Orfani è senz’altro un progetto da lodare, perché è uno dei primi tentativi fatti dalla Sergio Bonelli Editore di proporre dei personaggi davvero diversi rispetto ai suoi soliti canoni. Per anni, infatti, c’è stata l’abitudine di commentare – scherzosamente ma non troppo – il lancio di ogni nuovo personaggio bonelliano dicendo che in pratica si trattava dell’ennesimo investigatore. Orfani no. Orfani è una storia di fantascienza violenta e sboccata, che sfrutta fonti di ispirazione anomale per il fumetto popolare tipicamente italiano e che cerca di piegare il classico formato di casa Bonelli verso una narrazione più moderna. La parola chiave di questo concetto è “cerca”. Ci prova, ma non ci riesce.

Ideato da Roberto Recchioni e creato graficamente da Emiliano Mammucari, Orfani è una serie di 24 numeri a sua volta divisa in due miniserie di 12 albi, struttura che Recchioni aveva già utilizzato all’epoca di John Doe per la Eura e dichiaratamente mutuata dalla serialità televisiva statunitense. I protagonisti sono un gruppo di ragazzi resi orfani da un massiccio attacco alieno e addestrati come soldati speciali per guidare la ritorsione terrestre sul pianeta nemico. L’impressione, leggendo il primo numero, è che la parte più interessante della storia sia quella che Recchioni ha deciso di non raccontare (almeno per ora), ossia l’addestramento vero e proprio, il modo in cui questi ragazzi vengono trasformati in dispensatori di morte che pregano per combattere [nelle intenzioni degli autori questa parte del racconto verrà suddivisa nei seguenti undici numeri della prima stagione, fino a ricongiungersi con secondo piano temporale ambientato sul pianeta alieno. N.d.redazione]. Volendo infatti presentare entrambi gli inizi – quello dell’addestramento e quello della guerra sul pianeta alieno – Recchioni e Mammucari hanno sprecato tutta la seconda metà dell’albo con una noiosissima battaglia che pare fare il verso a Starship Troopers (il film, non il libro) e non riesce nemmeno a essere spettacolare come vorrebbe perché costretta nel formato bonelliano sia come grandezza dell’albo sia come scansione della tavola.

Il primo numero presta il fianco anche ad altre osservazioni. L’assalto alieno è raccontato con delle didascalie tanto evocative quanto spesso pretenziose. Lo dimostrano anche il personaggio della dottoressa Juric, il cui ritratto è talmente ridicolo da far sorridere, e l’enfasi innaturale con cui vengono inserite le volgarità nei dialoghi, che invece sarebbero dovute servire per far suonare più spontanee le battute. Il viaggio che i ragazzi fanno come primo passo del loro addestramento, che occupa praticamente tutta la prima metà dell’albo, lascia ben poco spazio alle sorprese e alle emozioni. Ed è proprio questa l’impressione del primo numero nella sua interezza: un fumetto dall’anima moderna ma con un corpo troppo legato ai classicismi bonelliani, che non lascia alcuna voglia di comprare e leggere il numero successivo.

L’uscita di un numero zero pubblicato in collaborazione con Multiplayer Edizioni dimostra la volontà degli autori di andare a cercare un pubblico diverso da quello che legge solitamente i fumetti della Bonelli. Viene però difficile pensare che questo pubblico – che gioca ad Halo e Metal Gear Solid e legge comics di supereroi e manga giapponesi – possa davvero interessarsi a questo progetto, al di là della curiosità iniziale. Perché spendere 4,50 euro per un fumetto di piccolo formato, presentato da copertine anonime, stampato su una carta che non valorizza per niente i colori e i giochi di luce e disegnato con una gabbia grafica che ne mozza il respiro e lo caratterizza per quello che è: un fumetto italiano che si atteggia a comicbook internazionale?

«Quando cammini su strada, se cammini su destra va bene, se cammini su sinistra va bene; se cammini nel mezzo prima o poi rimani schiacciato come grappolo d’uva» diceva il maestro Myagi in Karate Kid. Orfani per ora sembra camminare esattamente in mezzo alla strada che divide modi diversi di concepire il fumetto. Se gli autori non decidono di spostarsi su uno dei marciapiedi, il dubbio non sarà se il tempo della vendemmia arriverà o no, ma quando.



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7 Comments

  1. Non potrei essere più d’accordo, una partenza davvero moscia. Lasciamogli il beneficio del dubbio per qualche altro numero.

  2. Potrei anche sbagliarmi, ed è molto probabile dato che non ho ancora letto il primo numero di Orfani, però da alcuni pareri -tra cui, ovviamente, il vostro- che circolano in rete, mi sembra che questo nuovo progetto chimerico parta innanzitutto da una sottovalutazione del target di riferimento. Già dalla copertina si nota un’amalgama stereotipata di figure tipiche di una certa zona dell’universo videoludico, in particolare gli sparatutto, e del resto mi sembra che si voglia propinare agli stessi che “giocano ad Halo o a Metal Gear Solid” una trama ed un intreccio che non fanno altro che scimmiottare luoghi comuni e cliché di alcune trame videoludiche o fumettistiche d’oltreoceano – anche di quelle che hanno lasciato il segno – , senza alcunché di originale, figuriamoci rendersi conto che si tratta di un formato inadatto.
    Il problema è che non si ha il coraggio di osare nel modo giusto, magari di fallire, ma di proporre qualcosa che non si accontenti di “coccolare” il potenziale, supposto stupido, lettore (che poi finisce per non esserci proprio).

  3. In realtà “Orfani” è un progetto estremamente originale per i canoni della casa editrice, non ho dubbi che gli autori abbiano dovuto faticare per riuscire a farsi accettare determinate cose (anche per l’alto costo del progetto, che non ho citato nell’articolo perché ho sentito cifre discordanti ma comunque sempre altissime), ma ritengo che un prodotto così come quello che è venuto fuori – che in pratica non è né carne né pesce – in pratica non serva a nulla. Se poi il pubblico di riferimento sia stato anche sottovalutato non lo so, ma di certo si è sopravvalutato l’interesse che avrebbe provato per un prodotto che appunto scimmiotta cose già viste in Oriente e in America, e quindi a lui già ben note. E’ come fare in Italia un fumetto in stile manga: se uno vuole un manga si compra un manga, mica un’imitazione…

    La partenza moscia è purtroppo una costante dei prodotti Bonelli più recenti. Qui però la cosa è ancora più sanguinosa perché per sua natura il progetto non può affidarsi allo zoccolo duro dei fan bonelliani duri e puri che comprano qualunque cosa sempre e comunque: o trova il suo pubblico in fretta e se lo tiene stretto, oppure faticherà ad arrivare alla fine. Ma appunto la partenza non promette bene… E’ una cosa su cui mi capita di discutere spesso con amici e colleghi critici parlando di serialità televisiva: si sottovaluta molto il fatto di dover convincere lo spettatore (in questo caso lettore) a tornare per la storia successiva, si ritiene che il pubblico dia comunque sempre tempo agli autori di sviluppare le cose con calma. Invece non è così, basta guardare i dati degli ascolti, che crollano sempre tantissimo tra la prima puntata e la seconda. Quello che è spiegato nella nota di redazione penso sia emblematico: quella è un’idea che vedremo a compimento alla fine del primo ciclo, ma che ha bisogno di essere gestita in maniera forte numero dopo numero per convincere il lettore a comprare l’albo successivo. Non puoi, come succede in questa prima uscita, dire così poco e non preoccuparti di incuriosire realmente il lettore. Tant’è che appunto io avevo deciso di non scrivere del ricongiungimento temporale perché in questo momento non conta nulla, anche se in effetti è giusto spiegarlo ai nostri lettori.

    Mah… Io comunque sono curioso di vedere come sarà accolto il progetto nell’area games della fiera di Lucca settimana prossima. E’ lì che può e deve trovare i suoi lettori, ammesso che ci siano.

  4. Leggo fumetti (adesso un po’ meno) da oltre vent’anni. Ho visto nascere Dylan Dog in Italia, l’esplosione di Bonelli nelle edicole e una selva di albi monoformato che riempivano i sacchetti dei vent’enni che uscivano dai negozi specializzati. Tutto fantastico, un’epoca d’oro per il fumetto italiano.

    Occasione sprecata. La “Scuola Bonelli”, invece di diventare fucina di talenti, si è chiusa in casa, barricata nel codice stilato dal suo creatore. Per avere oggi scrittori di fumetti di talento, era necessario dare loro un terreno su cui vivere anni fa. Nel nostro paese il fumetto è Topolino. Punto.
    Noi ci siamo fermati lì, mentre oltreoceano c’erano Byrne, Romita, McFarlane. E sono loro che hanno nutrito i talenti anglosassoni di oggi. Ho smesso di comprare fumetti italiani tempo fa, quando il ventesimo numero “1” che compravo era sempre identico a quello prima.
    Gli alberi non crescono in un giorno, bisogna coltivarli.

  5. A giudicare dalle vendite, il fumetto in Italia non è più nemmeno Topolino… Ma sono d’accordo con Giovanni nel valutare la desolazione attuale e le ragioni che l’hanno creata. Però non sono totalmente pessimista, perché il fumetto italiano ha vissuto in passato diverse ottime ondate creative (come ai tempi del comico modello Bianconi o del nero più o meno sexy) e ha saputo trovare altre strade una volta che la vena originale si era esaurita. Di certo, però, non è il fumetto da solo che può trovare queste nuove strade: devono essere gli autori e gli editori, e in questo momento non vedo proprio nomi che mi ispirano grande fiducia…

  6. d accordo su tutto o quasi,a parte sule copertine anonime …dare dell anonimo a massimo carnevale mi pare esagerato :)

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