Il 15 agosto sarà anche stata la festa religiosa dedicata all’assunzione in cielo di Maria, ma su svariati calendari, quest’anno, c’era da festeggiare un laicissimo 17 agosto, data che ha segnato il ritorno di Matt Groening con la serie Disenchantment realizzata per Netflix.

Dando per scontato che i Simpson e Futurama non abbiano bisogno di introduzioni, diventa evidente il perché dell’attesa, soprattutto considerando che la serie dei Simpson da diverse stagioni è una lontana eco di quel brillante, divertentissimo, ironico e dissacrante ritratto della società e della famiglia americana che è stata per i primi dieci anni durante i quali ha acquisito lo status di icona pop. E a dirla tutta, neache Futurama ci aveva lasciato con la migliore stagione possibile.

Arriviamo quindi a Disenchantment con Groening ideatore e Josh Weinstein in qualità di showrunner.

Nel fiabesco e medievaleggiante mondo di Dreamland – reso con una grafica straordinaria – troviamo tutti gli elementi che le fiabe ci hanno insegnato ad aspettarci da un contesto simile: un castello da favola, un re e una regina, una principessa in età da marito, un po’ di magia, cavalieri, e una foresta intricata e oscura. Questo è il setting in cui si muove l’atipica principessa Teabeanie, detta Bean: bevitrice da osteria, refrattaria a ogni impegno di corte, ribelle alle imposizioni paterne, irresponsabile, desiderosa di avventura, alla ricerca di sé stessa e del suo posto nel mondo. In una parola: un’adolescente.

Beam riesce a sfuggire rocambolescamente ai primi potenziali matrimoni tra le ire del padre e l’algida nonchalance della matrigna-salamandra grazie anche alla presenza di due compagni d’avventura. Al suo fianco troviamo Elfo, un elfo che ha abbandonato la terra natìa, tutta dolciumi e canzoncine felici, per assaggiare la vita nel mondo reale, e Luci, un demone bidimensionale -osservabile solo di profilo – che viene inviato da due misteriosi incantatori per attirare Beam verso i guai, e non che la ragazza non sia perfettamente in grado di assolvere da sola al compito. La principessa è infatti decisamente impulsiva: anche quando è spinta dalle migliori intenzioni, riesce a mettere in pericolo sé stessa e chi la circonda finendo per creare molti più problemi di quanti ne risolva, ma alla fine della fiera c’è sempre una lezione che può essere appresa.
Disenchantment è, nella sostanza, un romanzo di formazione.

La serie come stile, tono e narrazione ricorda molto più Futurama che i Simpson. I Simpson racconta una famiglia americana immersa nella società e specchio della stessa, Futurama è la storia di singoli individui alla ricerca del loro posto nell’universo ma, mentre nel primo caso l’ironica critica sociale e politica è il core business della serie, nel secondo è una conseguenza delle vicende e dei personaggi seguiti. Disenchantment mutua da Futurama questo tipo di approccio a storia e personaggi, purtroppo è però priva della genialità, dell’inventiva e dell’irridente ironia che caratterizzano le avventure della Planet Express e del suo equipaggio.

Per quanto sia evidente che Bean è un personaggio in costante crescita, nonostante le ultime puntate sviluppino una trama orizzontale che apporta sostanza alla narrazione, manca la scintilla che infiammi l’entusiasmo. Disenchantment non sbaglia realmente nulla, il problema è che esegue il compito abbastanza bene per consegnare una stagione gradevole ma priva di picchi e acuti: non c’è un elemento che resti, non una scena, un personaggio, una battuta fulminante. E dire che le potenzialità sono lì, a iniziare dal demone Luci che potrebbe ambire ad essere un nuovo Bender o Robot Diavolo, o a uno qualsiasi dei personaggi di contorno – dallo stregone di corte, al primo ministro, al comandante dei cavalieri – per i quali una scrittura più graffiante sarebbe stata capace di renderli in grado di regalare altro rispetto a un mezzo sorriso.

L’aggettivo che userei per Disenchantment è “carino”, ma davvero mi aspetterei ben altro da Matt Groening. Perfino nel male.

È senz’altro vero che le precedenti creazioni dell’autore hanno avuto anni a disposizione per sedimentarsi nella cultura popolare e divenire pietre miliari nel campo della comedy e della serialità televisiva, ma questo è un elemento che di sicuro è stato ben valutato da Groening che non ha semplicemente venduto una serie a Netflix: l’ha realizzata espressamente per il servizio di streaming.

Certo ci vorrà un po’ prima che i personaggi di Dreamland prendano possesso del loro spazio nella nostra vita seriale, ma ricordo che Futurama alla sua prima stagione aveva regalato episodi clou quali il 9 (Bender preda di Robotology), l’11 (Fry &co devono inscenare l’ultimo episodio di Ally McBeal a favore degli alieni di Omicron Persei 8), più il finale di stagione che è quel piccolo capolavoro della fabbrica dello slurm.

In definitiva, per quanto piacevole, Disenchantment mi ha solo lasciato una gran voglia di rivedere Futurama.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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