Un dettaglio dalla copertina di Corpi minori, iuno dei libri di febbraio 2022 per Players

Autofiction a volontà, bimbi e padri scomparsi, una doppietta SFF strepitosa, un Nobel uscito dal limbo del fuori catalogo e due traduzioni ex novo che impreziosiscono grandi classici della letteratura nipponica.


Il libro del mese – Corpi Minori di Jonathan Bazzi

💡 Il ritorno di Jonathan Bazzi, al difficile traguardo del secondo libro dopo l’esordio rivelazione Febbre, che nel 2019 l’ha catapultato allo Strega. Sicuramente ai primi posti del buzz mensile delle novità italiane, per cui boxino “se ne devi leggere uno che tutti hanno letto nelle ultime settimane punta su questo” meritato. In tre anni, Bazzi ha fatto il salto da sorprendente rivelazione ad autore atteso al varco, con tanto di passaggio canonizzante tra Fandango libri a Mondadori. Mi verrebbe da paragonarlo a Mahmood in campo musicale: un altro nome prima sconosciuto dalla periferia milanese che porta una prospettiva intima e una sensibilità lontana dal canone e dallo stereotipo della cultura mainstream italiana alla ribalta, intercettando un pubblico molto vasto a cui prima d’ora avevano parlato in pochissimi al di fuori della sfera high brow, un pubblico che in quello che scrive Bazzi ci si rivede eccome. Corpi minori ha una dote piuttosto rara nel panorama italiano attuale, che è al contempo anche un limite e un difetto: è perfettamente sincronizzato con lo scenario letterario internazionale, dove i giovani nomi “giusti” puntano tutto sull’autofiction generazionale e identitaria. Il suo primo romanzo, Febbre, era quasi una confessione, mentre Corpi celesti è quasi un prequel. Si configura come un flashback che ripercorre le memorie amorose del giovane Bazzi in una periferia milanese spesso indifferente e brutale. Se vi è piaciuto Febbre probabilmente entrerete in sintonia anche con questo. Rimane la curiosità di capire se e quando si cimenterà con la narrativa, uscendo dai confini dell’autobiografico più o meno rielaborato.
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La copertina del libro Corpi minori di Jonathan Bazzi

Primo sangue di Amélie Nothomb

Chi da tempi non sospetti alterna narrativa e autofiction (quando ancora non la chiamavamo così limitandoci a un più incolore “romanzo autobiografico”) è la scrittrice belga bandiera della casa editrice Voland, che stavolta decide di raccontare la sua famiglia.

Difficile trovare un romanzo più figlio del biennio da incubo che stiamo vivendo: al centro della narrazione infatti c’è infatti Patrick Nothomb, il padre dell’autrice, venuto a mancare proprio durante l’epidemia di Covid-19, stroncato da un infarto.

Maturato nel lutto e nel lockdown, questo tomo ripercorre la storia dell’uomo prima che divenisse padre della scrittrice, concentrandosi su contrasto ironico e tagliente delle due fasi della sua vita. Il suo lavoro da diplomatico di successo nel Congo del 1964, dove salvò la vita a un migliaio ostaggi tramite trattative estenuanti sfidando la morte, è contrapposto infatti a un’infanzia tutt’altro che ordinaria, dominata dalle mediazioni altrettanto difficili con la madre per ottenere un po’ di affetto.

Chi conosce Nothomb non si stupirà nello scoprire che l’autrice scegliere di raccontare la figura eroica di suo padre con uno stile vivace e in prima persona. Traduzione di Federica Di Iella.

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La copertina del libro Primo sangue di Amélie Nothomb


 

Nulla ti cancella Michel Bussi

Michel Bussi è uno dei rarissimi scrittori ricorrenti sullo scaffale il cui impatto mi sembra aumentare e non diminuire col passare degli anni e delle uscite: non male per il giallista francese più amato in patria ma in Italia poco citato anche nella sua nicchia.

Se non avete mai letto nulla di Bussi, il titolo da cui partire è indubbiamente il suo cult Ninfee nere (2016) [per la fascia teen, invece, il consiglio è La caduta del sole di ferro]. Nulla ti cancella è più indicato a chi è già acclimatato alle sue atmosfere ricche di tensione e mai avare di colpi di scena o a quanti vogliono sentirsi raccontare ancora una volta la suggestiva Normandia da una penna che lì e nata e cresciuta.

La vibrazione qui è un po’ quella del film Changeling con Angelina Jolie. Nel 2010 Maddi assiste sgomenta alla sparizione misteriosa di suo figlio Esteban in spiaggia. I tentativi di cercarlo risultano infruttuosi, il caso cade nel dimenticatoio, la donna ricostruisce la sua vita con al centro il dolore mai sopito per quel figlio perduto.

Dieci anni dopo torna su quella spiaggia e vede un bambino che sembra essere il suo Esteban. Il ragazzino si chiama Tom e ha la stessa età di quando suo figlio è scomparso. Ricco di tensione, anche se forse un po’ tirato per le lunghe. Traduzione di Alberto Bracci Testasecca.

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La copertina del libro Nulla ti cancella di Michel Bussi


 

Cosa resta degli eroi – la trilogia di Richard K. Morgan

Quasi non mi sembra vero di poter finalmente annunciare all’italico lettore che questa saga che recensisco e raccomando da 14 anni a questa parte (!) è finalmente disponibile nella sua interezza in lingua italiana. Bene ma non benissimo la scelta di Mondadori di far uscire la trilogia in tre volumi separati e non in un ingestibile volumone omnibus (bene), anche se l’uscita contemporanea di tutti e tre i tomi (non benissimo) trasmette l’infelice impressione di volersi sbarazzare dell’incombenza più che voler lanciare seriamente l’autore e il titolo in questione.

Dall’ultima volta che mi è capitato di parlare su questi lidi di Richard Morgan, l’autore inglese di SFF si è visto adattare il suo titolo più famoso (Altered Carbon) in una serie così così di Netflix e si è visto costretto a eclissarsi per un po’ da Twitter dopo uno scambio piuttosto…vivace di opinioni sulla questione femminismo e transfobia.

Sembra ieri che in un thread su Reddit intitolato “quality gay fantasy storytelling” scovavo questo suggerimento e scoprivo il mondo di Ringil Eskiath, spadaccino di origini nobili che dopo aver salvato il mondo insieme ai suoi compagni d’arme ed essere stato dimenticato dallo stesso, trascorre il tempo come impenitente seduttore di giovinetti. Almeno fino a quando la madre lo convoca con la richiesta di salvare una lontana cugina rapina da loschi figuri.

Quella che attende Ringil e voi è un’avventura sinistra, brutale e a tratti disperante, in cui il mondo sembra sull’orlo di un nuovo Medioevo. Non è la realtà più preoccupante che scoprirà Ringil: figure ancora più potenti di re, predicatori e governatori, divinità che camminano tra i mortali e creature aliene che si muovono dietro le quinte, tessono un intrigo che fa sembrare il collasso della civiltà il minore dei mali.

A oggi rimane una delle trilogie moderne in campo grimdark che più amo, con alcuni passaggi che per potenza concettuale o brutalità descrittiva difficilmente si dimenticano. Sarebbe scorretto tuttavia non darvi l’elemento che all’epoca mi spinse alla lettura: epic alien sex in a high fantasy contest. Tolkien would never.

La traduzione del terzo volume è di Edoardo Rialti che ha rivisto completamente la precedente e ahimé infelicissima traduzione dei primi due volumi a opera del defunto editore Gargoyle.

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Copertina del libro L'acciaio sopravvive di Richard Morgan


 

I giorni di Cyberabad di Ian McDonald

Nello stesso mese Richard Morgan e Ian McDonald!? Sto salivando. Toccherà davvero rivalutare questo breve ma intenso febbraio 2002 dei libri in cui su Urania Jumbo torna a pubblicare la riscoperta in campo SFF più gettonata dell’ultimo decennio in Italia: Ian McDonald.

I giorni di Cyberabad è un’antologia di sette racconti, molti dei quali finalisti al premio Hugo. L’ambientazione indiana e futuristica non può che far pensare a Il fiume degli dei, titolo che insieme ad Ares Express di Zona42 ha rilanciato la popolarità di questo autore di grandissimo valore letterario in Italia, rendendolo ancor più famoso e conteso dagli editori di quanto non sia nel mondo anglofono.

Fama meritatissima anche in forma breve: la capacità di Ian McDonald di ritrarre in maniera complessa e strutturata una visione tecnologica e sociale futuristica lontana dall’Occidente evitando l’effetto “esotico” è quasi impareggiabile. Consiglio caldamente la lettura di La moglie del djinn, vincitore del premio Hugo nel 2007. Quella di McDonald su Urania Jumbo è un’antologia tutt’altro che accessoria, ma ha comunque il pregio di introdurvi per gradi alla complessità dello scenario geopolitico e tecnologico uno dei suoi romanzi più complessi e riusciti. Partite da qui, partite da Il fiume degli dei, partite da Luna, ma date a Ian una chance. Non sentitevi poi in obbligo di ringraziarmi. Traduzione di Annarita Guarnieri.

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Copertina del libro I giorni di Cyberabad di Ian McDonald


 

L’alveare di Camilo José Cela

Utopia ripesca dal limbo dei titoli Einaudi fuori catalogo nientemeno che quello che è considerato il capolavoro del premio Nobel per la letteratura 1989. L’alveare del titolo è Madrid, catturata nell’atmosfera al contempo cupa e febbrile dell’inizio degli anni ‘40: un tempo difficile di transizione tra la guerra civile e la Seconda guerra mondiale. Come tutti i romanzi con vaghi sentori bellici, quello di José Cela sembra un cupo ammonimento rispetto al nostro presente. Questo mese per ricominciare con la nostra rubrica mensile ho voluto elencare titoli degni di un compilatore davvero basic, facili da reperire, leggere e amare, quando in genere ho il vizietto di propinarvi mattoni spesso indigeribili ma di grande qualità. Ecco: L’alveare è la proposta ponderata e pesante della selezione, per chi vuole soffrirsi tutta la qualità delle sue lettore. I fortunati che lo lessero negli anni ‘90 lo descrivono come un’istantanea di una moltitudine di madrileni fatta a pezzi e consegnata, frammento dopo frammento, al lettore. Complimenti a Utopia per la scelta ardita di pubblicarlo tra i suoi libri di febbraio 2022, buona lettura a chi affronterà questo tomo sapendo che ci sarà da faticare. Traduzione di Sergio Ponzanelli.

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La copertina del libro L’alveare di Camilo José Cela


 

Lo stretto sentiero del profondo nord di Matsuo Bashō

In un panorama editoriale italiano in cui ancora – ahimè – capita d’imbattersi in traduzioni dall’inglese di classici e novità dall’Estremo Oriente, questo febbraio ci diletta con due opere il cui valore sta anche nella profonda cura linguistica e filologica dell’edizione italiana. Einaudi presenta quello che potremmo definire un taccuino poetico di viaggio di uno dei grandi poeti del Giappone del periodo Edo, Matsuo Bashō. Se volete testare un po’ la forma poetica brevissima degli haiku questo è un buon punto di partenza. Sei mesi di viaggio attraverso la quieta campagna nipponica del diciassettesimo secolo, con un itinerario verso il Settentrione così iconico da essere stato ripercorso da tantissimi lettori nei secoli successivi, nipponici e stranieri, alla ricerca dei templi, dei sepolcri, delle vedute e degli itinerari tradizionali che hanno ispirato a Bashō alcuni dei suoi haiku più noti.

La traduzione e la curatela del volume sono della poetessa Chandra Livia Candiani e della traduttrice Asuka Ozumi.

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La copertina del libro Lo stretto sentiero del profondo nord


La chiave di Jun’ichiro Tanizaki

Una riedizione affascinante di un classico “diario erotico” nipponico arcinoto a livello internazionale, anche se chi ha qualche anno in più in Italia lo ricorda soprattutto per l’adattamento cinematografico di Tinto Brass. Insomma, c’è davvero trippa per gatti e in pochi scrittori si muovono con fare felino e sornione tra erotismo soffuso, impulsi masochisti, tendenze voyeuristiche e feticismi voluttuosi come Tanizaki. Lui è un professore di mezza età, marito soggiogato da una donna fatale, la cui forza distruttrice è tale che potrebbe travolgere anche sé stessa. Nel mezzo un diario, scritto per nascondere i propri segreti o forse al contrario con la consapevolezza che qualcuno leggerà di nascosto il contenuto, si struggerà per esso, s’interrogherà sulla sua genuinità. Scandaloso all’epoca dell’uscita, bollato come immorale, ancor oggi La chiave sa guardare oltre al desiderio e al lato giocoso dell’eros, cogliendo i suoi riverberi oscuri e distruttivi.

L’aspetto curioso è che la precedente edizione di La chiave di Bompiani riprende la traduzione datata ma comunque effettuata dal giapponese di Satoko Toguchi, che a quanto mi è dato capire non ha tradotto nient’altro di facilmente reperibile. Ben venga dunque questa nuova traduzione a opera di Gianluca Coci, nome di riferimento sia per la traduzione sia per la curatela di collane dedicate alla letteratura nipponica di vari editori. Peccato però che Neri Pozza non abbia conservato l’estesa nota bibliografica di una nipponista leggendaria come Adriana Boscaro: data l’importanza dell’autore e dell’opera, una prefazione o postfazione sarebbero state ben più che accessorie. Da parte mia ora ho entrambe le edizioni e temo non mi disferò di nessuna delle due.

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La copertina del libro La chiave di Jun’ichiro Tanizaki


Zona di Mathias Enard 

Uscito nel 2008 in Francia, pubblicato per la prima volta nel 2011 in Italia da Rizzoli e da tempo fuori catalogo, Zona di Mathias Enard è tornato tra i libri in vetrina a febbraio 2022 grazie a Edizioni E/O, anche sull’onda del successo de Il Banchetto annuale della Confraternita dei becchini, uscito lo scorso settembre. In ogni caso, si tratta di un’ottima notizia. 

Descrivere Zona è un’opera complessa. Zona è un romanzo, ma anche un’unica, lunghissima frase che si snoda su oltre 500 pagine. Se nei romanzi in genere i personaggi si muovono, Francis Servain Mirkovič è invece immobile, seduto sul treno che da Milano lo porta a Roma. Al suo fianco poggia anonima una valigetta densa di segreti da vendere a un contatto in Vaticano, ultimo atto di una vita da agente in procinto di svoltare.

Volendo ridurla ai minimi termini, la Zona è un’area geografica, l’Algeria e poi il Medio Oriente, in cui Mirkovič ha condotto la sua attività, ma è molto di più, è un concetto che sfuma i confini della conoscenza, un flusso di pensieri in cui finiscono la guerra e la pace europea dell’ultimo secolo, un romanzo che ha cambiato il panorama letterario francese prima ed europeo poi. Forse è più facile leggerlo che spiegarlo, nonostante la mole non indifferente e l’assenza di punteggiatura. Anche la traduzione viene dalla Zona: la firma Yasmina Mélaouah. [Claudio]

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La copertina del libro Zona di Mathias Enard


Il Milan col sole in tasca di Giuseppe Pastore

Ok, credo che a questo punto sia chiaro che io, Claudio, ho dirottato la parte finale della selezione dalle mani di Elisa, ma prima di saltare alle conclusioni aspettate un attimo. Tra le regole non scritte su cui poggia Players c’è quella di non parlare di calcio: abbiamo derogato in pochissime occasione, sempre colpa mia, ma sempre in situazioni in cui il calcio è stato usato come strumento per raccontare altro. 

Nel caso de Il Milan col sole in tasca, il calcio anzi il Milan è chiave interpretativa di un pezzo di storia di Italia, quello che ha gravitato per vent’anni intorno alla figura di Berlusconi di cui la compagine rossonera era emanazione, specchio, manifesto elettorale. La volontà dei rossoneri di entrare nel gotha del calcio che conta viene accolta da molti con un misto di ironia e sberleffo, una parabola anticipatoria della carriera politica di Berlusconi e che costringerà molti a rimangiarsi giudizi affrettati. Il Milan degli anni dal 1986 al 1994 domina in Europa imponendo ovunque il suo bel “giuoco”, diktat presidenziale orchestrato dal semi sconosciuto Arrigo Sacchi e suonato dal trio di stelle olandesi, personaggi oltre che calciatori entrati nell’immaginario collettivo. 

Il vero motivo di interesse per questa storia, tuttavia, risiede quasi interamente nella penna che la racconta, ovvero quella di Giuseppe Pastore, giornalista sportivo che con garbo e ironia inframezzate da tweet colmi di statistiche spesso assurde sta riconciliando il racconto letterario con quello sportivo. Pastore si inserisce in una lunga tradizione (da Brera a Buffa), ma ci arriva attraverso una lettura riconoscibile, moderna e decisamente divertente. [Claudio]

La copertina del libro Il Milan col sole in tasca di Giuseppe Pastore

 



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