Ho dedicato le ultime settimane alla lettura di un libro molto interessante chiamato, molto provocatoriamente, “Musica di merda – Perché odiamo la musica degli altri” (della defunta Isbn Edizioni), opera dello scrittore e giornalista canadese Carl Wilson, che cerca, riuscendoci, di spiegare perchè invece di limitarsi ad apprezzare i propri gusti musicali, si debba quasi sempre (contestualmente) disprezzare quelli degli altri. Magari tornerò sull’argomento, visto che la risposta è molto articolata e meriterebbe un approfondimento a parte. Detto ciò torno a bomba sul titolo dello speciale. Già, i miei amati anni ’80, epoca che non riesco a disprezzare, visto che mi hanno cresciuto. Musicalmente sono generalmente additati come il peggiore decennio musicale di sempre, un ponte forse troppo allegro e spensierato tra le lagne degli anni ’70 e quelli dei ’90 (e aggiungerei l’orrore dei ’00, ma poi Wilson s’incazza…). Come sempre capita, se cerchi nella rumenta, il diamante salta sempre fuori e quel decennio non ha fatto eccezione. Così ho pensato di riascoltarmi un bel po’ di album (vinili!) che acquistai allora per vedere se suonano bene anche in questi tempi scellerati. Beh, la risposta , almeno per i 20 scelti, è positiva. Se non siete d’accordo, compratevi il libro (o suggeritene altri).
COCTEAU TWINS – Treasure: oggi in giro non c’è nessuno come i Cocteau Twins e forse nessuno mai ci sarà. Un po’ perchè trovare un’altra voce come quella di Elizabeth Fraser è oggettivamente difficile, un po’ perchè quell’era di ardite sperimentazioni pare essere tramontata. Sonorità eteree, approccio esperienziale, percorsi tortuosi tra pop, rock e qualcos’altro di indefinibile e rarefatto. Solo per sognatori, che anche oggi non mancano.
SONIC YOUTH – Daydream Nation: l’album che chiude il decennio con due anni d’anticipo e sposta nuovamente l’ago della bilancia dall’Inghilterra agli States. Prima che grunge, indie rock et similia arrivassero a spopolare tra i “gggiovani”, c’erano loro, che pure oggi farebbero una degnissima figura, magari sconcertando gli spettatori con il loro brano più rumoroso e delirante :Trilogy, un quarto d’ora di lucida follia.
NEW ORDER – Power, Corruption And Lies: nati dalle ceneri dei Joy Division, con questo album si affrancano definitivamente dalle loro origini aggiungendo alle loro originali sonorità una buona dose di elettronica. Molti li conoscono solo per True Faith (e il suo inconcepibile video) ma il loro meglio sta qui: Age of Consent, Your Silent Face, Leave Me Alone sono gemme pop atemporali.
ULTRAVOX – Vienna: Questo è il disco perfetto da far ascoltare a chi crede che gli anni ’80 siano stati musicalmente solo pop dozzinale e meteore buone solo per un’estate. Figli spirituali dei Kraftwerk (un po’ come la Yellow Magic Orchestra che cito più avanti) e guidati da Midge Ure, che poi avrà enorme successo da solista, gli Ultravox durarono poco ma lasciarono il segno. Chiamateli new wave, glam, electro pop, resta il fatto che l’album e soprattutto l’opera che gli dà il titolo brillano da quasi 40 anni senza appannarsi. This means nothing to me…
PAUL SIMON – Graceland: Ammetto che ai tempi non avevo mai ascoltato Simon & Garfunkel, perchè non erano propriamente nelle mie corde. Poi a casa di un mio amico, il cui padre era devoto fan del duo, ascolto questo album (di Simon solista eh, l’altro non c’è) e Bum! Amore a prima vista. Scoperta tardiva ma essenziale pechè Graceland dimostra che sì, a volte si può cambiare radicalmente rimanendo fedeli a sè stessi. Simon passa dal folk all’Africa senza soluzione di continuità ed in più firma uno dei video più spassosi del decennio, grazie anche alla presenza di una guest star d’eccezione.
IRON MAIDEN – Iron Maiden: la genesi della New Wave Of British Heavy Metal. L’antitesi al pop plasticoso, le cover che raccontano le gesta di un personaggio fittizio, tanto che magri le pigli solo per vedere che combina ED stavolta, il primo album di rottura per tutti gli adolescenti di quel periodo che volevano qualcosa su cui sfogare le orecchie senza doversi rivolgere ai padri putativi (Black Sabbath, Judas Priest, Motorhead etc.). Anche loro sono ancora in giro (onestamente, chi l’avrebbe detto?) e The Book Of Souls non è nemmeno malaccio (e c’ha pure il video-videoludico!).
SMITHS – The Queen Is Dead: Ok, Morrisey è un po’ andato di testa e ultimamente fa più il profeta che il cantante, ma diamine negli anni ’80 gli Smiths erano IL gruppo, almeno in Gran Bretagna. Quest’album gronda di superclassici come The Boy With The Thorn In His Side e Bigmouth Strikes Again: solo apparentemente leggeri ma mai inconsistenti, proprio come il decennio che hanno indelebilmente caratterizzato.
SIMPLE MINDS – New Gold Dream: Cosa sarebbero stati gli ’80 senza i Simple Minds? Decisamente un decennio privo di identità. Per noi amanti del cinema di John Hugues sono un gruppo imprescindibile e hanno – letteralmente – musicato la nostra adolescenza. Che dire? Questo è nettamente il loro album più convicente e la canzone che gli dà il titolo forse il brano migliore dell’intero decennio: in essa convivono l’ottimistica speranza per il futuro prossimo e l’amarezza per il sospetto che il Sogno dorato degli anni’80 si sarebbe esaurito in fretta. Beh, avevano ragione loro.
BRUCE SPRINGSTEEN – The River: scelta difficile, indeciso tra questo e Nebraska (già Tunnel of love gli era riuscito un po’ meno bene), ma chi se ne frega, il Boss è un uomo per tutte le stagioni e tutti i decenni, visto che oggi sul palco è più energico della maggior parte dei suoi epigoni che hanno quasi mezzo secolo di meno. Un doppio album poetico e attualissimo.
MICHEAL JACKSON – Thriller: sicuramente l’album più venduto di sempre, visto che i numeri non mentono. Assieme a True Blue di Madonna, l’icona più rappresentativa di quel decennio. Mentre la seconda è viva e continua a reinventarsi (con risultati piuttosto altalenanti e generando una progenie alquanto indegna) Michael non c’è più ed ha stabilmente assunto lo status di leggenda. E le leggende durano in eterno.
R.E.M. – Murmur : la fama mondiale e le vendite milionarie erano a pochi anni di distanza, così come il loro lavoro migliore (Automatic for the People, a mio parere). I pochi che acquistarono quest’album però ebbero la netta sensazione che i R.E.M. avrebbero fatto parlare molto di sè. E’ sempre bello riscoprire le opere pionieristiche, giusto?
U2 – The Joshua Tree: Quando Bono non indossava 24/24-365/365 gli occhiali da sole, non faceva il tuttologo e in America gli U2 non se li filava nessuno. Sì, è esistito un periodo del genere. Per chi scrive l’ultimo lavoro davvero valido del quartetto irlandese è Zooropa, quindi capirete che è da un po’ che a mio parere non combinano granchè (di nuovo). Per fortuna posso vivere di rendita con tutto quello fatto negli ’80 ed in particolare con The Joshua Tree, un album composto solo da classiconi intramontabili.
THE POLICE – Synchronicity: A dirla tutta, visto che sono un po’ paraculo, volevo inserire nell’elenco la collection Every Brath You Take, uscita a metà degli anni’80, così andavo sul velluto. Opto invece per il loro ultimo “vero” album assieme, con Sting già pronto alla carriera solista e gli altri a farsi i fatti propri e godersi i frutti di un decennio di lavoro matto e disperatissimo. La magia c’è ancora ed il quartetto Synchronicity II/Every Breath You Take/King Of Pain/Wrapped Around Your Finger ce lo dimostra ancora oggi.
JOY DIVISION – Closer: E’ un bene che negli anni ’80 fosse moderatamente ottimista, perchè lo shock emotivo e le tinte foschissime dipinte da Ian Curtis & soci con Closer farebbero intristire anche il più gaio degli esseri umani. Lui ci ha lasciati, secondo pronostico, con molto anticipo, ma ha lasciato questa pietra miliare che non mancherà di far riflettere qualche altra manciata di generazioni.
DEPECHE MODE – Music for the Masses: altra scelta difficile, ci metto questo o Black Celebration, dell’anno precedente? Entrambi sono meritevoli di raccontare una delle tante metamorfosi del gruppo, passato dalle canzonette super orecchiabili & elettroniche a sonorità più dense, fisiche e stratificate. Never Let Me Down Again, Strangelove e Behind The Wheel sono classici immortali, così come i video in bianco e nero dell’allora sconosciuto Anton Corbjin.
DURAN DURAN – Rio: Poveri Duran Duran, figli di un immeritato pregiudizio, che li ha marchiati con lo stigma di “boy band seguita solo da ragazzine isteriche”, manco fossero One Direction qualunque. Invece, passati i fasti degli ’80, perfettamente incarnati in Rio, album in cui si trova tutto ciò che di buono ha fornito musicalmente quel decennio, hanno viaggiato a basso regime, continuando a scrivere ottima musica. Non stupisce che il loro lavoro migliore risalga al 2010 e che poche settimane fa abbiano tirato fuori dal cilindro, a 37 anni dal loro esordio, un’altra chicca. Onore a chi resiste.
AH-A – Scoundrel Days: altre vittime del pregiudizio, tutta colpa di Take on Me ovviamente, brano splendido ma capace di cristallizzare una band nella grafite. Questi norvegesi però, in 30 anni di carriera, peraltro recentemente ripresa con l’ottimo Cast in Steel, sapevano fare ben altro e con ben altre sonorità. Ballate malinconiche ed eleganti, tracce potenti e sontuose, melodie limpide e sublimi: Scoundrel Days, insomma.
TALK TALK – Spirit Of Eden: Ovvero coloro che avrebbero potuto dominare il mondo e scelsero l’anonimato. Perchè il mondo, dopo bombe quali Such A Shame e It´s My Life era davvero ai loro piedi. E la band di Mark Hollis che fa? Cambia radicalmente genere e registro e tira fuori un album bellissimo che vende zero e li fa sparire dal giro che conta. Precursori di almeno una mezza dozzina di generi musicali che si sono sviluppati molti anni dopo, gli arpeggi misteriosi di Spirit of Eden suonano ancora freschi e originali.
DAVID BOWIE – Let’s Dance: Il Duca ha dato il suo meglio negli anni ’70 e fin qui siam tutti d’accordo, direi. Negli anni ’80 però riesce a reinventarsi e stare comodo e vincente tra pop star emergenti e comete che brillano una sola estate. Il video della canzone che dà il titolo all’album mi terrorizzava ai tempi e tutt’ora mi suscita una certa inquietudine. Oh e poi c’è anche questa.
YELLOW MAGIC ORCHESTRA – Solid State Survivor: Lo so, lo so, questo è del 1979, ma lo faccio entrare nel listone perchè A-è il mio album preferito in assoluto di tutti i tempi, B- rappresenta uno squarcio spazio temporale che ti proietta alla fine del 1979, quando il Giappone era lontanissimo, rappresentava il Paese dei balocchi, l‘ultima frontiera dell’innovazione tecnologica e il futuro era ancora una promessa e non una minaccia.
Ah, metti caso che voleste buttare un occhio su altro materiale vintage…ci sarebbe questo.
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Grazie!
Ciao, aggiungerei anche pixies, violent femmes, cure, my bloody valentine e metallica. Riabilitiamo gli ’80!
In effetti, leggendo molti di questi nomi( molto spesso i lavori migliori dei suoi autori) viene da chiedersi come possa essere considerato un decennio da dimenticare.. Poi certo, in mezzo alle eccellenze c’era anche tanta merda, ma questo vale più o meno per ogni epoca