Edizione speciale della nostra classica rubrica di fine anno che rappresenta anche il definitivo commiato del suo estensore dalla testata. Nonostante “il 2020”, il cinema è sopravvissuto (come forma d’arte e prodotto commerciale, certo le sale non godono di ottima salute, anzi, basta chiedere a Disney e Warner) e trovare 20 film molto meritevoli da consigliare non è stato poi così difficile. Ah, NON è una classifica: è un listone, quindi tra il 20esimo e il 1mo non ci sono particolari differenze qualitative. Buona lettura e buone visioni. 

I migliori film del 2020

20 – Another Round/Un Altro Giro, 

Un professore annoiato, irriso dagli studenti e apatico in famiglia, prova ad assumere “scientificamente” alcool per migliorare la sua vita: inizialmente l’idea funziona ma poi…
Probabilmente il miglior film sull’alcoolismo mai girato. Zero retorica, zero melodramma, zero pietismi. Mikkelsen firma l’ennesima performance titanica, dopo l’eccezionale Il Sospetto (anch’esso girato da Vinterberg, sempre più a suo agio quando gira in patria, evidentemente è un’accoppiata vincente).

19 – The Call

Una ragazza, arrivata nella casa di campagna di famiglia per assistere la madre malata, inizia a ricevere delle telefonate da una coetanea, che ben presto scopre vivere nella stessa casa, ma vent’anni prima… Splendido thriller/horror coreano, che mette i sempre amati paradossi temporali al servizio di una storia che regge alla perfezione fino ad un finale imprevisto e imprevedibile. Park Shin-hye e Jeon Jong-seo giganteggiano, Jonas Kahnwald apprezzerebbe.

18 – The Sound of Metal

Il batterista ex tossico di un duo metal perde l’udito e inizia un faticoso percorso in una comunità per provare ad adattarsi alla sua nuova condizione. Film davvero splendido, che riesce a trattare un argomento delicato senza mai scadere nel melodramma e diretto con scelte originali (noi “siamo” il protagonista, quindi tutte le scene che lo riguardano sono silenziose, mentre il sonoro torna quando la camera si allontana o mostra altro). Prestazione di assoluto livello (leggi: nomination inevitabile, per quanto vale…) di Riz Ahmed, già fantastico in Nightcrawler e The Night Of.

17 – Mank

Eccezionale. Uno dei migliori film di Fincher (che, come dire, qualcuno buono lo ha girato…) con un utilizzo abbacinante del bianco e nero, totalmente asservito ad un biopic che, per fortuna, NON è un biopic. Nessuna “ascesa e caduta” o “arco narrativo” del protagonista, Herman J. Mankiewicz, co-sceneggiatore di Quarto potere, ma tanti piccoli flash che, come pezzi di un mosaico, raccontano com’era Hollywood ai tempi, chi era lui e cosa è stato il film che ha contribuito a realizzare (depotenziando parecchio la figura di Welles, che ne esce drasticamente ridimensionata).

A colpire però sono le similitudini con lo scenario cinematografico attuale: come fare a riempire le sale ora che c’è Netflix (che produce il film e che c’ha speso bei soldi, che si vedono tutti) ? Come uscire da una crisi economica? C’è persino un pazzesco parallelismo con la politica americana attuale. Forse sono proprio i “corsi e ricorsi storici” o forse quello che non cambia sono le umane miserie, ben incarnate dalla dolente interpretazione di Oldman, come al solito eccelso. (Ve ne abbiamo parlato Qui)

17 – Boss Level

B-Movie pazzesco che mischia Edge of Tomorrow + Crank + John Wick + Ricomincio da Capo. Storia spassosa, dialoghi brillanti, citazionismo a manetta, cast sublime (ma Gibson gira un film alla settimana?), regia incredibile di Joe Carnahan, che torna ai fasti di The Grey e Smokin’ Aces, sequenza d’apertura pixellosa su musica Chiptune, una sequenza in una sala piena di arcade storici…assolutamente nella top ten del 2020.

16 – Possessor

Una killer professionista entra (letteralmente) nella mente delle persone vicine al suo obiettivo, per farlo fuori senza problemi. Le cose si complicano quando, dopo una missione, non riesce più a uscire dal corpo che la ospita. Interessantissima (e violentissima) opera seconda del figlio di David Cronenberg, che pesca a piene mani dai film del padre (eXistenZ, Scanners in primis), di Nolan, Oshii e pure dell’Argento anni ’70, ma sa metterci anche del suo. Finale WOW.

15 – Run

Il Misery del nuovo millennio. Il twist si capisce dopo 5 minuti, ma la tensione resta altissima fino alla fine. Brava Sarah Paulson, in modalità “Ratched/American Horror Story“, eccezionale Kiera Allen (realmente disabile). Occhio al regista, Aneesh Chaganty, che aveva già diretto il valido Searching.

14 – Aniara

Notevolissima produzione svedese, fatta con pochi soldi (ma spesi bene) e tante idee, che racconta il viaggio infinito di una nave spaziale, normalmente utilizzata per fare la spola tra una Terra devastata e Marte, nuova casa del genere umano, che va in avaria e fluttua nello spazio con migliaia di persone a bordo. Fatte le debite proporzioni, sta a metà tra Tarkovskij e Kubrick.

13 – His House 

Una coppia di migranti, dopo un viaggio periglioso durante il quale perde l’unica figlia, viene “accolta” in UK e inizia a vivere in una casa fatiscente di un quartiere di periferia. Già dalla prima notte però, i due iniziano a percepire strani rumori… . Nettamente il miglior horror dell’anno (e non solo), nonostante un plot tutto sommato convenzionale, ma impreziosito da alcune scelte originali di sceneggiatura e di caratterizzazione dei personaggi. Il background dei protagonisti e le loro difficoltà di inserimento diventano parte integrante della storia e gli scary moments fanno genuinamente spavento. Visivamente è assolutamente strepitoso e loro due (Wunmi Mosaku e Sope Dirisu) eccezionali. Da tenere d’occhio il regista e sceneggiatore, Remi Weekes.

12 – On The Rocks

Davvero splendido, sicuramente uno dei migliori della Coppola, che lavora di sottrazione evitando barocchismi ed eccessive dilatazioni temporali, per raccontare una storia di una semplicità disarmante (la Jones sospetta che il marito la tradisca e viene convita dal padre, Murray, ad indagare), ma ricca di spunti di riflessione, degna del miglior Allen. Rashida Jones fantastica, Murray mai così Murray e attorno il classico corredo di chiacchiere, personaggi secondari assurdi, ottima musica e un’atmosfera purtroppo decisamente anacronistica, di questi tempi. A24 non sbaglia (quasi) mai.

11 – La Vie Scolaire

Ma parliamo di scuola, e chiediamoci: com’è che i francesi sfornano una mezza dozzina di ottimi film all’anno ad ambientazione scolastica, declinata in mille modi diversi (dalla commedia al dramma, per arrivare al genere documentaristico o addirittura al thriller) e il cinema nostrano al massimo produce sullo stesso tema giusto qualche commedia da decerebrati?
Ecco, appunto.
(Ah, se lo cercate, e vi consiglio di farlo, il titolo italiano è L’anno che verrà)

10 – Never, Rarely, Sometimes, Always

Una teenager si ritrova incinta e, assieme alla cugina, lascia la sua cittadina per andare a New York ad abortire: sarà un viaggio realisticamente allucinante, tra sanità indifferente, burocrazia surreale, predatori ad ogni angolo di strada, galline che vincono a tris e fanatici di varie religioni.
Film bellissimo che racconta, in modo asciutto e mai retorico, le conseguenze di una scelta, un bell’esempio di solidarietà femminile e il rapporto che una donna può avere col proprio corpo. La due protagoniste, Sidney Flanigan e Talia Ryder, sono assolutamente eccezionali, specie la prima, che trascorre tutto il film, fatto di poche parole e tanti sguardi, in uno stato di rassegnata malinconia.

9 – Mignonnes

E’ davvero un peccato che per colpa di quei cerebrolesi di Netflix – che lo hanno “lanciato” con un poster che definire sciatto, squallido e idiota è dir poco (e infatti i social justice warriors americani hanno cominciato subito a latrare come loro solito, ovviamente senza aver visto il film) – questo gioiellino rischi di passare inosservato o, peggio, con lo stigma di film “pedofilo” (LOL) perché è davvero ben fatto e ha un messaggio totalmente e incontestabilmente positivo.

In sintesi: alcune ragazzine (una in particolare, oppressa dall’entourage “integralista” musulmano) che vivono in un quartiere malfamato e hanno storie familiari disastrose, trovano il proprio riscatto grazie ad un gruppo di danza moderna (nella danza moderna ovviamente c’è anche il twerking…che poi voglio dire, ai tempi miei c’era la lambada, capirai che scandalo). Il film è assolutamente valido, un coming-of-age piuttosto coraggioso per le tematiche trattate e ben girato, ben scritto e ottimamente interpretato (la protagonista è eccezionale).

(nota: il titolo originale è Mignonnes, ma su Netflix lo si trova come Cuties)

8 – The Hater

Segnatevi il nome di Jan Komasa, già autore di Corpus Christi, (altro film in lista) perchè oggi è uno dei cinque migliori registi europei viventi. Questo suo nuovo, The Hater, saggiamente finanziato da Netflix, è UNA BOMBA. Ragazzo sfigatello e povero vive nel culto della bella Gabi, primogenita di una famiglia ricca-progressista-stronza. Irriso e umiliato, il ragazzo trova lavoro in una “agenzia” specializzata nello sputtanare un bersaglio X (politico, influencer) via web e social e scopre di essere un eccezionale e subdolo hater.

Fatta salva una mezz’ora di troppo, il film è impeccabile e riesce a gestire in scioltezza temi pesanti quali la violazione della privacy, l’incitamento all’odio razziale, il nazionalismo (è ambientato in Polonia ), l’uso distorto dei social e la pratica delle fake news. INCREDIBILE la performance del protagonista, Maciej Musialowski. Davvero fantastico.

7 – Favolacce

In assoluto il miglior film di quest’anno e faccio fatica a credere che sia italiano. Una storia di pessimismo cosmico (in sintesi: quattro famiglie disastrate, non solo economicamente ma soprattutto dal punto di vista etico morale, della suburbia romana raccontate dal punto di vista dei bambini) dove tutto è perfetto: regia, cast (i quattro ragazzini sono incredibili, Germano tira fuori dal cilindro una sequenza impensabile), dialoghi, musica. Un’opera rarefatta, poetica e terrorizzante che inquieta e disturba. “O come t’inganni
Se pensi che gl’anni
Non hann’da finire,
Bisogna morire…

6 – Wolfwalkers

Ennesimo capolavoro di Cartoon Saloon, lo studio irlandese che gira solo film animati bellissimi (The Secret of Kells, La canzone del mare, I racconti di Parvana – The Breadwinner), che racconta una favola intelligente sul valore dell’amicizia e del rispetto. Tecnicamente fuori parametro, con animazioni e sfondi eccezionali. Felicissimo di sapere che hanno già in canna un altro film per l’anno prossimo. Avete figli? Guardatelo con loro. Non li avete? Guardatelo lo stesso (è su Apple TV+).

5 – And then we danced

Merab frequenta l’Ensemble Nazionale di danza tradizionale della Georgia con la sua partner Mary e la coppia sembra destinare a esistere anche fuori dal palcoscenico. Un giorno arriva Irakli, ballerino più aitante a “adatto” alla danza (che dev’essere “virile” e contrapposta alla ‘candida verginità’ delle donne). Tra i due però, invece della rivalità, scoppia l’amore…
Curiosa e interessante produzione franco-geogiano-svedese, And Then We Danced ha due piani di lettura: il primo è rappresentato dalla storia d’amore tra i due protagonisti, che viene raccontata con una apprezzabile naturalezza.

Ancora più interessante è però il micromondo della danza georgiana, che gioca sul paradosso della mascolinità “forzata”, tema portante delle tradizioni dei paesi dell’ex blocco comunista e che, per molti, rappresenta l’unico passaporto valido per scappare da un Paese con un presente grigio e un futuro incerto. Il finale “alla Flashdance” è davvero spettacolare. Bravissimi gli interpreti, a cominciare dal protagonista, il solare Levan Gelbakhiani.

4 – Corpus Christi

Un giovane criminale, molto devoto, esce dal riformatorio e, a causa di una serie di equivoci, finisce col diventare prete in un piccolo paese, squassato da una grande tragedia: una mezza dozzina di ragazzi sono morti in un incidente causato da un guidatore ubriaco. L’approccio anticonformista del giovane riuscirà ad appianare le tensioni, ma a caro prezzo.
Dopo averla presa a picconate con Tell No One, un documentario sugli orribili, diffusi casi di pedofilia nella Chiesa locale, che ha riscosso un incredibile successo, il cinema polacco torna a parlare di fede, chiesa e culto, raccontando un’incredibile storia vera con un tono leggero, a volte ironico ma attentissimo a bilanciare serio e faceto e di grande intensità morale.

Giustamente candidato all’Oscar come miglior film straniero, ben diretto da Jan Komasa e interpretato come meglio non si potrebbe da un attore incredibile, Bartosz Bielenia, mostra la Chiesa come dovrebbe essere (o come vorremmo che fosse, se proprio dev’esserci): attenta ai reali problemi degli individui e non ostaggio di liturgie meccaniche e vuoti cerimoniali.

3 – Les Miserables

La giornata infernale vissuta da tre poliziotti (un nuovo arrivato e due veterani) a Montfermeil, alla periferia di Parigi, alla prese con giovani difficili e gang locali e dove il riscatto e la speranza sembrano essere svanite. Degnissimo erede de L’Odio di Kassovitz, girato alla perfezione, con un cast multietnico di grande efficacia. Non è originale e innovativo come Portrait de la jeune fille en feu, a cui ha tolto la nomination all’Oscar come miglior film straniero per la Francia (senza poi arrivare nemmeno nella cinquina dei vincitori), ma avercene di film del genere.

2 – Why don’t you just die!

Un ragazzo si presenta dal padre della fidanzata brandendo un martello per eliminarlo e vendicare così i presunti abusi subiti dalla figlia. Ovviamente va tutto storto.
Esilarante commedia horror russa, supersplatter, violentissima, graziata da un ritmo forsennato e da un colpo di scena dopo l’altro. Cast perfetto, regia vivace e originale, 90 minuti ben spesi. Il titolo italiano è Muori papà, muori.

1 – Il Lago delle oche selvatiche

Notevolissimo noir cinese, di stampo tradizionale (il protagonista, appena uscito di prigione, uccide un poliziotto e viene braccato dalle forze dell’ordine e dai suoi rivali criminali, ma aiutato da una pragmatica prostituta) ma girato da dio (i primi venti minuti sono strepitosi) con un uso magistrale dei colori e scoppi improvvisi di ultraviolenza hard boiled. Cast inappuntabile.

La delusione del 2020

TENET

EHM.
È davvero una Kojimata (leggi: un’opera inutilmente ipertrofica, satura di bimbominkiate spacciate per riflessioni filosofiche) e stavolta è pure girata abbastanza da cani. Le scene action sono continue autocitazioni peggiorative, spesso illeggibili, inutilmente caotiche e ho intravisto almeno un paio di errori tecnici piuttosto marchiani.
L’Entropia, il Quadrato del Sator etc.etc., sono le solite supercazzole senza senso utili a giustificare un plot inconsistente. A dirla tutta non funziona niente: la caratterizzazione dei personaggi (tutti antipatici), quasi tutto il cast (Washington in particolare è un legno terrificante, Debicki e Branagh letargici), il ritmo (150 minuti interminabili), salvo giusto la colonna sonora e Pattinson, che dimostra ampiamente di essere il più versatile e autoironico del gruppo. È un film quasi indisponente nel suo voler essere fighetto/cool/mo’tisalvoilcinema a tutti costi.

Non provate nemmeno a citare Dark solo perché tratta di paradossi temporali, vengo a cercarvi a casa armato di Naginata. Normalmente mi riserverei di cambiare idea alla millemillesima visione, perché c’è il precedente di Interstellar (alla prima visione “che due coglioni”, dopo tre/quattro visioni “dai, niente male”) ma non avendo la forza morale di rivederlo, dubito che sarà così.
E comunque tifavo per il cattivo. (Di Tenet vi abbiamo parlato QUI)

I migliori anime del 2020

In un’annata tragica per l’animazione giapponese, la peggiore degli ultimi anni, scelgo due serie ex aequo, una delle quali, appunto, non nipponica.

Blood of Zeus

Sorprendente serie animata che racconta le avventure di uno dei tanti figli semidei di Zeus, che da umile schiavo diventa l’ultima speranza di umani e dei contro l’egemonia di giganti e demoni. La caratterizzazione dei personaggi è eccezionale: gli dei sono fondamentalmente delle teste di cazzo (Zeus scopa tutto lo scopabile, Era diventa giustamente isterica e stronzissima, Poseidone cambia fazione a seconda gli tocchino il mare oppure no, Apollo frustratello a causa dei troppi fratellastri) e gli umani mere pedine di un gioco più grande di loro. Animazioni e chara validissimi, bello violento (arti mozzati, sangue a fiotti, mega armi, super poteri) e piacevolmente iconoclasta. Decisamente l’underdog animato dell’anno. 

The Great Pretender

Partita in sordina, è finita con l’essere la migliore nuova serie anime del 2020 (ovviamente Attack on Titan e Haikyu!! non contano, perché nuove non sono). Inizialmente sembra un mero clone di Lupin, ma col passare degli episodi riesce a trovare una sua propria identità. Non è un capolavoro, chiaro, ma si lascia guardare con estrema soddisfazione.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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