Stavolta ci siamo andati proprio vicini. Alla perfezione, s’intende. Un meccanismo complesso ma abbondantemente oliato, un team ben amalgamato al quale si aggiungono nuovi acquisti di indubbio talento, un regista che persa Madonna ha riacquistato la Luce, un mito letterario che non subisce l’attacco del tempo ed un sottotesto socio politico che appare ironicamente attualissimo. Sherlock Holmes: A Game of Shadows scopre le carte fin dai primi minuti: stavolta si gioca in modalità PvP senza esclusione di colpi: è Holmes contro Moriarty. Appena accennata nel primo film, la presenza della nemesi storica dell’investigatore è la più gradita novità di questo sequel che migliora quasi in ogni comparto l’originale e non lesina momenti di grande pathos.
La storia è semplice: Moriarty vuole scatenare una Guerra Mondiale e approfittarne per accrescere il proprio patrimonio e il proprio potere: al duo delle meraviglie spetta il compito di fermarlo, con ogni mezzo. La sceneggiatura, di Kieran e Michele Mulroney, fatica un bel po’ a carburare e la prima mezz’ora appare troppo verbosa e inutilmente complessa, oltre che appesantita da alcune gag stupide e grossolane. Quando il film finalmente decolla però, è un crescendo continuo che culmina in un finale più che soddisfacente (per non dire esaltante).
Adattando le necessità stilistico-commerciali di un blockbuster alla sua ritrovata cifra artistica, Guy Ritchie firma un film spettacolare e personale, giocando (e vincendo) su due tavoli: quello dei personaggi e quello della messa in scena. Holmes non è più solo, pur restando ovviamente il fulcro dell’intero film. Come nel prequel, Jude Law, che pare aver trovato nel Dott.Watson il suo alter ego ideale, ruba spesso lo spazio al gigionesco IronMan e funge da ottimo volano per costruire situazioni paradossali da buddy movie vecchio stile. Se Noomi Rapace e Stephen Fry sono due aggiunte sostanzialmente inutili ai fini della storia ma non per questo disprezzabili, ottima si rivela la scelta di Jared Harris per vestire i panni di Moriarty. Lucido e ironico, il personaggio è ben tratteggiato e credibile come villain erudito che sfida Holmes a colpi di genio, più che di pistola.
Laddove Ritchie eccelle però, è nella messa in scena , che raggiunge picchi notevoli (l’inseguimento nel bosco) e si fa apprezzare per la spettacolarizzazione di alcune sequenze (le “ricostruzioni” mentali che Holmes fa degli enigmi da risolvere, che vengono proposte attraverso un montaggio sincopato e frenetico) ed il bel ritmo che ne consegue. Certo, anche in questo sequel permane la sensazione che una volta esaurite le sequenze action, Ritchie non abbia la stessa abilità nel gestire il materiale “comico” a sua disposizione, ma tutto sommato, data anche la netta prevalenza delle prime sul secondo, non c’è proprio di che lamentarsi.
Sherlock Holmes: A Game of Shadows, grazie anche agli eccelsi valori produttivi messi in campo (ottima la OST di Hans Zimmer, spettacolari costumi e fotografia) si pone ai vertici dell’offerta natalizia e rappresenta un valido esempio di action-adventure non videoludico. Peccato per quella mezz’ora iniziale, stavolta ci siamo andati proprio vicini, alla perfezione. Sarà per il prossimo episodio.
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