Di questo 2018 seriale possiamo evidenziare due elementi peculiari: la sorpresa e la disattesa di serie che davamo come regine assolute o disastri annunciati, e una ridefinizione della durata canonica dei singoli episodi che compongono le serie stesse.
I Romanoffs e Altered Carbon sarebbero dovute essere le due grandi hit dell’anno ma alla resa dei conti sono risultate essere due enormi delusioni. Della prima si è continuato a parlare solo per la firma dell’illustre genitore senza la quale, dopo un paio di episodi, la serie antologica sarebbe scivolata nel dimenticatoio anche se, purtroppo per Weiner, ci ricorderemo senz’altro dell’episodio in cui l’autore attacca maldestramente e meschinamente il metoo. Altered Carbon, altra serie attesissima, si è rivelata uno sterile mattatoio privo del fascino e del mordente della controparte cartacea. Sotto la voce delusioni possiamo annoverare, per motivi diversi, Maniac, Disenchantment, The First . Per contro, una serie come Cobra Kai ha spiazzato tutti rivelandosi una scommessa meritatamente vinta da YouTube. Sul versante inglese è stata invece Bodyguard a farsi inaspettatamente notare risultando il dramma targato BBC più visto degli ultimi dieci anni.
Discorso a parte merita la durata, sempre più flessibile, dei singoli episodi delle serie. Eravamo abituati a sapere già dal minutaggio delle puntate se ci trovavamo di fronte a una comedy o a un drama: sotto i trenta minuti, comedy, quarantacinque minuti drama, circa un’ora drama su HBO o altro cable network.
Già nel 2016 Louis C.K. con la sua webserie Horace and Pete aveva dimostrato che la durata di un episodio e l’etichetta sul suo contenuto non sono necessariamente in relazione: le puntate spaziavano da venti minuti a un’ora per un prodotto drammatico vicino all’essere teatro in tv. Già che siamo in argomento: recuperate questa serie! Per darvi l’idea è come se Cheers fosse stato scritto da Pinter. Ma torniamo al 2018. A fronte di ogni episodio dei Romanoffs della durata di un’ora e un quarto, Barry, Cobra Kai, Homecoming, Kidding e The Kominsky Method sono serie che stanno comodissime nei loro trenta minuti in cui – eccezione fatta per Homecoming e Kidding, drammi a tutti gli effetti – sono in grado di servire bene tanto il dio della comedy che quello del drama riuscendo a essere profonde e divertenti senza una mutua esclusione, ma anzi con un reciproco accrescimento dei due effetti.
Detto questo, ecco le dieci migliori serie di quest’anno viste e consigliate dalla sottoscritta. Vi segnalo inoltre Hill House piaciuta e recensita dalla nostra Arianna Mereu, e The Little Drummer Girl che ha entusiasmato la nostra Elisa Giudici. Abbiamo parlato di serie anche qui e qui. Ultima nota: la lista che segue non è una classifica. Buona visione!
Killing Eve (BBC America)
Due protagoniste carismatiche, il genere spy thriller rivisitato, ribaltato nei cliché e rinnovato. Villanelle, così giovane, attraente e piena di vita è in realtà una inarrestabile killer che si palesa improvvisa e letale. Eve, agente MI5, è sulle sue tracce ma ogni volta che l’incontro tra le due è prossimo non sa se fuggire o andare incontro all’avversaria elettrizzata dalla carica e dal fascino di qualcosa di così potente e primordiale.
Funziona tutto: cast, sceneggiatura, scelte musicali. Ne ho parlato qui.
Cobra Kai (YouTube Red)
Sulla carta il progetto sembrava avere tutte le credenziali per candidarsi al fallimento. Ennesima riproposizione di un cult anni ’80 che per altro aveva già subito un tentativo di rianimazione nel 1994, e un remake nel 2010 un po’ detestato un po’ ignorato. Dei tre protagonisti, Pat Morita è scomparso nel 2005, Ralph Macchio dopo qualche colpo di coda (Mio Cugino Vincenzo) è scomparso, Bill Zebka caduto nel dimenticatoio come attore ma ricordato come bullo per antonomasia. YouTube Red Channel non solo decide che sì, il progetto senza il leggendario Mr Myagi e con due attori in pensione anticipata si può fare, ma addirittura in chiave comedy! Signori, hanno avuto ragione. Cobra Kai in meno di trenta minuti e solo otto episodi racconta una storia di successo e fallimento, cattivi maestri e ragazzi alla ricerca di mentori. La componente leggera non solo non svilisce l’elemento drammatico, ma lo veicola scongiurando una svolta troppo cinica. La serie è stata meritatamente un successo per Youtube. Ne ho parlato qui.
Bodyguard (BBC1)
Lei è il ministro dell’Interno inglese, lui è il suo bodyguard e supervisore per ogni aspetto della sua sicurezza. Il conflitto tra i due appare subito inevitabile: lei è un politico ambizioso, scaltro, interventista e prossimo a far passare un disegno di legge controverso, lui è un reduce ostile a tutte le politiche estere della ministra, professionale e capace ma con una ptsd non diagnosticata. Lo scontro tra i due si annida sotto la superficie così come l’attrazione. Ma i protagonisti e la loro notevole alchimia sono il selling point di una storia più grande, adrenalinica, con sequenze d’azione mozzafiato, depistaggi e suspense a volontà. In mani meno capaci sarebbe stato troppo, Jed Mercurio però sa il fatto suo, osa ma si ferma un atimo prima di strafare, e mette a segno una delle migliori serie dell’anno. Ne ho parlato qui.
L’Amica Geniale (Rai1 – HBO)
Un’autentica impresa quella di trasporre un libro amatissimo come pochi. La serie è stata attesa come un grande evento e Saverio Costanzo, personalmente scelto da Elena Ferrante, è stato all’altezza del compito. Costanzo è rimasto fedele alla pagina scritta là dove era fondamentale che lo fosse, ma ha saputo rimodellare, aggiungere e togliere con grande sensibilità artistica e rispetto per il materiale di partenza che deve necessariamente adattarsi a un media diverso.
L’amicizia tra Lila e Lenù, complessa, vibrante, appassionata, descritta da Ferrante prende vita sullo schermo grazie ad attrici straordinarie che ne incarnano i tratti essenziali e distintivi rendedoli vivi e palpitanti proprio davanti ai nostri occhi. La Napoli del Rione è ricostruita in un modo da assomigliare quasi a un ambiente teatrale, una scelta insolita e potente che esalta la storia portata in scena. Una grande produzione di cui l’Italia deve essere orgogliosa.
Succession (HBO)
Un magnate dell’industria dell’informazione sta per ritirarsi e lasciare il suo impero nelle mani di uno dei suoi figli ma, il malore che lo coglie poco prima dell’avvicendamento, anziché rafforzare la sua decisione di farsi da parte sortisce l’effetto contrario: è il potere a tenerlo in vita, l’idea della sua assenza ad abbatterlo. I figli si dividono: sono ambiziosi, deboli, indecisi e soprattutto sono stati cresciuti in competizione tra loro e per l’affetto del padre. Potere, ricchezza, privilegio e miseria umana. HBO al suo meglio.
The Kominsky Method (Netflix)
Michael Douglas è Sandy Kominsky, un rinomato coach di divi e dive di Hollywood. Ha vissuto la sua vita tra amori ed emozioni forti ma consumati in fretta, adesso ha una scuola di recitazione, una figlia assennata che lo mantiene a galla, problemi alla prostata. Alan Arkin è Norman potente agente delle star, un uomo caustico e spigoloso che deve affrontare gli ultimi anni della sua vita senza l’adorata moglie. I due sono amici da sempre ma è la morte della moglie di Norman a unirli ancora di più nonostante i caratteri frizionino di continuo. Un perfetto esempio di come la componente comica e quella drammatica riescano a compenetrarsi traendo beneficio l’una dall’altra. Un benvenuto e divertente racconto sull’amore e la vita anche nella terza età, due prove attoriali di gran razza, tante risate e molta tenerezza.
Homecoming (Amazon Video)
Drama da trenta minuti. Sam Esmail sa cosa vuole raccontare, come e quale effetto produrre nello spettatore e quando si hanno le idee chiare e sostanza da mettere in scena (come dimostra anche Cobra Kai) la concisione diventa maestria nel saper dosare i tempi: non un minuto più del necessario, non uno di meno.
La serie si snoda attraverso due piani temporali. In uno, quello dei nostri giorni, Heidi (Julia Roberts) è una cameriera che si è lasciata alle spalle un lavoro e una vita che ricorda solo a grandi linee avendo ricordi stranamente lacunosi. Poi abbiamo la Heidi di qualche tempo addietro che lavorava come analista in un centro, Homecoming, in cui veniva impiegato un trattamento sperimentale per curare la ptsd dei militari. In cosa consista la particolarità di questo trattamento non è subito chiaro visto che assistiamo a delle classiche sedute di terapia tra Heidi e, in particolare, un giovane reduce di nome Walter con il quale instaura un rapporto di simpatia e complicità. Un tenace impiegato, tra un dettaglio e l’altro, intuisce la necessità di indagare sul perché delle dimissioni di Heidi dal centro.
Sarà che per tutto il tempo ho pensato che il ruolo sarebbe stato perfetto per Julianna Marguilies, ma il debutto di Julia Roberts nel mondo seriale si fa solo notare per il fatto in sé: la sua interpretazione, per quanto ottima, non è di quelle che aggiungono qualcosa al CV al contrario, per esempio, della partecipazione di Nicole Kidman in Big Little Lies.
Sabrina (Netflix)
Sabrina è umana per parte di madre e strega per via paterna, il giorno del suo 16esimo compleanno dovrebbe essere anche quello in cui, apponendo il suo nome nel registro di Satana, sceglierà per sempre la sua metà stregonesca a scapito di quella umana. Le cose non andranno così, Sabrina è decisa a trovare una terza via che le dia la possibilità di essere un’adolescente qualunque – fidanzato, scuola, amiche – e al contempo una strega senza dover giurare sottomissione eterna a Satana. E qui la faccenda si complica perché Lucifero ci tiene davvero tantissimo ad avere Sabrina tra i suoi fedeli e la sua emissaria non lascia nulla di intentato per condurre la ragazza all’ovile di Satana.
Un gustosissimo teen horror con stregoneria, proiezioni astrali, esorcismi e tanto altro! Kiernan Shipka è perfetta per il ruolo di adolescente divisa tra quello che vorrebbe essere e quello che famiglia e società vorrebbero che fosse. Sabrina è un’amica premurosa, una fidanzata innamorata, una strega estremamente dotata, ma è pur sempre una sedicenne e la spregiudicatezza dei suoi anni, unita alla mancanza di esperienza, la fanno peccare spesso di ingenuità nonostante si senta più furba degli altri. La parte magica è tratteggiata con maggiore cura risultando decisamente più interessante di quella umana, peccato però per la scuola di stregoneria appena abbozzata come ambiente. Menzione d’onore alle due zie: una più morbida, comprensiva e succube dell’altra altera e ossequiosa dei dettami della Chiesa di Satana.
She-Ra and the princesses of power (Netflix)
La She-Ra di Netflix ha poco o nulla a che vedere con l’eroina adulta, sexy e muscolosa degli anni ’80, e questo ha provocato la prima, ridicola, ondata di critiche: la nuova versione della protagonista è indirizzata a un pubblico di bambine e adolescenti e non si capisce per quale motivo un prodotto per bambine o ragazzine debba risultare sexy per un uomo di 40 anni. O meglio, volendo posso capirlo ma dopo averlo capito dovrei farmi una doccia.
Chiarisco che, indipendentemente dall’evidente target, la serie è piacevole e godibile per chiunque perché è un prodotto semplicemente realizzato ad arte.
Adora scopre di essere destinata alla spada che la trasforma, in una sequenza alla Sailor Moon, nella leggendaria She-Ra, una sorta di guerriera messianica con il potere di liberare Etheria. Nel suo percorso di scoperta del proprio potere diviene amica di Glimmer e Bow, i tre insieme cercheranno di ricostituire l’alleanza tra le principesse del potere. Una serie fatta per intrattenere ed ispirare, rappresentare la diversità e infondere fiducia. Deliziosa senza zuccheri aggiunti.
Kidding (Showtime)
Jim Carry e Michel Gondry lasciano il segno. Jeff Piccirillo è famoso per essere Mr Pickles, presentatore televisivo, ideatore e autore di un delicato e sensibile programma dedicato ai più piccoli ma amatissimo anche dagli adulti. Jeff però vive da tempo, silenziosamente, una tragedia personale: uno dei suoi due figli è morto e il lutto lo ha portato alla separazione dalla moglie. Mr Pickles però non può né soffrire, né essere troppo adulto, condannato per esigenze di copione a restare in una specie di limbo tra l’innocenza dell’infanzia e una ideale età adulta in cui si è saggi ma non disillusi: con queste premesse la crisi esistenziale di Jeff sembra sempre più inevitabile. Andrea Chririchelli ne ha parlato qui.
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