Centinaia, migliaia di aeroplani silenti riempiono il cielo al di là delle nuvole: forse se ci si avvicina troppo si rimarrà intrappolati nella loro scia. Sembrano fantasmi o allucinazioni, ma sono le ombre, le ultime tracce di centinaia e migliaia di piloti morti in guerra, che nell’immaginazione/sogno di Porco Rosso (protagonista del film omonimo) sono diventati immortali. È la scena più significativa e commovente di uno dei primi film di Hayao Miyazaki, che con questo The wind rises torna sulla scena del delitto, ad esplorare nuovamente la sua tematica più cara: l’amore per gli aeroplani, il volo, le onde nel cielo, i tratti di strada fra le nubi.

Dopotutto non c’è opera del maestro nipponico in cui non si voli, che ad usare le ali siano i personaggi, o che ad innalzarci oltre orizzonti conosciuti siano le storie: nella maggior parte dei casi, entrambi. Almeno fino ad oggi o allo ieri più recente: perché purtroppo, con la poesia e lo humor malinconico del ‘gemello diverso’ Porco rosso (e delle altre opere precedenti) The wind rises ha poco o nulla a che fare, e ne è quasi un ricettacolo di scarti, a testimoniare la piega discendente che pare aver preso la carriera del sensei.

Convinceva poco già La collina dei papaveri di cui Miyazaki aveva tessuto la sceneggiatura (la regia era targata Goro, suo figlio): prodotto lineare e limpido, che però dava i primi segni di infiacchimento, di prevedibilità; e la sensazione che le sue mani da prestigiatore abbiano smesso di plasmare miracoli di cartone viene purtroppo convalidata dal nuovo lungometraggio. Il ritorno in sede di regia doveva essere la riconferma di sé, con una storia che rievocava i fasti del passato (appunto Porco rosso) e si distaccava dalle atmosfere più infantili e disneyane di Ponyo.

In verità, la visionarietà e le tematiche preponderanti (l’amore per la natura, l’onnipresenza del magico) qui lasciano spazio al realismo che, eccetto per le incursioni oniriche del protagonista, ne fa quasi un dramma in live action (per regia, sceneggiatura, ritmo narrativo: vedasi la sequenza – di impatto quasi tridimensionale – del terremoto iniziale), e alla vicenda di Jiro e la sua lotta per costruirsi una carriera da progettista di aeroplani si lega facendosi centrale (ma resta in superficie) l’idea della scelta della bellezza e dei desideri a scapito delle conseguenze potenzialmente distruttive. Pertanto del materiale c’era, benché in minore, ma i risultati sono oltremodo deludenti: lo stupore, quel tocco di sense of wonder che non è mancato ad un-film-uno di Miyazaki, si disperde trasformandosi in letargia, in respiro mozzo, in stanchezza.

Tremano le dita a scriverlo, eppure, tirando le fila di più di due ore di pellicola, la realtà è incontrovertibile: The wind rises, pur nella sua grazia formale e nella sapienza del tratteggio, è irreversibilmente tedioso, s’ingarbuglia in una verbosità tecnicistica e terminologica d’elencazione, arranca tra inutili déjà vu, un romanticismo stucchevole e sbrigativo, dei personaggi rimasti freddi al di là dello schermo. Addirittura, l’impressione è che il film faticherà a trovare un target di riferimento, indebolito com’è dalla ridondanza dei dialoghi, spesso antipatico da seguire e da cui è impossibile lasciarsi rapire.

Lontani anni luce dagli universi lussureggianti e le oasi d’incantamento a cui Miyazaki ci aveva precedentemente abituati, si stenta a credere che lo sguardo indolente, sia lo stesso di stratificati capolavori come Mononoke o La città incantata: come se l’immaginario fosse saturo, come se la magia si stesse esaurendo gradualmente, ridotta a ripetersi per inerzia. Speriamo che questo non sia davvero (come pare aver appena annunciato ufficialmente proprio al Lido, tramite lo Studio Ghibli), il suo ultimo lavoro: sarebbe chiusura indegna di un tale eccezionale iter cinematografico.



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9 Comments

  1. Capito proprio niente di sto film, eh?

    1. Non c’è molto da capire, stavolta: quello che c’è è tutto lì in superficie, e non basta.

      1. La passione dei di Miyazaki per gli aerei, la grandissima ammirazione per i progressi che l’umanità può fare grazie ai sognatori come il protagonista, il modo in cui il Giappone ha affrontato disastri (molto simili a quelli recenti tra l’altro) come un tremendo terremoto e la recessione economica, come nonostante questa siano ripartiti “diventando la tartaruga”, l’estrema delicatezza con cui viene vissuto (ed egli stesso descrive) un grandissimo amore come quello di Jiro e Naoko, con uno “svolgimento” che per noi occidentali è assolutamente fuori dal normale sia narrativamente che nella realtà… Non basta tutto questo? Ci sono dei momenti di grande poesia in questo film, che mi ha fatto commuovere più volte.

        Il problema è che tutti si aspettano il Miyazaki “magico” e surreale, quando con questo film dimostra che anche la realtà, che perfino la creazione di una macchina (che poi sarà macchina di morte) possono essere poetiche e visionarie, anche senza maghi, streghe e mostri.

        Non è un film per bambini, ma in realtà neanche tutti i precedenti lo sono: alcuni possono essere visti dai bambini, ma compresi realmente solo dopo una certa età..

        1. Se un adulto si stufa, che vada a vedere Kick Ass 2 o Die Hard 5: quello è intrattenimento, l’arte cinematografica è un’altra cosa.

  2. Porco Rosso è il sesto su undici film. Come si fa a definirlo “uno dei primi”?

    Non commento lo stile della recensione. Mi astengo sulle conclusioni.
    Però “il film faticherà a trovare un target di riferimento” è un argomento imbecille.
    Basta pensarci un attimo, come se i film dovessero essere confezionati su misura per un target.
    IMBECILLE.

    1. Ops, vero, quello su Porco rosso è un refuso (dettato da una memoria affettiva più che cronologica, essendo il secondo suo film che ho visto (e amato, a suo tempo). Ma per il resto: fare cinema significa innanzitutto e soprattutto comunicare, e per Wind rises sarà dura trovare qualcuno a cui rivolgersi: a mio parere stavolta la visione affaticherà i bambini (che Miyazaki ha più volte ripetuto essere il pubblico a cui tiene maggiormente), lascerà perplessi i ragazzi e annoierà gli adulti.

      Infine, evidentemente Miyazaki è concepito come così intoccabile da sentirsi in diritto, davanti ad un punto di vista differente, di insultare. Magari anche senza aver visto il film in questione. Mah

      1. Non era mia intenzione insultare in modo offensivo. Piuttosto affettuoso, tra appassionati (e non mi si dica che la recensione non trasuda una delusione molto soggettiva da fan tradito).

        Il mio imbecille stava a significare un ragionamento un po’ sciocco e debole.

        Capisco adesso di aver interpretato in modo sbagliato quella frase. Si voleva intendere che nessun tipo di pubblico apprezzerà l’opera. Non che l’opera fosse fatta per compiacere un certo target.
        Rimane il fatto che uno di fronte a Otto e mezzo non si chiede “a che tipo di pubblico potrà piacere?”. Ma come non lo si fa neppure di fronte ad Alien.
        O per quasiasi opera che abbia *esclusivamente* fini commerciali in mente.

        In ultima battuta, le dichiarazioni o intenzioni dell’autore sono davvero così importanti? L’opera non dovrebbe parlare da sola?

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