Mercurio è il pianeta… ha un’orbita diversa da quella di tutti gli altri pianeti del sistema solare, così anomala che ancora viene studiata! Ma è anche quello più vicino al Sole… l’unico a godere in modo speciale dei suoi raggi. Mercurio è quindi la ricerca della verità… compie percorsi anomali per avvicinarsi alla luce.
Mercurio è il metallo! Il primo degli elementi alchemici… ancora indefinibile e inafferrabile! Mercurio, quindi, è il mistero e l’imprevedibilità… la sua natura e le sue intenzioni sono sconosciute a tutti, tranne che a se stesso.
Mercurio è la divinità! Il messaggero degli dèi, divinità dell’eloquenza e della comunicazione… ma per la sua velocità è anche il dio dell’inganno, dei ladri e dei truffatori… quindi Mercurio è l’intelligenza… ed è padrone della velocità con cui questa si muove. Ecco le caratteristiche che rendono un nome tale…– da Mercurio Loi n 3 “Il Piccolo Palcoscenico”
Mercurio Loi, chi è costui? Professore di storia, bighellonatore professionista, investigatore en passant. Un uomo il cui intelletto è secondo solo alla considerazione che ha di sé. A vederlo non gli dareste due lire: orecchie enormi, naso aquilino, mento scimmiesco, tratti che stridono con una vanità senza limiti.
Vi direste incuriositi da una persona così? Dovreste. Perché Mercurio Loi è anche uno straordinario gentleman, oltre che il massimo campione di deduzione del suo tempo. Quale tempo? Beh, ma il 1825. In quegli anni Roma era una città ben strana in cui vivere: il Papa è Re e il clima non è dei più distesi; il sottosuolo brulica di società segrete, nascono i primi focolai rivoluzionari che prenderanno poi corpo nel risorgimento italiano, un colpo di cannone annuncia il coprifuoco, i carabinieri pontifici rastrellano le strade in cerca di cospiratori e la ghigliottina è lo strumento prediletto per soffocare le rivolte.
In questo palcoscenico distopico potete seguire il professor Loi, che prende sempre la via più lunga, che osserva il microcosmo urbano con lo sguardo colmo di meraviglia, che si abbandona al piacere di perdersi per ritrovarsi. Già, ma ritrovarsi in cosa? Semplice: al centro di una rete fatta di immagini e illusioni. Mercurio non è solo un epicureo: è un genio deduttivo, dicevamo, e questa sua abilità è la caratteristica che definisce il suo ruolo nel grande spettacolo, quello di un uomo in cerca della verità. Anzi, permettetemi di riformulare: quello di un uomo dedito al disvelamento del falso.
Il falso e l’artificioso che spesso coincidono con le macchinazioni di geni criminali, ma non sempre: talvolta sono le strade di Roma e la vita che le anima, coi suoi incroci e le sue storie, a costruire il mistero: non di rado è la “realtà” stessa a mostrare la corda come le quinte di un teatro che, se viste da una prospettiva favorevole, rivelano ciò che si nasconde dietro. Quante volte è capitato di leggere una teoria di Mercurio su un certo comportamento criminale o una situazione, per poi scoprire che si tratta di un cliché narrativo? Meta-ironia, direste. Pensate però se non fosse fine a se stessa, ma il piccone che apre una crepa nella quarta parete. Non mi stupirei se un giorno vedessi il professore bussare alla porta del suo creatore.
Nelle sue peripezie intellettuali, Mercurio non è solo. Per un indagatore speciale, c’è sempre un assistente speciale. Ottone De Angelis infatti è molto più di una spalla. Si potrebbe tentare la stessa analisi etimologica/semiotica fatta per il nome di Mercurio: “Ottone è una lega ossidabile…”; ma trovo più interessante l’analisi di Ottone come contraltare simbolico del suo mentore. Impulsivo, laddove in Mercurio prevale la riflessività; emotivo, in opposizione alla lucidità analitica del professor Loi. Ottone è una figura complementare a quella di Mercurio, due ingranaggi fondamentali di un meccanismo che si incastrano alla perfezione.
Più Robin che dottor Watson, sarcastico (e spesso insofferente) più che sbalordito dalle abilità dell’amico, Ottone, con le sue battute, non fa che dissacrare il genio del suo maestro. Ma sarebbe un errore tracciare dei contorni così netti, poiché il fiore all’occhiello della caratterizzazione sta nei chiaroscuri. Le intenzioni dell’autore sono chiare sin dall’esordio: costruire una storia attorno ai personaggi; dal protagonista fino all’ultima delle comparse, tutti devono lasciare un segno, anche con una sola battuta.
Ognuno mostra una personalità a tutto tondo, cesellata di albo in albo. Ottone infatti non è semplicemente un allievo preso sotto l’ala protettrice del professor Loi, ma un ragazzo tormentato, che segue un suo percorso lastricato di rimorsi. Mercurio lo consiglia, ma al tempo stesso gli lascia la libertà di scelta sul bivio da imboccare. Abbiamo il colonnello Belforte, che dopo un tragico incontro con un criminale, vive una metamorfosi profonda sia fisica che psicologica. E abbiamo il protagonista, le cui avventure sono sì autoconclusive, ma lasciano dietro una serie di strascichi fisici e psicologici su di sé e sugli altri. In questa maniera il racconto cresce, prende sostanza e vita.
Menzione a parte va fatta per i villain. I più “classici” sono riflessi deformati di Mercurio stesso – un po’ come quelli di Batman, per intenderci. Ma i più riusciti, a mio parere, sono quelli che, in un certo momento della narrazione, si dissolvono: Mercurio inizia una partita a scacchi con il nemico, dove l’attenzione si sposta progressivamente dall’avversario alla partita in sé. La conclusione si raggiunge con la risoluzione del rompicapo e non con la cattura dell’antagonista. Ancora meglio quando non tutti i pezzi vanno al loro posto e spetta al lettore concludere la partita, arrovellarsi sul tassello mancante e cercare una soluzione che meglio vi si adatti.
Sullo sfondo sta Roma, e lì vi rimane, spogliata delle sue meraviglie, particolareggiata sì, ma senza strafare. “Mercurio Loi non è un racconto storico, ma un racconto ambientato in un determinato periodo storico”, rivela l’autore, “Per dare vita ai personaggi occorre una certa credibilità e per ottenerla bisogna rifuggire dal didascalismo del racconto storico”. Su questa differenza si regge la sottile membrana che impedisce ai personaggi di annegare nel setting.
Abbiamo parlato dei personaggi e del contesto; ora passiamo alla narrazione. Il contenuto spesso è quanto di più semplice possa esserci: praticamente privo di colpi di scena, con l’azione che passa spesso e volentieri in secondo piano, si regge sul disegno geometrico ed essenziale di poche linee che si incontrano. Più complicata è la forma. Immaginate una mano di tarocchi, dove ogni carta è un segno, il cui significato va delineandosi in relazione alle altre carte. Il gioco dello sceneggiatore è più o meno questo: c’è un simbolo pescato dal mazzo, che diventa lo starter per un esercizio di stile. Esercizio che può svilupparsi in un contrappunto di analogie e metafore, o spingersi ancora oltre: il gioco tocca l’apice quando il “sistema di simboli” (o la mano di tarocchi, fate voi) diventa il blueprint della diegesi, come avviene in A passeggio per Roma, dove l’intera struttura narrativa rispecchia la natura labirintica del gioco in cui si ritrova intrappolato il protagonista – e, di riflesso, anche noi.
I disegni sono votati alla funzionalità. Si adattano al dinamismo del professore, ora in bilico su tegole e cornicioni, ora fermo ad ammirare il panorama in una vignetta orizzontale. Nella loro semplicità, le tavole svolgono un eccellente lavoro quando si prestano al gioco di specchi allestito dall’autore. In un riquadro, viene mostrato ciò che accade materialmente ad un personaggio e, in quello successivo, la riproduzione grafica dei suoi pensieri; oppure quando le vignette, sempre a mo’ di specchi, mirano a disorientare il lettore con le tassellature prospettiche dei vicoletti romani.
Le copertine di Manuele Fior giocano col simbolismo delle storie, spesso introducendo una chiave di lettura ulteriore (notare il ritratto arcimboldiano de Il cuoco mascherato).
Mercurio Loi è una creatura di Alessandro Bilotta.
Bilotta esordisce come sceneggiatore sul finire degli anni novanta con alcune storie di Martin Mystere. Nel 2003, assieme al disegnatore Carmine Di Giandomenico, realizza La Dottrina, edito da Magic Press. Il terzo volume dell’opera gli vale il Premio Attilio Micheluzzi per la “miglior sceneggiatura”.
È uno degli attuali sceneggiatori di Dylan Dog, per il quale ha creato la saga Il Pianeta dei Morti. Per Star Comics ha creato la serie Valter Buio, vincitrice nel 2010 del premio Romics/Repubblica XL per il “Personaggio italiano dell’anno”. Per la Sergio Bonelli Editore ha scritto anche Il Lato Oscuro della Luna e Nobody per la collana Le Storie, premiati entrambi per la migliore sceneggiatura.
Il numero 28 della stessa collana vede l’esordio di Mercurio Loi.
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