Ieri abbiamo pubblicato un pezzo intitolato “Contro l’Oculus di massa”, firmato da Claudio Magistrelli, dove il nostro autore si immagina – leopardianamente – scenari sfigatissimi dove la realtà virtuale verrà chiamata in causa solo di tanto in tanto, in tutti i giochi, tanto per avere un bollino “Oculus compatible” (o “Morpheus compatible”) stampato sul retro della confezione.

È una cosa che potrebbe benissimo succedere, soprattutto nel caso in cui non vengano istituite da parte dei prodottori delle “linee guida” che stabiliscano dei criteri minimi per l’integrazione della VR in grado di prevenire una tale deriva. Eppure, dopo aver provato l’Oculus, fatico ad immaginare tale scenario come probabile, non fosse altro per il tipo di esperienze che potrebbero effettivamente beneficiare dal supporto VR (e no, non sto pensando alle tegole dei tetti di Parigi).

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Premessa: ho messo le mani solo sull’edizione Kickstarter di Oculus Rift, e non riuscirò a provare nè Crystal Cove nè Morpheus prima dell’estate. I primi secondi con quell’accrocchio in fronte sono spiazzanti: innanzi tutto, la totale cecità verso l’ambiente circostante, per quanto possa sembrare una cosa ovvia, crea qualche attimo di smarrimento. La posizione degli input abituali – tastiera e pad – diventa l’equivalente di giocare a mosca cieca da soli: se pensate di poter scrivere senza mai guardare i tasti, vi sfido a trovare il sacro WASD al primo colpo dopo aver indossato un Oculus. In secondo luogo, il modello base ha bisogno di essere calibrato. Non so se l’operazione sarà necessaria anche per le versioni successive, ad ogni modo lo ritengo probabile, visto che si deve adattare all’altezza/posizione nello spazio dell’utente. Terzo elemento spiazzante: il non poter vedere le proprie mani all’interno di una simulazione crea una disconnessione corpo/cervello abbastanza brutale. Me ne sono accorto nel momento di provare la prima demo, ovvero quella dell’ottovolante: mentre le mie mani virtuali se ne stavano ben salde sul maniglione, quelle reali cercavano disperatamente di afferrarlo.

Sony sembra conscia del problema e propone una soluzione che include due Move, uno per mano. Per quanto possa apprezzare la buona volontà, chiedere ad un utente di usare tutte quelle periferiche mi pare abbastanza azzardato, anche da un punto di vista meramente estetico. Dipenderà dai bundle a disposizione, ad ogni modo preferirei di gran lunga poter utilizzare guanti, anelli o braccialetti in grado di svolgere la stessa funzione, invece di essere costretto ad impugnare ben due dildo luminosi in salotto.

Altro problema del primo prototipo di Oculus è il blur devastante che si percepisce nel momento in cui si gira la testa, problema però apparentemente già risolto dal modello Crystal Cove. Se così fosse, il numero di utenti colpiti da motion sickness si ridurrebbe drasticamente, evitando alla nausea molesta di diventare un ostacolo invalicabile all’affermazione della tecnologia.

Dopo tutto questo preambolo vi parrà strano trovarmi ancora a sostenere Oculus e Morpheus come potenziali momenti di svolta del videogioco, ma… dovete provare per credere. La sensazione di immersione è difficile da descrivere: per me, appunto, il momento Eureka è stato quello in cui, pur sapendo di aver di fronte una simulazione, ho cercato disperatamente di rimanere attaccato al sedile delle montagne russe per non “volare giù”.

Se appiccicare il supporto Oculus a prodotti già esistenti (un numero incredibile considerando che la versione retail non è nemmeno in vendita, segno di grande fermento fra gli sviluppatori) potrebbe non essere la scelta migliore, fatico moltissimo a non entusiasmarmi dopo aver visto un gioco vecchio di 10 anni (Half Life 2) cambiare radicalmente se fruito con un Oculus in testa.

Immaginatevi un gioco di astronavi dove i dogfight si vincono cercando fisicamente i nemici come se foste davvero dentro un cockpit (Project Valkyrie di CCP, nel trailer qui sopra). Un Elder’s Scroll pensato dalle fondamenta per la VR, dove ogni anfratto è esplorabile (questa volta davvero) in prima persona. Un PayDay in cui voi siete quello che guida la macchina post-rapina. Un puzzle game che richiede l’individuazione di item nello spazio. Un Portal 3. Un seguito di Journey, in cui si esplora un mondo misterioso scivolando sulla sabbia, questa volta con la possibilità di toccare oggetti, puzzle, edifici. Un gioco strategico in cui le miniature si possono raccogliere con le mani e spostare in una nuova posizione, come in una vera partita attorno ad un tavolo. Un survival horror in cui guardarsi alle spalle è indispensabile per sopravvivere. Potrei continuare per un bel po’ senza nemmeno andare a scomodare tutte le applicazioni non strettamente ludiche (visite ai musei, turismo, videochat, porno – inutile far finta che non possa essere una killer application).

Prezzo, linee guida di sviluppo e limiti tecnici possono fare il bello e il cattivo tempo per questo tipo di tecnologia, e credo che a 22 anni da Il Tagliaerbe la VR abbia una sola chance residua. Eppure, stavolta sembra la volta buona: Oculus e compagnia possono (e devono) essere quello che il motion control non è mai riuscito ad essere. Io ci credo.

Update: nella notte Oculus VR è stata acquisita da Facebook. La compagnia, pare, continuerà le operazioni normalmente sulla falsariga di quanto avvenuto con Instagram e WhatsApp. Cosa questo significhi sul lungo periodo è tutto da vedere, certo è che a questo punto la tecnologia potrà godere di fondi per lo sviluppo pressochè infiniti.



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Tommaso De Benetti

Guadagnatosi di recente il sarcastico soprannome di "Caro Leader", Tommaso vive e lavora ad Helsinki. Come è facile intuire, per circa 10 mesi all'anno vive sepolto nella neve, circondato da donne bellissime. Tutto il tempo che gli rimane lo passa ad abbaiare ordini e a prendersi cura di vari progetti, fra cui Players, RingCast e icolleghi.tumblr.com.

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