Oh no, Pandora! Eri stata avvertita: dovevi proprio aprirlo quel vaso? Ora tutti i trickster sono scappati e imperversano nel mondo. Agenti del caos, guastafeste di natura, questi sette rompiscatole si divertono a sconquassare il tessuto della realtà con particolare predilezione per le opere d’arte e i monumenti storici. La Sfinge va in frantumi, un Bruegel in brandelli, e il mondo gira e vortica in un caleidoscopio di forme e colori. Chi rimetterà a posto tutto? Prometeo è incatenato, Epimeteo è rimbambito e gli uomini non riescono a trovarsi il culo con due mani. 

Ma fermiamoci un attimo, facciamo un po’ di ordine.

Durante gli anni settanta, non si sa bene perché, in Unione Sovietica scoppia una vera e propria mania per i polimini e il mondo diventa tutto a quadretti. Troppo indietro? Va bene. Fast Forward: centro di calcolo dell’accademia di scienze di Mosca, 1984. Nei corridoi scoloriti della sezione informatica, un programmatore e due suoi collaboratori inventano la prima droga elettronica al mondo. È fatta degli stessi polimini (tetramini, in realtà) che hanno fatto impazzire il mondo una decina d’anni prima — quello sovietico, almeno — e crea una fortissima dipendenza. Tra gli effetti collaterali vi sono allucinazioni, esaurimenti nervosi e forti dolori alle articolazioni delle mani. Ma l’effetto desiderato è una catarsi ipnotica che conduce la coscienza verso l’abbandono di ogni legame fisico con la realtà in uno stato simile all’estasi. Il nome del programmatore è Aleksej Leonidovič Pažitnov e la sua invenzione si chiama Tetris. Pažitnov non può saperlo, ma ha inavvertitamente aperto il vaso di Pandora.

Vi starete chiedendo: ma come, non l’aveva aperto Pandora il vaso di Pandora? Capisco la confusione. D’altronde il concetto stesso di linearità temporale ha poco senso quando si parla di questi argomenti. In effetti, non mi sento di escludere che il vaso sia stato aperto da entrambe le estremità e abbia messo in comunicazione i due lati della storia. Intanto i tetramini dilagano senza controllo, tra i freddi uffici sovietici e le software house occidentali si combatte una guerra tutt’altro che fredda tra diritti di pubblicazione, fraintendimenti, incredibili voltafaccia e la solita Nintendo che stampa denaro. L’unico che sembra non guadagnarci nulla — almeno in termini di soldi — è proprio Pažitnov. Certo, la sua vita è cambiata radicalmente e la sua creazione gli ha comunque garantito l’immortalità, ma questa condizione comincia a stargli stretta. Sì, insomma, vuole fare altri giochi.

Nel frattempo, il suo mondo crolla e lui spunta ai suoi antipodi, cioè Las Vegas, dove fonda la Tetris company, ma le cose non gli vanno proprio benissimo. Poi, per uno di quegli imprevedibili allineamenti del fato, Pažitnov si ritrova nei corridoi di Microsoft — che magari gli ricordano un po’ quelli del centro di calcolo a Mosca — e allora l’ispirazione torna a fargli visita. L’occasione non è certamente delle più stimolanti: una sorta di tech demo per mostrare al mondo le potenzialità delle DirectX (le librerie grafiche di proprietà Microsoft), ma si sa che questo genere di costrizioni delle volte possono titillare la creatività come poche altre cose. Se Tetris, Welltris e Hatris erano pura astrazione, in Pandora’s Box l’esigenza di una narrazione che unisca i punti e li metta in relazione si concretizza in un divertissement che mescola arte e folklore dai quattro angoli del globo.

Tutto ha inizio con Pandora che riversa (inavvertitamente?) sul mondo il contenuto del vaso, vale a dire i mali e sciagure di vario genere. A me però questa versione non è mai piaciuta granché, ad essere sincero. Mi piace di più pensare a Pandora che dà una sbirciatina nello scrigno e dice “ma sai che forse non tutti i mali vengono per nuocere?” e lo apre. E dentro non ci sono mica i mali del mondo, ma una loro esemplificazione in forma di storie e rompicapo. Dietro i Find and Fill, Focus Point, Image Hole, Overlap, Interlock, Jesse’s Strips, Lens Bender, Outer Layer, Rotascope, Slices, scopriamo cose che non avremmo mai compreso, intrecci e aspetti del mondo che non avremmo mai colto senza l’aiuto del vaso.

Conosciamo Maui e la sua mitologica battuta di pesca, Puck e gli scherzi d’amore, Anansi che cade vittima dei suoi stessi tranelli, ecc. In un certo senso, Pandora fa all’umanità un regalo prezioso quanto quello di suo cognato Prometeo: i semi di tutte le storie, le analogie e le metafore, gli strumenti per tentare di capire il grande enigma del mondo e comunicarlo (almeno un po’). Il vaso, la scatola o lo scrigno che dir si voglia è più di un mero contenitore di disastri. È un dispositivo segnico, un aleph, la periferica di un proto-metaverso incapsulata in un’interfaccia di legno intarsiato che rimanda alle anticaglie automatizzate di un’epoca preindustriale. Come se non bastasse, ci si mette anche la nostalgia ad aggiungere un ulteriore layer alla faccenda estetica, chiaramente visibile nell’intersezione tra i software educativi alla Encarta e la grafica da PC-game di fine anni 90 ampiamente rimasticata e idolizzata dalla Vaporwave — corrente retronostalgica per antonomasia.

È il 1999 e il gioco riscuote successo. Certo non quanto Tetris, ma questo ci interessa fino ad un certo punto. Il punto, per quanto mi riguarda, è: perché non proseguire? Il vaso sarà pure stato chiuso, ma il mondo a me sembra più incasinato che mai. Oggi come oggi si avverte la necessità di una nuova avventura giramondo che sia anche un iper-racconto, un’enciclopedia babelica e un atlante universale di storie, arte, politica, scienza, moda, ecologia, filosofia, cronaca e tutto lo scibile umano. Eh, Aleksej? Che ne dici? Un po’ troppo? Eppure, guarda, di trickster ne abbiamo quanti ne vuoi, basta guardare tutte le sordide figure che saturano i canali informativi — capi di governo, magnati dell’hi-tech, influencer, ecc. Magari le loro storie avranno ben poco di mitologico, ma chi può dirlo? Intanto lasciamo macinare la scatola in una storia non necessariamente lineare che rimbalzi da un continente all’altro alla ricerca di un senso mai completamente afferrabile. E nel frattempo possiamo cogliere l’occasione per riabilitare almeno un po’ il nome di Pandora, ché a farci del male siamo già bravissimi da soli.



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