Si dice spesso che fare un buon secondo film è molto più difficile che fare un buon film d’esordio. Ed è vero! E, siccome è vero, possiamo urlare ai quattro venti che Duncan Jones rappresenta il futuro del cinema di fantascienza. Non quella “a laserate” e “mitologica” di matrice lucasiana, anzi, ma una fantascienza più vera, realistica (e scusate l’apparente contraddizione), credibile. Moon, in fondo, toccava corde umanissime e concrete, le stesse affrontate lustri fa da Ridley Scott in Blade Runner.

The Source Code parte da presupposti molto diversi: budget più elevato (ma non troppo), ritmo più frenetico, che piace tanto ai produttori, effetti speciali convincenti, un cast di all star (o quasi), un plot che non può non piacere (i salti temporali!). Jones, però, ci mette del suo: il suo stile, la sua mano, la sua sensibilità. Ed ecco che, invece di avere un dozzinale e fracassone prodotto d’intrattenimento per menti lobotomizzate alla Bay, ne consegue un film che riesce al tempo stesso a essere spettacolare e intimista, frenetico e profondo.

The Source Code

La storia si presenta senza fronzoli, immersiva e appassionante: un soldato di stanza in Afghanistan (Jake Gyllenhaal, convincente) invece che in missione si trova improvvisamente catapultato all’interno di un treno che sta per arrivare a Chicago. Non ha nemmeno il tempo di capire il motivo per cui la ragazza che gli sta di fronte (Michelle Monaghan, perfetta) sembra conoscerlo alla perfezione, che il treno esplode a causa di un attentato e lo sventurato si ritrova all’interno di una capsula, cavia di un esperimento scientifico che gli permette di rivivere continuamente gli ultimi otto minuti che precedono l’esplosione.

La formula del salto temporale, degli universi paralleli e delle giornate che si ripetono, è un topos classico della Hollywood contemporanea, basti pensare a Deja Vu, Donnie Darko e all’indimenticabile Groundhog Day (in Italia Ricomincio da capo) con sua maestà Bill Murray. Lo script di Ben Ripley riesce a innovare e rinnovare questo sottogenere, aggiungendo umorismo (nero) nelle fasi più concitate, impedendo allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo grazie a un susseguirsi di colpi di scena e omaggiando l’intelligenza e l’umanità del pubblico (posto che quest’ultimo ne sia ancora dotato…) con uno dei finali più appassionanti e toccanti visti al cinema negli ultimi anni.

The Source Code

A metà strada tra thriller e fantascienza low budget, The Source Code ristabilisce il primato della scrittura, della regia e dell’interpretazione sull’overdose di effetti speciali, inutile 3D e cortine fumogene gettate negli occhi degli spettatori per confonderli e mascherare il nulla cosmico che ammanta la maggioranza delle produzioni hollywoodiane odierne.

Una boccata d’aria fresca come non si vedeva da tempo e, grazie a una particolare sequenza che va dritta al cuore, una ventata di inaspettato ottimismo che rischiara, anche se solo per un istante, i tempi bui che stiamo vivendo.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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