano e le abitudini della popolazione più povera, ma poteva e veniva spesso influenzata da pochi, e quei pochi educati potevano avere un’influenza enorme su di tutti. Ma dall’800 in poi l’educazione di massa ha raggiunto livelli tali da permettere alla maggior parte dei cittadini del mondo occidentale di crearsi una loro cultura, di mischiare influenze da mezzo mondo, di essere contaminato dalla sua terra e da terre lontane, da amici, famiglia e sconosciuti. Oggi la cultura è molto più frammentata di un tempo, e può sembrare un problema, soprattutto in un paese come il nostro, influenzato per secoli da uno stato teocratico le cui regole e abitudini non cambiano mai, che tiene in vita l’idea che la cultura, la verità, possa essere solo una, semplice da capire. Ma è un problema solo se non se ne vedono le opportunità, se si confonde l’incapacità di capire il presente con l’idea di “cultura forte”.

TGB2

La grande bellezza è un film di un italiano, che parla dell’Italia: è una prospettiva tra tante, una fatta da un nostro concittadino di enorme talento, la cui opera sta avendo grande successo grazie ad anni di lavoro. Il fatto che non rappresenti tutti gli italiani è la dimostrazione che il nostro paese può trovare forza nella sua diversità, nel suo essere arcipelago, forse anche nell’esodo più o meno forzato di migliaia di suoi cittadini: può trovare senso in un mondo dove, forse, le culture nazionali hanno sempre meno senso: se per noi è troppo tardi per averne una, non è tardi per creare qualcosa di meglio.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , , , , ,
Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

Similar Posts
Latest Posts from Players

3 Comments

  1. Mi piace molto il lungo capoverso finale, sul senso della cultura “forte” e il cambiamento dato al mondo dall’istruzione media. Trovo invece debole la parte iniziale. Capisco che la cornice culturale del film induca fortunatamente questo tipo di riflessioni ma dubito che fosse il fine dell’autore: ne “La Grande bellezza” Roma e la cultura sono solo uno “sfondo” e non un messaggio. Chi pensa che il film sia satirico, SECONDO ME non ne ha ben chiaro il senso o comunque vuol vederci più di quanto ci sia. Gli stessi Sorrentino e sopratutto Servillo lo spiegarono all’uscita del film, in una bella intervista a La7 (otto e mezzo)…

    1. Non credo neanche io che la satira sia il motore del film, ma a prescindere dalle intenzioni dell’autore (che secondo me voleva prima di tutto raccontare la storia di un personaggio interessante), il film ha un aspetto satirico nel senso classico del termine.

      Non “prende in giro” nulla, cosa che spesso fa la satira nostrana in maniera goffa, ma si concentra su un mondo raccontato in maniera leggermente paradossale e grottesca, sottolineandone contraddizioni e paradossi. È solo uno dei tanti elementi di un film davvero ricco, ma da quello che ho notato ha colpito nel segno.

Comments are closed.