Siete stanchi dei prodotti audiovisivi tratti finanche dalla carta igienica usata da Stephen King? No? Allora è disponibile per voi quello che probabilmente è il più riuscito adattamento televisivo mai realizzato da un romanzo dello scrittore statunitense: The Outsider (Richard Price, 2020).

La miniserie, prodotta dalla HBO e da poco andata in onda su Sky Atlantic, racconta le operazioni di indagine da parte del crepuscolare poliziotto Ralph Anderson (Ben Mendelsohn) e dalla singolare Holly Gibney (Cynthia Erivo), un’investigatrice privata dalle strabilianti abilità deduttivo/predittive, avviate a seguito del raccapricciante infanticidio avvenuto nella torva provincia americana. Nonostante la straordinarietà di eventi e figure con i quali dovrà a fare i conti, oltre alla precaria condizione psicofisica personale che ne minerà la lucidità, Ralph lotterà strenuamente per seguire le piste, risolvere il caso e arrestare il colpevole – inizialmente individuato nell’allenatore Terry Maitland (Jason Bateman) – anche se la realtà dei fatti si rivelerà sempre più lontana da una prima e paradossalmente confortante ipotesi di reato…

Sceneggiato da Richard Price (The Night Of, The Deuce) in dieci bilanciati episodi, The Outsider accompagna lo spettatore tenendolo per mano e facendogli percorrere gli stessi passi dei detective, svelando il mistero a poco a poco e intercalandolo con una serie di micro-studi sui personaggi – alla maniera dello stimato True Detective, ma senza la sua specificità geografica e ambientale. La strategia narrativa, benché piuttosto standard – con un pilot ordinario e privo di particolari guizzi creativi – risulterà vincente sul lungo periodo quando, attraverso un innesco dosato, comincerà a seminare insoliti sospetti scalfendo uno scetticismo dapprima abilmente apparecchiato. Dopotutto la storia parla proprio di questo: convincimento. Persuadere lo spettatore, per King e Price, è una questione prioritaria rispetto all’affabulazione e al puro coinvolgimento. Poco importa se non tutto fila liscio o i conti non tornano al centesimo, l’importante è aver creato un gruppo, stabilito un patto e confidato in una missione comune che faccia trionfare il bene sul male, un male che si nasconde tra noi come un outsider dalle molte maschere.

Combinare due generi diametralmente opposti come il true crime e la speculative fiction non è impresa semplice, specie se poi l’intenzione è quella di tradirli entrambi. Il rischio è quello di minare la credibilità – e quindi il convincimento di cui sopra – degli esistenti sgretolandone la funzione narrativa. A più riprese, infatti, si avrà la sensazione che qualcosa sfugga alla comprensione, e non nel senso più nobile della detection structure, bensì nei passaggi da una direzione all’altra della scrittura, contraddistinta da una congenita insolvibilità.

Al netto di un epilogo tanto esausto quando funzionale, The Outsider resta uno show godibile che vale senz’altro il tempo che gli si dedica, a patto che ne si accettino le peculiarità kingiane, non sempre garanti di estrema originalità.



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