Internet è ormai l’opinion leader più influente del mondo. Almeno nel settore dei videogiochi. Da anni il destino di console, indie e AAA si consuma nella sezione gaming di NeoGaf: è lì, ad esempio, che Xbox One è stata subito bollata come un fiasco alla fine della presentazione all’E3, in una profezia che si è auto-avverata e tuttora produce effetti. Allo stesso modo le fortune della saga di Assassin’s Creed sono di colpo mutate da quando l’uscita di Unity, il capitolo ambientato durante la Rivoluzione Francese, è stata accompagnata da una lunga e diffusa serie di meme che ne raffiguravano i grotteschi bug grafici, facendo passare in secondo luogo qualunque altro aspetto del gioco.

Il successivo Syndicate è uscito per inerzia, forse perchè il progetto era in uno stadio di lavorazione troppo avanzato per cancellarlo mentre l’impietoso giudizio del gruppo calava come una mannaia sulla fama della saga. La sostanziale indifferenza con cui è stato accolto l’excursus nella Londra vittoriana ha però convinto Ubisoft della necessità di imporre uno iato alla serie di Assassin’s Creed e provare a riordinare le idee.

Il solito cambio di ambientazione questa volta non sarebbe stato sufficiente. Per sopravvivere Assassin’s Creed aveva bisogno di una rivoluzione. E così è stato – anche se questi intenti non si possono dire pienamente realizzati.

Assassins’ Creed Origins, il primo passo in questa seconda vita del franchise è un ritorno alle origini della saga, chiaro fin dal titolo, con un tuffo in quel passato remoto tanto funzionale all’impianto narrativo quanto al sistema di combattimento basato sul corpo a corpo e l’uso di armi da taglio. È indubbio che buona parte del fascino della serie sia legato alla sua storiografia alternativa , versione interattiva dei romanzi di Graham Hancock – o delle trasmissioni di Giacobbo per usare un riferimento più local.

L’antico Egitto allora è la culla ideale per una narrazione basata sui misteri, i complotti storici e un pizzico di esoterismo, in cui far affondare le origini della setta degli Assassini, accennate fin dai tempi di Altair, ma mai esplicitate. Al punto che l’Egitto stesso, con le sue distese di sabbia che si estendono a perdita d’occhio e la sua architettura monumentale, diventa dopo qualche ora il vero protagonista del gioco.

Già, dopo qualche ora, perchè Origins offre uno degli incipit più anti-climatici che io ricordi. La storia di Bayek, il fiero protagonista del gioco, è difficile da decifrare ritrovandocisi dentro in media res. In breve flashback e sequenze oniriche aggiungeranno preziosi tasselli capaci di rendere più chiara la sua sete di vendetta, ma durante il primo approccio ho sinceramente creduto di aver skippato involontariamente un pezzo di filmato iniziale e perso così un tassello.

Non aiuta inoltre il fatto che i personaggi secondari, comprimari nelle primissime quest, siano animati e doppiati in maniera meno precisa rispetto ai co-protagonisti che si incontrano più in là nel gioco. La loro recitazione digitale risulta spesso sottotono e a volte addirittura fuori contesto. Il dettaglio più straniante però è la totale assenza di rumore di fondo durante le conversazioni: anche nel pieno della confusione di un mercato quando parte la cut-scne del dialogo intorno non si sente più volare una mosca.

Una volta abbandonata l’area iniziale e iniziato il viaggio attraverso la terra dei faraoni, liberamente esplorabile fin dall’inizio, qualcosa scatta e lo scenario ruba letteralmente la scena. Silenziose distese di sabbia si alternano a sporadiche paludi, piccoli villaggi o accampamenti presidiati da soldati romani, mentre la lussureggiante foce del Nilo è teatro di scontri tra coccodrilli, ippopotami ed altri animali selvaggi, con gli imponenti monumenti che lasciando intravedere il loro profilo in lontananza. La mappa, che si compone di diverse regioni ciascuna caratterizzata in termini di architettura e vegetazione, è imponente. Siamo ben oltre qualunque altro capitolo precedente in termini di espansione.

Questo sforzo immane, decisamente apprezzabile in termini grafici anche sulla Xbox One con cui ho provato il gioco, è giustificato dal ruolo fondamentale ricoperto dalle missioni secondarie nel progresso del giocatore in seguito all’introduzione di una componente RPG. Non solo Bayek guadagna XP completando missioni, visitando nuove aree e ritrovando i numerosi collezionabili sparsi per la mappa, ma anche l’equipaggiamento e le missioni sono legati a questo sistema di progressione a livelli. Affianco a ciascuna missione disponibile il gioco indica livello consigliato per affrontarla, mentre allo stesso modo alcune zone della mappa sono presidiate da nemici – ed animali – di alto livello, rendendo la loro esplorazione parecchio complicata.

Dedicandosi esclusivamente alle missioni principali tuttavia risulta impossibile tenere il passo. Presto tra una missione e la successiva fa capolino un balzo di almeno 2-3 livelli che va colmato dedicandosi alle attività secondarie. E qui la rivoluzione di Assassin’s Creed inizia a mostrare il fianco. Perchè per quanto camuffate le quest opzionali sono più o meno tutte varianti della classica missione-del-corriere-espresso, in cui un personaggio non giocante vi chiede di compiere al posto suo un’azione, spesso a diverse centinaia di metri di distanza se non addirittura nel villaggio distante qualche chilometro, per poi fare ritorno dal vostro committente a riscuotere la ricompensa.

Un sistema arcaico, che si svela ben presto e stride con l’opera di restauro a cui è stato invece sottoposto il sistema di combattimento. Ti ricordi quando i nemici ti affrontavano uno alla volta e bastava premere un solo tasto con una vaga attenzione al tempismo per uscirne vivo? Bene, quei tempi sono finiti. Ora hai a disposizione attacchi leggeri e pesanti, una parata che può diventare una parry e un tasto dedicato all’evasione. I combattimenti hanno cambiato quasi completamente volto. Ora lo svantaggio numerico diventa davvero problematico da gestire e il ricorso ad opzioni più silenziose una necessità a cui aggrapparsi ogni qualvolta ciò sia possibile. Anche sfruttando il vantaggio tattico garantito dalla ricognizione aerea che la nostra fida aquila può fornirci semplicemente premendo un tasto.

Con l’ingresso in scena dei personaggi più importanti ai fini della trama, da Tolomeo a Cleopatra anche il livelo medio della recitazione migliora, rendendo più piacevole e appassionante l’intreccio storico a cui il percorso di vendetta di Bayek finisce per legarsi. In questo senso, il lavoro di ricostruzione svolto da Ubisoft  stato molto preciso: basti pensare che la camera scoperta in questi giorni all’interno della grande piramide è già presente nel gioco poiché il modello è stato realizzato seguendo le teorie dello studioso Houdini.

Altrettanta attenzione è stata riposta nell’evitare il white washing: a differenza di quant avveniva nel primo capitolo della saga, questa volta il gioco sfoggia senza timore un protagonista dalla pelle scura. Anzi, una coppia di protagonisti dalla pelle scura, perchè anche Aya, la moglie di Bayek, è un personaggio giocabile, nonché profondamente immersa nell’affresco storico che porta la trama alla corte di Cleopatra. Meno credibile invece è il vocabolario a cui ricorrono i dialoghi, decisamente troppo moderno e fuori contesto, soprattutto nelle abbondanti imprecazioni. Non che io sappia come si esprimesse una guardia ai tempi delle piramidi, ma spesso le parole di Bayek non hanno saputo restituirmi questa impressione.

Arrivato al momento del giudizio e dovendo pesare l’anima di Assassin’s Creed Origins sulla bilancia, il risultato non può che essere la media di una serie di contrasti. Gli sforzi compiuti per lasciarsi alle spalle quegli elementi della saga ormai divenuti stanti hanno prodotto buoni risultati: il combattimento presenta ora dei nuovi stimoli e l’ambientazione si può tranquillamente definire la migliore mai visitata da un assassino. La scarsa varietà e la superficiale profondità di molte delle missioni pregiudica tuttavia la possibilità di godere appieno dei nuovi strumenti a disposizione.

Ubisoft ha saputo prendere coscienza di ciò che non andava in Assassin’s Creed, ma non tutte le soluzioni adottate si sono rivelate per il momento vincenti. D’altra parte ogni rivoluzione inizia con uno strappo netto rispetto al passato, ma per vederne realizzati i cambiamenti auspicati bisogna sempre attendere il giudizio del tempo.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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