C’era (ci sarà) una volta un treno che corre all’impazzata, che sfreccia lungo le montagne innevate di un inverno eterno e raggelate nella promessa di una morte certa. È un treno che contiene gli ultimi bagliori, gli ultimi scarti, superstiti residuali dell’umanità: come un’Arca di Noè in regime dittatoriale, ha raccolto tutti gli strati politico-sociali del mondo risistemandoli secondo un sistema vigente che è un microcosmo rispecchiante l’assetto gerarchico mondiale. I poveri, le fette di Terzo Mondo, la maggioranza, stipati nei vagoni di coda, i ricchi in cima alla piramide, vicini alla locomotiva, al sole, all’alito di vita che sferraglia mano a mano che ci si avvicina alla dirigenza, al trono su rotaie.

Il maestoso Snowpiercer però non comincia da lì, dai privilegiati, da quei pochi che hanno in mano quel che resta della terra: ci precipita nel basso, nel sudiciume della povertà e della miseria, nelle storie d’orrore dei bassifondi, nei panni sporchi; ma anche e soprattutto nel rigurgito di dignità, nel sangue vituperato che ribolle di ribellione, nel maestro vecchio saggio a pezzi (solo fisicamente), in un eroe per forza che ha paura di essere tale, in un silenzioso aiutante, nei linguaggi che si mischiano e si vengono incontro.

Bong Joon-ho fin dai primi 15 minuti compone un completo quadro di agghiacciante compattezza e lucidità, tendendo magistralmente le corde di una tensione che esploderà, vagone dopo vagone, passo dopo passo, sequenza dopo sequenza, con un impatto sempre più alto, come una fiammata, come una fisarmonica suonata con urla di disperazione.

I poveri, spiega la sempre più irriconoscibile, sgradevole, stupefacente Tilda Swinton, emissario del re (e quindi Dio) del treno, sono le scarpe lerce, consumate, del corpo del nuovo mondo meccanico: e non possono pretendere di andarne a scavalcare la testa. Rimangono lì, schiacciati contro la polvere e lo sporco del suolo. Ma la signora e padrona sbaglia: quel gruppetto di furiosi disperati che risale la china dell’evoluzione decisa arbitrariamente, non sono il contenitore sdrucito dello scheletro, bensì il suo ingranaggio: sono i piedi, che vanno avanti, che procedono in un impeto di rivoluzione.

C’è tutto, in Snowpiercer, nel capolavoro di un regista già consapevole e fulminante (in Memories Of Murder, in The Host), ma qui alla perfezione di un lavoro maturo e densissimo. C’è tutto: nella cavalcata mortale, dolorosa, di classe che i protagonisti destinati al macello perseguono per la vita, per la giustizia e la libertà: l’indottrinamento della religione e l’obnubilamento fumoso perpetrato dal potere verso chi non ha (o pensa di non avere) i mezzi per difendersi; la guerra dei poveri, combattuta in un campo delimitato da altri; le guerre provocate ad hoc, dai pochi che sorvegliano senza diritto il progresso (purché sia sempre nel loro interesse); la Storia, che è sempre e comunque decisa, fatta e raccontata dai vincitori; il lavoro minorile, segreto e segregato, invisibile persino agli occhi dei ‘giusti’, perché è più facile non vedere; e c’è la forza dell’amore negli occhi che si spengono, ci sono alcune delle scene di battaglia più belle degli ultimi anni (lo scontro al buio con i soldati mascherati); c’è l’epica tragica, c’è l’amara ironia, c’è il dramma della perdita, l’orrore del ricordo, la caduta e la rinascita e di nuovo la caduta e forse la rinascita.

C’è un finale che spezza in due i buoni, la pacca condiscendente sulle spalle dell’eroe decaduto (Chris Evans mai così lontano dal patriottismo demagogico del suo Capitan America) da parte del Padrone/Dio/Master in attesa di ricambio (Ed Harris di nuovo “Christoph”, ruolo speculare a quello in The Truman Show). Alla fine, ecco la forza di un’azione primitiva, un gesto che rimanda quasi al mito della caverna di Platone, una corsa nell’ombra verso la luce e la speranza, che sorge sul sangue, sulle macerie, sulla sconfitta già scritta.



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2 Comments

  1. io soprattutto l’inizio l’ho trovato eccessivamente macchiettistico e distopico, con i ricchi assolutamente poco credibili nella loro cecità verso la rabbia dei poveri…e poi il finale, è tutt’altro che di speranza

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