Quando ho chiuso l’ultima pagina del secondo volume di Vedic Riot pensavo di trovarmi davanti a una rilettura di una traccia ormai abbastanza canonica nella fantascienza moderna, quella del “la realtà non è come sembra” resa celebre da Matrix, utilizzata questa volta per parlare dell’interessante fenomeno del complottismo dilagante. Proprio come i suoi protagonisti però non sapevo quanto mi stessi sbagliando. La contaminazione tra sci-fi e teorie esoteriche era solo un primo livello più superficiale del racconto orchestrato da Cristiano Brignola e Alex Agni, forse addirittura uno specchietto per le allodole con cui attirare il lettore in un discorso che evidentemente diceva una cosa per intenderne un’altra. Una complessa metafora che solo nel terzo e conclusivo volume ha svelato la sua vera ambizione.

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Fino a quel momento però i due autori sono stati bravi nel sviare l’attenzione, disseminando indizi qua e là senza però perdere di vista il filone principale del racconto, destinato a un ribaltamento di significato nel finale che che fatalmente incarna al contempo sia un atto dovuto nei confronti del genere che un colpo di scena. Le vicende di Silvia, la giovane al centro dell’eterno scontro tra i figli di Zu e gli Illuminati vengono infatti di colpo stravolte dalla rivelazione sulla vera natura degli agenti in lotta tra loro. Zu e il Falso Re non sono altro che archetipi per i due elementi della storia – intesa come narrazione – umana. Lo Ying e lo Yang eternamente in lotta, il bianco del foglio che offre infinite possibilità – narrative e dunque esistenziali – e il nero dell’inchiostro che ne cristallizza una e una soltanto, condannandola all’esistenza.

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La svolta metanarrativa arriva subito, all’inizio di questo terzo volume emblematicamente titolato Tre di due, prendendo il lettore alla sprovvista. Col senno di poi tornano alla mente le numerose cover sparse tra la tavole dei precedenti volumi, ben mimetizzate nella cascata di riferimenti che hanno scandito la progressione narrativa di Vedic Riot. Di colpo però tutti quelle copertine di Excalibur e i rimandi all’opera di Gran Morrison assumono un nuovo potentissimo significato. Sottotraccia continua a scorrere una storia di buoni e cattivi, appositamente basata su stereotipi per risultare più appetibile alle masse e impreziosita da un protagonista sfacciato e ribelle per sedurre gli autori. È la dittatura dei personaggi sull’industria, la rivolta di chi scopre di avere una data di scadenza ed è allora disposto a tutto per conservare il proprio posto nel mondo: niente di meglio di una guerra eterna, alimentata da continui voltafaccia e orchestrata da dietro le quinte da un burattinaio che si muove a sua discrezione tra le dimensioni – e le vignette.

Con una svolta imprevedibile, sia per la direzione che – e soprattutto – per la portata, Vedic Riot diventa in questo terzo volume una riflessione sulla narrazione (a fumetti e non), sul rapporto tra autore e opera, sul ruolo che le figure narrative hanno nella nostra società. Mentre Silvia scava in quello spazio di infinite (o inesistenti) possibilità che si annidano tra le cornici delle vignette, la lotta tra Figli di Zu e Illuminati arriva al suo apice ai piedi di uno ziggurat mettendo in scena un inevitabile scontro finale che infine sovverte ogni regola.

Tre di due segna un notevole salto in avanti nella maturità e nella consapevolezza con cui i due autori usano il medium. Lo si intuisce da tanti dettagli: dall’iconoclastico finale che deride implicitamente tutte quelle trame epiche che risolvono il destino del mondo a suon di cazzotti, ma anche dal ritmo sincopato che la sceneggiatura di Brignola impone alle vignette mentre ci si avvicina al climax, o ancora alla naturalezza con cui la struttura del racconto si avvolge intorno allo stile grottesco di Agni, senza prendersi mai completamente sul serio anche nei momenti più intensi e addirittura assecondandone la carica erotica nelle fasi più oniriche.

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L’abilità del duo diventa ancora più esplicita nella loro produzione più recente, My Little Antichrist, spin-off di Vedic Riot il cui finale ha di fatto “reso liberi” i personaggi di cui narrava. Il primo albetto della nuova serie, Sympathy for the Devil, raccoglie le avventure del giovanissimo figlio del Demonio, l’iconico ragazzino con la testa al contrario, e della venuta in terra di suo padre, evocato senza troppa convinzione da un improbabile satanista intenzionato ad entrare nella sua band metal preferita. Il registro narrativo questa volta pesca a piene mani dalla satira, ridendo dei costumi in maniera decisamente più esplicita rispetto a quanto fatto da Vedic Riot, sconfinando in alcuni frangenti nel puro umorismo da gag. Una trentina di pagine in cui Brignola serve ad Agni lo spazio per lasciar sfogare le su figure grottesche tra azzeccati rimandi alla comicità dei manga, senza far mancare tuttavia quella vena cinica di humor nero che in Vedic Riot serviva ad alleggerire mentre in My Little Antichrist paradossalmente viene usato per conferire toni dark e inquietanti a una storia di fondo molto ironica.

Per scoprire quale sarà il prossimo passo nell’evoluzione stilistica dell’accoppiata Brignola/Agni bisognerà attendere il prossimo rilascio del secondo numero di My Little Antichrist. Nel frattempo, se non l’avete ancora fatto, potete recuperare Vedic Riot comodamente in formato digitale sul Play Store.
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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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