Challengers film

Fin dalle elementari Euclide ci informa che per tre punti non allineati passa un unico piano, per i tre protagonisti di Challangers il piano in questione ha la forma di un campo da tennis. A pensarci bene il film di Guadagnino è pieno di geometria, a partire dal triangolo di attrazione, controllo e potere che coinvolge i tre personaggi, alla perfetta circolarità della storia che all’inizio mostra Tashi (Zendaya) posizionare Art (Mike Faist) e Patrick (Josh O’Connor) sul letto, spingerli a baciarsi e godersi lo spettacolo, per finire con Tashi che di nuovo posiziona i due amici l’uno di fronte all’altro, ma questa volta sul campo da gioco mentre lei si gode lo spettacolo di un tennis combattuto anima e corpo nella sublimazione di un atto sessuale. Ad abbracciare i due momenti, un andirivieni temporale ci informa di cosa è accaduto nelle vite dei tre protagonisti e cosa rappresentano l’una per gli altri due.

Il film è davvero tutto qui e il grande merito di Guadagnino è quello di rispettare il pubblico al punto da non offenderne l’intelligenza cercando di infilare morali, strati interpretativi e metafore contorte per farlo sentire intelligente – ci si prende la briga di far sentire intelligente solo chi sai non esserlo – regalando puro divertimento non adulterato perché, a saperla raccontare, una storia non ha bisogno di essere eccessivamente stratificata per risultare avvincente e Challengers sa intrattenere, divertire e intrigare giocando e spaziando tra romance, thriller psicologico, dramma sportivo. Tashi lo dice subito: “Il tennis è una relazione” riassumendo così l’anima del film.

Challengers film

Tashi è una giovanissima promessa del tennis sicura di sé e destinata alla grandezza, Patrick e Art sono due amici che vivono in simbiosi, complementari nelle loro differenze stigmatizzate dal didascalico soprannome “Fuoco e Ghiaccio” a indicare Patrick estroverso e spavaldo, là dove Art è un tipo più riflessivo e pacato. Entrambi sono attratti come due falene dal carisma di Tashi che gioca con loro prima di sceglierne uno. All’inizio il prescelto indicato dal campo è Patrick, ma quando la relazione tra i due non funziona per eccesso di ego, nel momento dell’infortunio che pone fine alla carriera di Tashi, è Art il compagno affidabile e premuroso che si guadagna un posto al fianco della ormai ex tennista. Di fatto l’arrivo della ragazza, nella dinamica di coppia tra Art e Patrick, segna il passaggio dei due dall’adolescenza mentale all’età adulta in cui i due amici scoprono che non possono condividere proprio tutto e che per la prima volta devono competere sul serio, anche a costo di compromettere il loro legame e una parte della loro autonomia e indipendenza, scoprendosi così vulnerabili per la prima volta perché privi dell’altro a cui appoggiarsi. Osserva Guadagnino: “You’re jealous because you’re not chosen by one and you’re losing the other”.

Tashi, non potendo più vivere di tennis, ha come unica scelta quella di vivere per il tennis: diventa così l’allenatrice di Art per nutrirsi, tramite lui, di quell’adrenalinico agonismo che costituisce la sua linfa vitale. Le cose vanno apparentemente bene, si sposano, mettono su famiglia, formano una power couple anche se il potere è chiaramente amministrato dalla donna. Art è diventato nel frattempo un campione ma arriva il momento della frustrazione: il tennista si sta riprendendo da un infortunio e sebbene il fisico sia tornato quello di prima, la testa non c’è più. A Tashi, che ha trasformato il marito nel suo avatar in campo, di questo Art non sa che farsene ed ecco che torna in gioco Patrick che negli ultimi anni non se l’è passata benissimo, è in bolletta e si butta su tornei minori.

Ciascuno di loro ha bisogno dell’esistenza dell’altro: Tashi del marito per vivere per interposta persona delle emozioni che può avere solo dal tennis, Art dell’amore di Tashi a cui può ambire solo finché è un vincente, mentre Patrick ha bisogno di essere l’elemento disruttivo che vive dell’eccitante destabilizzazione di cui sa essere portatore.

Challengers Zendaya

Sono in definitiva tre persone che per stare bene hanno bisogno della persona giusta che le faccia stare male, ma in un modo che li accenda. Nessuno dei tre è fatto per una tranquilla realizzazione, a ben guardare neanche Art che pure dà questa idea, diversamente non avrebbe scelto di stare con Tashi sapendo che quella al suo amore è una rincorsa in cui il traguardo si sposta un po’ più in là non appena si è in dirittura d’arrivo. 

Guadagnino prende questa dinamica e la mette in scena con tensione e scintillante leggerezza appagando l’occhio degli spettatori scena dopo scena. Puro intrattenimento per far gioire lo sguardo trasportato con ritmo da un punto all’altro dello schermo, da un corpo all’altro dei protagonisti attraenti, atletici, vulnerabili. Perfino Zendaya, a livello recitativo mediamente incapace di andare oltre un broncio più o meno accentuato, riesce ad abbozzare mezza espressione senza però riuscire a formare né con Patrick, né con Art una coppia migliore di quanto lo siano i due amici insieme.    

Un altro triangolo ben riuscito è quello tra Guadagnino, Kuritzkes e lo score firmato Trent Reznor e Atticus Ross, qui alla loro seconda collaborazione con il regista dopo Bones and All. La sceneggiatura serve bene i protagonisti e la regia tira fuori il meglio da tutti gli elementi grazie anche a una colonna sonora che trasforma in musica la seducente sensazione di impazienza di esplodere dando tutto quello che si ha che permea l’intero il film.

 



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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