Quando qualcuno acquista fama, a qualsiasi titolo, inizia un’opera di disseppellimento di tweet o post del passato per mostrare com’era la persona in questione prima della notorietà, a caccia di chicche o prove di ipocrisia o incoerenza. Ecco, io a volte vorrei diventare famosa solo per bearmi al pensiero di gente che nella vita di professione fa il giornalista ma che a un certo punto, per lavoro, si ritrova a scandagliare la mia timeline del passato nella speranza di trovare qualcosa in grado di innescare una polemica, e invece si scontra contro un muro formato da decine e decine di tweet a tema Loki e Tom Hiddleston.
Qualche anno fa, infatti, il mio twitter ribolliva di foto, meme, gif, e hashtag dedicati al dio dell’inganno e, domenica dopo domenica, si avvicendavano gli #ShakespeareSunday segnati dalla citazione del bardo abbinata all’opportuna Loki-pic. Questa è una premessa, e anche una contestualizzazione dovuta, per mettervi a parte – prima di addentrami nella recensione – del mio amore per il Loki dell’Universo Cinematografico Marvel, sentimento inscindibile dall’ammirazione verso chi lo mette in scena: Tom Hiddleston.
A più riprese, a suo tempo, ho anche provato a buttare giù due righe per spiegare perché secondo me nell’universo Marvel c’era un altro personaggio femminile – quando già ne lamentavamo la scarsità – oltre Vedova Nera, e quel personaggio era proprio Loki che vedevo come una sorta di Rossella O’Hara, con in testa Asgard al posto di Tara.
Al di là del temperamento, dei capricci e del vestito verde, e ampliando un po’ più l’orizzonte speculativo, trovavo interessante che i poteri di Loki fossero stati trasmessi per via matriarcale, è stata Frigga infatti a istruirlo sulle arti magiche. Mentre Thor, per carattere ed educazione, era il guerriero rude, muscoloso, ignorante e beone, Loki era il lettore, quello dai modi composti, cresciuto all’ombra del primogenito favorito dal padre. Per Thor il martello, per Loki le armi corte da nascondere sotto le gonne l’abito. La differenza di educazione tra i due è proprio quella che tradizionalmente esiste tra il figlio maschio e la figlia femmina, e da sempre la mistificazione e l’inganno vengono biecamente inquadrate come arti muliebri.
In The Dark World, il Loki che viene rinchiuso nelle segrete ricorda il destino una volta riservato a tutte le donne che osavano uscire fuori dal seminato, ovvero essere bollate come pazze e rinchiuse a vita. Perfino il colore verde è quello femminile per eccellenza visto che era originariamente associato alla dea Venere. Il Loki cinematografico mi ha sempre ricordato per alcuni aspetti la classica femme fatale (che solitamente finisce male) e il fatto che invariabilmente gli altri personaggi non facciano altro che mettergli le mani addosso, ridurlo in catene, legarlo e munirlo di museruola mi fa pensare anche alla sublimazione di altro tipo di istinto.
Tanto per cambiare, anche nel primo episodio di Loki, la serie, il personaggio viene legato, spogliato e controllato via collare. Da qui in poi SPOILER
In Infinity War abbiamo assistito alla morte di Loki per mano di Thanos. A quel punto della storia, sebbene non possiamo parlare di una vera e propria redenzione del personaggio, di sicuro il dio dell’inganno aveva fatto la sua parte per aiutare Thor nel salvare la popolazione di Asgard per poi morire per mano di Thanos nel tentativo di eliminarlo. Ecco, non è questo il Loki della serie Disney+ .
In Endgame rivediamo il Loki di Avengers, appena catturato dopo la battaglia di Manhattan del 2012: è questo il protagonista della serie. Una volta messe le mani sul Tesseract – mentre gli Avengers erano tornati indietro nel tempo per recuperare la gemma dello spazio necessaria ad annullare lo snap di Thanos – Loki riesce a fuggire e a materializzarsi nel deserto di Gobi. Qui viene catturato dalla milizia della TVA (Time Variant Authority).
A questo punto apprendiamo che esiste un ordite prestabilito nello svolgersi degli eventi dal quale non si deve derogare: i trasgressori, denominati “Variante”, vengono catturati e imprigionati, le alterazioni da loro prodotte riparate.
Nel caso di Loki, però, viene fatta un’eccezione grazie all’agente Moebius (Owen Wilson) che desidera l’aiuto dell’asgardiano per indagare su alcune anomalie particolarmente preoccupanti. Segue un interrogatorio condotto dall’agente che risulta in un momento a metà tra una seduta psicoterapica e il tipo di bilancio della propria vita che ti aspetteresti nell’Aldilà.
Il primo episodio è molto dialogato e spiegato. Scelta obbligata, che serve tanto a noi quanto al protagonista, per farci capire chi cosa e quando stiamo guardando. Tutto quello che viene spiegato a Loki viene infatti spiegato a noi, e lo spaesamento e la necessità di capire di Loki è anche la nostra. Allo stesso modo, come noi abbiamo assistito all’evoluzione e al progredire degli eventi nella vita del protagonista attraverso uno schermo cinematografico, così il dio ha appresso i fatti della sua esistenza, e il consumarsi del suo epilogo, attraverso una proiezione.
Cosa tutto questo rappresenterà per Loki lo scopriremo nei prossimi episodi, per adesso abbiamo la conferma di quanto Tom Hiddleston abbia reso straordinariamente godibile ed espressivo un personaggio che nei piani originari avrebbe dovuto avere uno spazio molto più limitato nel MCU, e che sarebbe dovuto scomparire e morire già in Thor: The Dark World.
Ad affiancare Tom Hiddleston, versatissimo nel genere comedy, Owen Wilson anima un personaggio per contrasto più compassato, stropicciato e dedicato al proprio lavoro. La coppia funziona ottimamente, e rende vivace un confronto che altrimenti sarebbe risultato un lunghissimo “previously“.
Tirando le somme, già dal pilot, Loki sembra l’ennesima scommessa vinta della Marvel ma stavolta con la particolarità, e quindi la sfida, di porre al centro della scena quello che sulla carta è un villain e non il solito (super) eroe. L’interrogatorio psicanalitico, in fin dei conti, serviva proprio a questo, a far evolvere velocemente un personaggio che non si è mai fatto scrupolo di uccidere qui e là senza scrupoli, appena reduce da una sconfitta bruciante e umiliante per il proprio ego, e ancora imbevuto di “glorious purpose“.
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