Incredibile, Players è ancora vivo.

Ancora più incredibile, IO sono ancora vivo.

Quindi, come ogni anno, è tempo di consigliare i 20 migliori film passati davanti agli occhi del sottoscritto.

Qualche info prima di iniziare

-Non è una classifica, è un listone

-La stragrande maggioranza dei titoli è stata visibile in Italia (anche se magari solo in rassegne, festival, etc.)

-Ho deciso di focalizzarmi solo sugli “underdog” del caso che potrebbero essere sfuggiti al vostro radar

-Alla fine c’è qualche altro consiglio

 

Buona lettura, spero possa esservi utile.

(NOTA: articolo aggiornato l’8 gennaio con Wenders e Miyazaki)

1-THE HOLDOVERS

Alexander Payne si riprende dal passo falso di Downsizing e torna all’assoluta eccellenza di Nebraska, Sideways e ovviamente di Paradiso Perduto, uno dei miei dieci film preferiti di sempre. Lo fa raccontando la storia di tre loser (un professore meschino e frustrato, un ragazzo “ribelle” e una cuoca che ha perso il figlio in Vietnam) costretti a vivere assieme le vacanze natalizie del 1970 in un collegio americano. Sfruttando appieno la sceneggiatura PERFETTA di David Hemingson, Payne torna a fare quello sa fare meglio: descrivere minuziosamente i rapporti interpersonali tra esseri umani molto differenti tra di loro, ma accomunati dall’essere fragili e imperfetti. Una cura per i dettagli maniacale, un humour noir sempre efficace, una regia ferma e una progressione drammatica impeccabile, accompagnano i protagonisti (e gli spettatori) nel processo catartico verso l’accettazione delle rispettive miserie e, forse, la speranza di un futuro migliore. Ovviamente, Paul Giamatti DEVE avere già l’Oscar in tasca. Uno dei migliori film degli ultimi anni, non solo del 2023.

 

 

2-AMERIKATSI

Sfuggito da bambino al genocidio nascondendosi in un baule diretto negli Stati Uniti, un uomo torna nel 1947 in Armenia e viene immediatamente incarcerato e messo in isolamento dal regime comunista perché porta una cravatta. Dalla finestra della sua cella però, scopre presto di poter vedere l’interno di un edificio dove vive una coppia e inizia a “vivere” insieme a loro…

Un’opera di puro genio, scritta, diretta e interpretata da Michael A. Goorjian (americano di origine armena, da giovane era in Party of Five, per chi se lo ricorda, ma ha girato un botto di roba anche se non è molto famoso), che “rielabora” in chiave agro-dolce e tragicomica Le Vite degli Altri (unico film che mi sovvenga che possa essere concettualmente avvicinato a questo, con un pizzico di La Finestra sul cortile, La vita è bella e Morto Stalin, se ne fa un altro).  Lui è assolutamente incredibile, idem dicasi il colorito cast a supporto, la satira sociale e politica è sferzante e di rara intelligenza, ci sono alcune sequenze clamorose, ma soprattutto è un film umanissimo, davvero uno di quei titoli che capitano sempre più di rado. L’Armenia ovviamente lo manda agli Oscar e quindi quest’anno so chi tifare.

 

 

3-KAFKA A THERAN

Dodici storie, girate tutte in piano sequenza, che raccontano l’ordinaria follia burocratico-religiosa dell’Iran attuale.

Davvero splendida quest’idea di Ali Asgari e Alireza Khatami che, senza mostrare l’interlocutore “oppressore” (un fanatico religioso, un rozzo burocrate, un manager con mire sessuali…) si concentrano esclusivamente sulle espressioni e la parola della vittima di turno, oscillando sempre tra il grottesco, il tragico e il paradossale. Inquieta il riflettere sul fatto che alcuni episodi, scevri da contaminazioni religiose, potrebbero verificarsi quotidianamente anche da noi (per gli altri, forse basta aspettare…). Finale clamoroso, specie se si è misantropi. Tutto eccelso, uno dei migliori film del 2023.

 

 

4-IL CAFTANO BLU

Halim e Mina, sposati da molto tempo, gestiscono un tipico negozio di caftani nella medina di Salé, in Marocco. Insieme custodiscono anche il segreto dell’omosessualità di lui, ma quando Mina si ammala e in negozio arriva un giovane apprendista, l’equilibrio si romperà…

Sorprendente e meraviglioso film marocchino, che lo aveva candidato giustamente agli Oscar e che ce la stava quasi facendo a vincere. Una “doppia” storia d’amore raccontata con garbo e leggerezza e con un’attenzione maniacale a dettagli e particolari, gli stessi che le sapienti mani del sarto protagonista cura per gli abiti (bellissimi) che crea. Attori, regia, script, tutto impeccabile, finale da applausi in piedi.

 

 

5-RAPITO

Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica…

Capolavoro ASSOLUTO.

Bellocchio, a 83 anni, martella la Chiesa (e la religione tutta, a ben vedere) raccontando una storia incredibile, con il suo stile unico e inimitabile. Tutto eccelso: la regia, che regala sequenze visivamente e emotivamente potentissime (il Cristo “schiodato” che prende e se ne va una volta sceso dalla croce, il Papa sottoposto a circoncisione), il cast, in stato di grazia (mostruoso Paolo Pierobon nei panni di Pio IX, rappresentato come un fanatico integralista, incredibile Fausto Russo Alesi (memorabile Cossiga in Esterno Notte) nei panni del padre del giovane, ma sono tutti bravissimi, ragazzino compreso), lo script, asciutto e tagliente nella sua furia iconoclasta e nel conferire tridimensionalità a tutti i personaggi.

 

 

6-PASSEGGERI DELLA NOTTE

1981: Una donna con due figli adolescenti, supera il divorzio trovando lavoro in una radio in una trasmissione notturna, grazie alla quale incontra una giovane squatter cui si affeziona e che cambierà le vite di tutta la famiglia…

Una storia Rohmeriana, intrisa di malinconia e ottimismo, che attraversa gli anni ’80, raccontando le piccole cose di tutti i giorni, gli incontri casuali, il cinema, le quotidiane gioie e delusioni, la musica (I Wanna Discover You, gemma sconosciuta dell’italo disco del tempo) e il tempo che passa e cambia tutto, persone, città, orizzonti… È tutto magnifico in questo lavoro del bravo Mikhaël Hers, che conferma il talento già mostrato ai tempi di Quel giorno d’estate e dirige un cast perfetto, su cui spiccano la “solita”, immensa Charlotte Gainsbourg e la giovane, fantastica, Noée Abita.

 

 

7-ANIMALI SELVATICI (R.M.N)

Un uomo, dopo aver perso il lavoro in Germania, torna in Transilvania dove vivono la moglie, il figlio, il padre e l’amante. Quando dei lavoratori cingalesi vengono assunti nel panificio locale, la situazione esplode…

Sesto film e sesto centro per Cristian Mungiu, che si conferma uno dei migliori registi e sceneggiatori europei. RMN, che potrebbe valere come “Romania senza vocali” o come Risonanza Magnetica, l’esame cui si sottopone uno dei personaggi, è un altro film enorme, che racconta asetticamente come il genere umano non abbia alcuna possibilità di salvezza, non essendo capace di affrancarsi da paure ataviche e superstizioni, invidie e accidia. La sequenza dell’assemblea pubblica è un capolavoro assoluto (ed è curiosamente simile a quella, più grottesca, di un altro filmissimo rumeno recente, Sesso sfortunato o follie porno) ma tutto il film straborda di allegorie, segni, significati.

 

 

8-KLONDIKE

Guerra Russo/Ucraina. No, non quella attuale, ma quella iniziata nel 2014. Un colpo di artiglieria sfonda il muro di una casa circondata dal nulla, dove abitano marito (alcolizzato) e moglie (incinta). Il buco diventa lo specchio e lo schermo per osservare il reale impatto che il conflitto ha sulle persone normali.

Gran film questo di Maryna Er Gorbach, giustamente premiato al Sundance, che lavora di sottrazione, con pochi dialoghi e la scelta di campi lunghi e lunghissimi per raccontare l’inizio della guerra civile in Ucraina, nella regione di Donec’k e l’abbattimento lì vicino del volo MH17, diretto da Amsterdam a Kuala Lumpur. Gli uomini si ammazzano, le donne, provano, per quanto possibile, a continuare a vivere e dare la vita. Ultimi dieci minuti da storia del cinema, ma anche prima è tanta roba.

 

 

9-CONCRETE UTOPIA

Dai un genere cinematografico qualsiasi in mano a un coreano e lui te lo smonterà pezzo per pezzo e cliché per cliché, per ricostruirlo a formare qualcosa di completamente nuovo. Capita anche stavolta con questo bizzarro ma riuscito mix tra disaster movie + black comedy + thriller psicologico, che vede un gruppo di sopravvissuti ad un terremoto “estintivo” sopravvivere all’interno dei grattacieli rimasti (più o meno) in piedi. Lo script ammicca ad High Rise e Triangle of Sadness, ma c’è molta farina del regista e sceneggiatore Um Tae-hwa. Lee Byung-hun, come spesso gli capita, sta due spanne sopra tutti. Meno immediato e leggibile dei successoni coreani degli ultimi anni, ma validissimo, tant’è che sarà il loro candidato agli Oscar come miglior film internazionale.

 

 

10-DREAM SCENARIO

Un anonimo e frustrato professore universitario appare improvvisamente nei sogni di milioni di persone e diventa celebre, ma la fama dura poco, perché i sogni presto si trasformano in incubi…

Che dire? Un’opera assolutamente geniale e capace come poche di raccontare la miseria umana e morale di questi tempi. Kristoffer Borgli, già autore del valido Sick of Myself, altro film sulla “ricerca e gestione della fama”, prende i soldi di A24, la omaggia con flash “horror” di alta qualità e firma un’opera sagace e cinica, spietata e intelligente. Particolarmente oculata è la scelta di Cage come protagonista, forse l’attore più “memizzato” in assoluto, che torna ai fasti di The Weather Man, Adaptation e firma una performance memorabile. E che finale magnifico.

 

 

11-IL MALE NON ESISTE

“L’acqua scorre sempre verso il basso”

Una società di intrattenimento compra un terreno nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo, per costruirci un Glamping, ma la popolazione locale, intuito che il progetto avrà̀ un impatto negativo sulla rete idrica locale, si oppone…

Ennesimo capolavoro assoluto di Ryūsuke Hamaguchi che assieme a Hirokazu Kore’eda e Shin’ya Tsukamoto, conferma di essere il più brillante dei registi e sceneggiatori nipponici, quanto si parla di live action. Potentissimo pamphlet ambientalista (nel senso letterale del termine, con la Natura che ti ammazza senza rimorsi) e difficilmente comprensibile per una larga fetta di popolazione che, semplicemente, non capisce l’ovvio (memorabile la sequenza dell’assemblea con i due esponenti dell’azienda incapaci di rispondere alle motivate, semplici e logiche obiezioni dei cittadini). Ancora più pazzesco il finale, che richiama le atmosfere di Picnic ad Hanging Rock, grazie alla sontuosa partitura della compositrice Eiko Ishibashi. Nessuna possibilità di redenzione o salvezza, un film per tempi più civilizzati.

 

 

12-PERFECT DAYS

Undici giorni nella vita di un simpatico sessantenne che per lavoro pulisce i bagni pubblici di Tokyo.
Che dire? Il miglior film della carriera del quasi ottantenne Wenders, e non è cosa da poco, un’opera ironica, minimalista ed essenziale, il trionfo della semplicità e un inno mai retorico o autoreferenziale all’importanza delle cose banali, ma belle (i libri, la musica, il cibo, scattare foto, coltivare piante). Un’opera fieramente analogica e anacronisticamente ottimista, molto lontana dai temi ricorrenti di Wenders, interpretata magnificamente dal fantastico Kōji Yakusho. Giustamente candidato agli Oscar dal Giappone come miglior film internazionale, visione imprescindibile.

 

13-A LIGHT NEVER GOES OUT

Hong Kong, oggi: la vedova di un artigiano esperto nella creazione di insegne al neon (oramai vietate da dieci anni) decide di realizzare l’ultimo progetto del marito, con l’aiuto di uno strambo apprendista…

Splendido melò d’esordio per la sceneggiatrice e regista Anastasia Tsang, che racconta una storia tutto sommato banale e dallo svolgimento prevedibile, ma con grande leggerezza e un super plus di nostalgia. Il fulcro del film, infatti, più che nelle vicende dei personaggi (ben interpretati, a cominciare dalla stupenda Sylvia Chang) sta nell’approccio quasi documentaristico (pazzesco il montaggio che alterna immagini del passato e del presente, col passaggio dalla luce colorata al buio) che ricorda quanto fossero importanti le insegne al neon per descrivere e definire lo spirito di HK prima dell’avvento cinese. L’arrivo della Cina, purtroppo, ha spento luci, speranze nel futuro e democrazia.

 

 

14-IL GIURAMENTO DI PAMFIR

Leonid, soprannominato Pamfir, è un buon padre di famiglia ucraino che ha lavorato per anni in Germania. Quando torna al paese natale vorrebbe vivere tranquillo con la famiglia, ma il figlio incendia una chiesa e lui, per evitargli conseguenze giudiziarie, pratica il contrabbando per raggranellare i soldi necessari…

Davvero intrigante questo film ucraino, dotato di uno script al bacio, che racconta la spirale negativa che trascina verso l’abisso il protagonista, colpevole solo di troppo amore verso la famiglia. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, gli assurdi riti ancestrali di un popolo ancora immerso nelle superstizioni e nella mistica, nelle tradizioni e nel malaffare endemico. Cast, regia e fotografia sopra la media.

 

 

15-PAST LIVES

Il film estivo di A24 racconta la storia di due ragazzini coreani che si “amano” fin da piccoli, ma che la vita separa: lei si trasferisce in Canada, lui resta in patria. Dodici anni dopo, si ritrovano, almeno virtualmente, e si “ri-lasciano”, ma dopo altri dodici anni, si incontrano per davvero, anche se le loro vite sono molto cambiate…

Bella dramedy romantica, modernissima e scevra da qualsiasi retorica o sentimentalismo melenso, intrisa piuttosto di malinconia esistenziale e dotata di rara intelligenza. Celine Song (esordiente!) scrive e dirige un bellissimo film, tutto giocato sui dettagli, le espressioni dei due magnifici protagonisti (gli affascinanti Greta Lee e Teo Yoo, ma kudos anche al “terzo incomodo” americano John Magaro, spettacolare e autoironico), le sliding doors e le “strade non prese” che incontriamo nella vita, con il loro carico di rimpianti, rimorsi e promesse non mantenute.

 

 

16-L’ULTIMA LUNA DI SETTEMBRE

Mongolia, oggi. Un uomo fa ritorno dopo anni al suo villaggio natale nelle steppe per assistere l’anziano padre malato. Dopo la sua morte, decide di restare fino al raccolto e fa amicizia con un ragazzino, mollato dalla madre, che lavora in città, ai nonni. Tra i due si creerà un rapporto padre/figlio destinato però a finire nel giro di poche settimane…

Davvero splendido questo titolo d’esordio di Amarsaihan Balžinnâmyn, che racconta una storia semplice con leggerezza e poesia, sfruttando al meglio gli incredibili paesaggi della steppa (ora capisco perché i CSI ne restarono così colpiti da trarne ispirazione per il loro album più celebre) e l’ottimo cast. Forse il più “alieno” dei paesi terrestri, dove la differenza tra l’ultramoderna Ulan Bator e il verdeggiante nulla delle praterie, saltuariamente interrotto da qualche iurta, è stridente, la Mongolia affascina e stupisce e si dimostra perfetto sfondo per narrare il perenne contrasto tra vecchio e nuovo, passato e presente, tradizioni e modernità.

 

 

17-ANATOMIA DI UNA CADUTA

Daniel, undicenne cieco a causa di un incidente occorso anni prima, una mattina trova suo padre morto ai piedi dello chalet in cui viveva assieme a lui e alla moglie, Sandra, una famosa scrittrice, che diventerà imputata per l’omicidio del marito…

Palma d’oro a Cannes 2023 (troppo presto per dire se meritata), Anatomia di una caduta è un legal atipico, che lavora molto sul linguaggio (letteralmente, ci si muove tra francese e inglese, per una ragione precisa…) e sulla direzione degli interpreti, confermando il talento della regista francese Justine Triet (incredibili i primi dieci minuti, in quest’ottica, e tutta la parte “processuale”).

Gran parte dei pregi, che compensano una durata eccessiva (due e ore e mezza con almeno mezz’ora ridondante e superflua), vanno ascritti alla sceneggiatura, che tratteggia con grande precisione la protagonista (figura che lo spettatore vede completamente stravolta durante il film), il relativo pargolo (decisivo nel dirimere il mistero) e un certo modo (tossico) di vivere i rapporti di coppia e alla performance dell’ottima Sandra Hüller. Finale giustamente ambiguo.

 

 

18-THE TEACHERS’LOUNGE

Una giovane insegnante in una scuola media in cui si sono verificati dei furti decide di indagare da sola e individua un possibile colpevole: pessima idea…
Capolavoro, poco da aggiungere. Un vero e proprio thriller, ambientato però tra i banchi di una scuola e la sala professori, un microcosmo apparentemente innocuo e stabile, in realtà pronto a deflagrare e a trasformarsi in un’arena dove presidi, insegnanti, consulenti, genitori e alunni sono pronti a scannarsi senza pietà, in un crescendo di odio e rabbia. Satira feroce sulla scuola contemporanea, sul “buonismo” posticcio e ipocrita imperante, che si sbriciola alla prima occasione e sull’uso “ambiguo” della tecnologia, graziata dalla regia ultra-dinamica del bravissimo Ilker Çatak (due sequenze sono assolutamente incredibili) e dalla performance convinta della fantastica Leonie Benesch, che ricordavo giovanissima ai tempi de Il Nastro Bianco. La Germania lo manda agli Oscar e se c’è giustizia, DEVE entrare nella cinquina finale.

 

 

19-PALAZZINA LAF

Potentissimo esordio alla regia dell’ottimo Riondino, per certi versi sorprendente, che racconta le vicende della Palazzina LAF, un ufficio isolato rispetto agli impianti dell’Ilva di Taranto, dove vengono “stoccati” i dipendenti de-mansionati, che passano le giornate a non far nulla. Una vicenda kafkiana e assurda, avvenuta alla fine degli anni ’90, che vede protagonisti Riondino (operaio che accetta di far “la talpa” antisindacalista all’interno della LAF) e Germano (come al solito incredibile e quasi deforme, dentro e fuori, nell’interpretare il medio dirigente aziendalista che complotta contro i dipendenti). Alcuni passaggi sono da applausi per ferocia e inventiva e Riondino dimostra una incredibile maturità nello scansare ogni retorica e utilizzare all’occorrenza una massiccia dose di humour noir per definire e descrivere personaggi e circostanze.

 

 

20-MAY DECEMBER

“Le persone insicure sono pericolose. Io sono sicura”

Una star del cinema inizia a frequentare una coppia sposata da anni, perché deve interpretare la moglie in una fiction tv. La coppia era diventata suo malgrado celebre molti anni prima, perché la donna, ai tempi trentacinquenne, aveva avuto una relazione con un ragazzino 13enne (poi diventato appunto suo marito) ed era finita in prigione. La coppia ha inaspettatamente resistito per due decenni alle polemiche e al gap d’età e ha avuto tre figli, ora prossimi al college, ma l’arrivo dell’attrice metterà a rischio le dinamiche familiari…

Film ultra-stratificato e di rara intelligenza già dalla scelta del titolo (due mesi lontani l’uno dall’altro, due stagioni diverse), che scandaglia con sapienza non solo l’animo umano (e la sua intima fragilità, visto che tutti i personaggi sono alla costante ricerca di una “identità” più o meno accettabile per gli altri e per sé stessi) ma il concetto stesso di Storia, mutevole e variamente interpretabile a seconda delle necessità. Quasi un trattato sociologico esaltato da uno script impeccabile e dalla performance assoluta della Portman, mai in passato così efficace.

 

 

 

BONUS

 

Il miglior documentario dell’anno (ex aequo)

20 DAYS IN MARIUPOL

A proposito di “documentari papabili per l’Oscar” (in questo caso anche come miglior film internazionale, visto che l’Ucraina lo ha candidato) c’è anche quest’opera incredibile, frutto del lavoro coraggioso di una squadra di giornalisti ucraini dell’Associated Press, guidati da Mstyslav Chernov, intrappolati nella città assediata di Mariupol all’inizio del conflitto. Essendo gli unici reporter internazionali rimasti in città, riprendono e mostrano, senza filtri, bambini morenti, fosse comuni, il bombardamento di un ospedale materno e tutto quanto accaduto in quei giorni. Visivamente incredibile e girato con un notevole sprezzo del pericolo, lascia decisamente il segno, specie oggi che quel conflitto è quasi sparito dai radar. E d’altra parte, “War. War Never Changes.”

 

 

LA MEMORIA INFINITA

Tenero ma potente documentario cileno (che, me la gioco, finirà nella cinquina per l’Oscar) che racconta due anni di vita della coppia formata da Augusto Góngora, uno dei più importanti giornalisti e attivisti cileni, affetto da Alzheimer, e sua moglie, Paulina Urrutia, attrice, attivista e politica che si prende cura di lui. Alternando filmati d’epoca e riprese “in diretta”, si evitano facili pietismi e patetismi e si raccontano una storia d’amore, il Cile attuale e passato, due vite e la fine di una di esse (lui è deceduto qualche mese fa). Bella opera di Maite Alberdi, che già qualche anno fa aveva firmato l’interessante The Mole Agent. Vincitore al Sundance.

 

 

Il miglior documentario musicale

WHAM!

“Gli Wham non possono diventare cinquantenni”.

Spettacolare, davvero splendido documentario su un duo che ha fatto, letteralmente, la Storia della Musica. Chris Smith, regista di Tiger King, ha l’ottima idea di far raccontare la storia degli Wham da loro stessi, alternando le voci fuori campo di George Michael (da interviste del tempo) e Andrew Ridgeley (da un’intervista fatta ad hoc) e limitando al massimo i contributi “terzi” (fatta eccezione per un incredibile endorsment di Elton John negli anni ’80, che aveva capito tutto, come al solito). Andrew Ridgeley, spesso considerato “a rimorchio” di George Michael, ne esce ampiamente rivalutato e visto come fondamentale per la nascita del duo, che iniziò come gruppo quasi “politico” (si pensi alle primissime canzoni) e che ebbe poi la saggia idea di cogliere il desiderio di leggerezza degli anni ’80, cavalcandolo appieno. Micheal appare come genio musicale assoluto ma anche come persona fragile, sensibile e dotato di una intelligenza fuori dal comune (da sbellicarsi quando ammette candidamente che gli rodeva che Last Christmas fosse stata “battuta” a Natale da Do They Know It’s Christmas a cui lui stesso aveva partecipato). Incredibili le scene del Live Aid, mai visto tanto talento assieme sullo stesso palco, così come tutto il materiale dell’epoca che occupa il 100% del film.

 

 

Il miglior film animato dell’anno (ex aequo)

INU-OH

Giappone, periodo feudale: un ragazzo cieco e un altro deforme a causa di una maledizione s’incontrano e creano un duo artistico: entrambi cantano, uno suona e l’altro balla. È l’inizio di una rivoluzione, non solo musicale…

Che dire? Capolavoro assoluto, uno stracult imprevisto e imprevedibile, il film “della vita” del talentuoso di Masaaki Yuasa (Mind Game, Ride your wave, Devilman Crybaby), un’opera rock senza eguali. Dopo una prima mezz’ora “di studio”, atta a presentare i personaggi, il film esplode, con numeri musicali memorabili e affastella temi attualissimi, dall’importanza dell’anticonformismo, al miglioramento di sé attraverso l’arte (il personaggio deforme migliora dopo ogni performance), dalla presenza persistente della censura nella Storia (Inu-Oh è esistito per davvero, ma non è rimasta traccia della sua arte, cancellata per motivi politici) alla gestione del successo con la propria “fanbase”. Sequenze vertiginose (una chiaramente ispirata alla più celebre de La storia della Principessa Splendente di Isao Takahata), ritmo forsennato, canzoni pazzesche. Yausa crea personaggi al tempo stesso respingenti e armoniosi, con uno stile grezzo ma funzionale e a suo modo affascinante, certamente unico e riconoscibile e firma un’opera assolutamente memorabile.

 

 

IL RAGAZZO E L’AIRONE

Ennesimo centro del Maestro, che stavolta guarda al cinema di David Lynch, Fellini e del collega Takahata: i tempi degli Eroi e del Mito, della speranza verso un futuro migliore, di Nausicaa, Totoro e Laputa sono finiti, addio linee morbide e armoniose, addio moniti pacifisti e ambientalisti, il futuro è diventato presente ed è terribile.
Ecco, quindi, un “sequel” concettuale di Si Alza il Vento, con il passaggio sullo sfondo dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, un coming-of-age mascherato da fantasy denso, stratificato, ricchissimo di metafore e concetti, intimista, crepuscolare e autobiografico (il “mondo magico” destinato a scomparire senza un successore è ovviamente Studio Ghibli).
Mirabile mix di forma e contenuto, tecnicamente enorme e citazionista (la sequenza col ragazzo che si precipita verso il fuoco richiama quella della folle corsa della protagonista ne La storia della principessa splendente di Isao Takahata), Il Ragazzo e l’Airone è senz’altro la sua opera più matura e pessimista (e la OST dimessa e minimalista di Hisaishi in questo senso è coerente col contesto): basta con le favole, i voli e le utopie, ora bisogna affrontare le perdite, i fantasmi, gli orrori e il vuoto spettrale di stanze abbandonate.
Visione spiazzante ma imprescindibile e finalmente pienamente comprensibile (saluti a Cannarsi, dai che ce ne siamo liberati, adesso ridoppiateli tutti…).

La migliore nuova serie animata dell’anno

PLUTO

Che dire? Capolavoro memorabile, una di quelle opere che escono una volta ogni vent’anni.

Lo aspettavo ansiosamente dal giorno del trailer e non ha deluso, confermando il talento assoluto e cristallino di Naoki Urasawa nel raccontare storie e indagare sull’animo umano (NOTA: il manga è la rielaborazione di una storia di Osamu Tezuka con Astroboy come protagonista e già ai tempi, Tezuka sembrava indicare come minaccia principale alla pace mondiale del futuro il Medio Oriente).  Sono infatti umanissimi i robot protagonisti di questo clamoroso mix tra thriller, horror, fantascienza e giallo classico (il protagonista, Gesicht, è un robot detective che cerca di risolvere una serie di omicidi ai danni dei più potenti robot del mondo, ma è solo la punta di un iceberg profondissimo). Dissertazioni filosofiche, dilemmi etici, riflessioni sullo scopo dell’esistenza del genere umano e sul ruolo pervasivo dell’intelligenza artificiale (il manga è del 2003, rendiamoci conto), alternate ad un plot mistery ricco di colpi di scena, scary moments, suspense e personaggi indimenticabili. Come Monster, insomma, ma con un background sci-fi. Otto episodi densissimi, da un’ora ciascuno, che coprono alla perfezione l’intero manga, realizzati con una grande cura per le animazioni e un enorme rispetto per il tratto grafico dell’originale cartaceo. Nettamente la migliore serie dell’anno.

 

 

La migliore nuova serie live action dell’anno NON americana

LA TERAPIA

Josy, la figlia tredicenne del noto psichiatra Viktor Larenz, scompare in circostanze inspiegabili. Due anni dopo, Viktor, dopo aver divorziato, si rifugia in una casa su un’isola semideserta ma un giorno appare una donna misteriosa che pare saperla lunga sulla sorte della ragazza…

Oh, ma i tedeschi son bravi a fare le serie!

Questa, tratta da un celebre best seller pubblicato anni fa, punta tutto sull’intreccio misterioso, che calibra bene i tantissimi colpi di scena, e sulla fotografia, assolutamente eccezionale e “cinematografica”, che esalta l’incredibile location principale, un’isola del Mare del Nord, vero e proprio personaggio aggiunto all’ottimo cast (il protagonista è “uno di Dark”, serie che ha seminato talenti ovunque). Sei puntate da 45 minuti, con zero tempi morti, ma più che sufficienti da dipanare il mistero con un finale compiuto, soddisfacente e assolutamente sorprendente. Davvero un mistery coi fiocchi.

 

 

La migliore nuova serie live action dell’anno americana

THE FALL OF THE HOUSE OF THE USHER

Altro giro, altro successo, altro passo in avanti per Mike Flanagan, che si conferma essere il più in palla degli autori Netflix e impareggiabile creatore di serie terrificanti e stilosissime. Dopo gli ottimi The Haunting of Hill House, The Haunting of Bly Manor e Midnight Mass, si torna alle famiglie disfunzionali, stavolta ricchissime e spietate, che crollano sotto il peso delle proprie nefandezze. Poe è l’ispirazione dichiarata (ogni episodio è la versione moderna di un suo classico), ma si pesca anche dalle recenti serie Succession e Dopesick, frullate assieme a formare un mix unico e intrigante. Cast di soliti noti, almeno per chi ha visto i suoi lavori precedenti, cui si aggiunge un luciferino Mark Hamill (in guanti neri!) e una strafighissima Carla Cugino che tormenta le anime dei familiari peccatori. Gran dialoghi, strepitoso il pippone anticapitalista e misantropo di un personaggio verso la fine (che richiama quello, eccezionale, sulla morte in Midnight Mass), valori produttivi eccelsi.

 

 

LISTONI PASSATI

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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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