Spiegare a chi non li ha vissuti cosa siano stati gli X-Men e la loro famiglia allargata tra gli ’80 e i ’90 è complicato. Soprattutto oggi, quando i mutanti vivono ormai da anni in esilio alla periferia del’Universo Marvel, coinvolti solo di rado nelle vicende che ne definiscono lo status quo e ormai estranei a qualunque tipo di attività promozionale. Benché questa situazione sia destinata a cambiare presto – grazie all’acquisizione di Fox da parte di Disney che riporterà il brand X all’interno del Marvel Cinematic Universe – un lustro di scarsa considerazione ha lasciato il segno.
Per farla semplice, tra la fine degli anni ’80 e l’alba dei 2000, qualunque albo con una X in copertina raggiungesse gli scaffali era destinato a vendere una vagonata di copie. Gli X-Men erano letteralmente una gallina dalle uova d’oro per la Marvel. Quel successo così smodato, e all’apparenza inesauribile, portava impresso a caratteri cubitali il nome e cognome del suo artefice: Chris Claremont.
L’autore di origine britannica si era visto affidare le redini della nuova formazione degli X-Men semplicemente perchè la serie vendeva così male che nessun altro autore si sarebbe mai azzardato a metterci le mani sopra. Nelle mani di Claremont invece gli X-Men si trasformano. Reietti, derisi, disprezzati, incapaci di farsi comprendere dalle persone “normali”, eppure intimamente certi di essere speciali: i mutanti erano la traslitterazione in chiave mitologica di qualunque adolescente nel pianeta.
Nonostante la convinzione di alcune fasce del fandom odierno, lo scopo di una casa editrice oggi come allora è quello di fare soldi. E gli X-Men a quel tempo erano una macchina da soldi. Non sorprende dunque la decisione dell’allora editor-in-chief della Marvel di creare una seconda X-testata per soddisfare la voglia di mutanti che all’epoca attraversava ogni fascia di pubblico e capitalizzare così il momento di estrema popolarità prima che il vento cambi.
Il timone della nuova serie viene così offerto a Claremont, che tuttavia inizialmente rifiuta per poi capitolare quando intuisce che gli scrittori disposti a prendere il suo posto a quel punto non mancano.
Eh già, le necessità commerciali guidavano le scelte editoriali già nei mitologici e ispirati anni ’80/’90, proprio come succede oggi. E oggi come allora, la bontà di un progetto non si decide sulla base delle spinte che lo hanno condotto nel regno dell’esistente.
I Nuovi Mutanti non sono i figli prediletti di Chris Claremont. Lui avrebbe preferito che i suoi X-Men rimanessero gli unici titolari di una testata mutante nell’Universo Marvel, il solo fulcro di tutte le sue trame, contro ogni legge di mercato. Non per questo però si rassegna a scrivere di mestiere una volta prese in mano le redini del nuovo gruppo.
L’esordio – ristampato da Panini di recente insieme alle prime storie del gruppo in un bel volume cartonato da titolo Rinnovamento – avviene su Marvel Graphic Novel #4 e come spesso accade è il caso a metterci lo zampino rendendo l’occasione speciale. Claremont e McLeod, illustratore di solito impegnato dalla Marvel alle chine, sono già al lavoro su un albo standard, quando il ritardo di un altro team creativo spinge i vertici della Casa delle Idee a dirottare i loro sforzi sulla collana Graphic Novel, caratterizzata da una foliazione più ampia e colori più ricercati. Per presentare al mondo I Nuovi Mutanti, Claremont si ritrova così a disposizione parecchie pagine in più, che considerato lo stile ricco di didascalie e baloon dell’autore britannico certo che non guastano, mentre i tratti morbidi di McLeod risultano esaltati da colori tenui, quasi pastello, in cui qualche accenno di sfumatura dona profondità e tridimensionalità alle figure ad agli ambienti.
Se facessero la loro prima comparsa oggi, i Nuovi Mutanti diventerebbero immediatamente bersaglio di quella parte di pubblico che accusa la Marvel di pensare troppo al politically correct e alla diversità dei propri personaggi. Per assemblare la squadra di giovani mutanti destinati a prendere il posto degli X-Men, dati per morti dopo essere stati rapiti e trascinati nello spazio profondo, Claremont riprende il concetto di mutante che l’ha condotto al successo e lo rielabora con uno slancio internazionale.
Sam Guthrie, ragazzotto del Kansas finito a lavorare nella stessa miniera in cui suo padre si è ammalato fino a morire. Roberto Da Costa, figlio di una ricca famiglia brasiliana, ma disprezzato dai suoi coetanei per la sua origine meticcia. Danielle Moonstar, cheyenne ribelle, fiera rappresentate di un popolo sull’orlo dell’estinzione. Rahne Sinclair, scozzese cresciuta dai preti, sfuggita ad un linciaggio a base di torce e testi sacri da parte dei suoi compaesani, pronti ad estirpare una volta e per sempre i suoi demoni alle prime manifestazioni del potere mutante. E infine Xi’an Coy Manh, già nota come Karma ed l’unica del team già apparsa in precedenza in altre storie, telepate proveniente dal Vietnam con un passato tragico alle spalle.
Quello di Claremont è un manifesto spiccatamente politico. Alla faccia di chi ritiene la Marvel di oggi troppo schierata. I Nuovi Mutanti sono inno alla diversità di ogni tipo, alla tolleranza, all’accoglienza, alla comprensione reciproca. Come spesso accade, le idee di Claremont approdate su carta sono solo una percentuale di quelle finite sul tavolo del suo editor, ma in controluce è rimasta traccia di qualche sottotrama accennata e poi cancellata. Per esempio, la sensazione pagina dopo pagina è che leggendo tra le righe l’amicizia tra alcune ragazze del gruppo possa in realtà celare qualcosa di più profondo, anche se una trama apertamente omosessuale non verrà mai sviluppata fino al coming out di Karma che avverrà tuttavia diversi anni più tardi.
Di fronte alla modernità delle tematiche trattate, la modalità con cui le storie sono scritte, figlie del modello in voga all’epoca e dello stile di Claremont per nulla conciso, mostra i segni del tempo, ma non condiziona eccessivamente la lettura. Nell’introduzione, Marco Rizzo definisce il corpus di Claremont come una soap opera mutante ed in effetti è questa la formula narrativa che viene in mente più spesso sfogliando le pagine di Rinnovamento.
Per quanto declinate in una modalità capace di risultare molto appetibili ai ragazzini, le trame dell’epica di Claremont traboccano di colpi di scena, segreti, rivelazioni sconvolgenti e dettagli che portano con sé futuri sconvolgimenti, suggeriti mese dopo mese per poi rivelarsi magari ad anni di distanza dal primo accenno. Per non parlare delle scene più intime o amorose, in cui il taglio registico e i dialoghi ricalcano molto da vicino quelli delle telenovelas.
In particolare, le prime storie de I Nuovi Mutanti portano in sé già buona parte del potenziale tragico che renderà famose le vicende del gruppo. Dopo il numero speciale in cui la formazione viene assemblata per fronteggiare il Club Infernale, i giovani allievi del prof. Xavier devono vedersela con un esemplare della Covata, razza aliena che ha posseduto il loro mentore fecondando un cucciolo di regina nel suo corpo. Attraverso i poteri mentali del professore, l’alieno suggestiona le percezioni dei ragazzi, in particolare Moonstar, regalando al lettore sequenze suggestive e surreali, in un certo qual modo persino anticipatorie del New Weird fantascientifico odierno.
Questa lunga trama occupa diverse pagine del volume ed al suo interno si innestano altri due eventi: una storia di stalking e abusi domestici e il ritorno degli X-Men sulla Terra. È affascinante come Claremont riesca a giocare con la stessa confidenza su piani diametralmente differenti. Poche pagine prima racconta come l’atteggiamento violento e autoritario di una famiglia possa condizionare il modo in cui un adolescente si rapporta all’amore, per poi allestire poco dopo una super zuffa tra tizi in costume, creduti morti per mano aliena.
Un altro dettaglio che salta all’occhio è lo sforzo di Claremont e degli editor Marvel dell’epoca di mantenere coeso l’universo narrativo. Quando altri personaggi fanno capolino nelle avventure dei Nuovi Mutanti la loro presenza viene sempre contestualizzata in relazione agli eventi recenti che li hanno visti protagonisti su altri albi nel passato recente. L’impressione che trasmette un approccio simile è quella di un mondo in cui ogni evento è collegato, sensazione non sempre presente nella Marvel odierna, soprattutto per chi legge unicamente le testate mutanti.
Dal punto di vista grafico il volume si divide in due grossi blocchi. Il primo è la graphic novel in cui il gruppo viene introdotto, in cui i disegni e le morbide chine dallo stesso McLeod vengono esaltati dai colori tenui di Glynis Olivier. Nelle storie seguenti invece si torna alla classica colorazione piatta, che sulla carta lucida odierna non rende bene come su quella porosa dell’epoca, mentre McLeod viene assistito da altri professionisti alle chine prima di essere sostituto dal più rigido e spigoloso Sal Buscema nelle ultime storie, che Claremont cerca di esaltare concedendo modo al disegnatore di sfoggiare la sua abilità nelle espressioni drammatiche ogni qual volta possibile.
Nelle storie che Panini raccoglierà nel prossimo volume, i toni e le atmosfere diverranno ancora più disperate e dark, vicine a quella svolta horror che Fox sta provando ad imprimere al film attraverso l’inserimento di nuove riprese. Rinnovamento è comunque un’ottima occasione per iniziare ad acquisire confidenza con i mutanti protagonisti dell’omonima pellicola nel 2019, ma anche e più semplicemente un buon ciclo di storie classiche, ben scritte e disegnate, che incarnano quanto di buono gli anni ’90 hanno saputo offrire sul fronte mutante senza le esagerazioni stilistiche che sarebbero sopraggiunte da lì a poco.
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