Gli abitanti di Winden sono tornati per accomiatarsi e la terza stagione di Dark (Baran bo Odar, Jantje Friese, 2017-2020) – la serie più contorta della storia della televisione, di cui abbiamo seguito attentamente le evoluzioni, o per meglio dire le rivoluzioni – sarà quella conclusiva. Un ultimo sforzo mentale dunque ci spetta affinché tutti i pezzi del puzzle narrativo vadano finalmente al loro posto regalandoci quiete e soddisfazione.

Come segnalato il precedenza, se la prima stagione – per ragioni propedeutiche – si muoveva all’interno del giallo e del mystery, attirando gli spettatori tra scenari sinistri e personaggi sospetti, e la seconda stagione arrivava a sondare i territori della fantascienza e della fantapolitica, intessendo relazioni sempre più enigmatiche e ricattatorie, la terza pare effettivamente concentrarsi sul post-apocalittico e low fantasy, approcciandoli però in maniera singolare, mantenendoli cioè da un lato imbrigliati e coerenti con la struttura estetico-narrativa sigillata delle stagioni precedenti – ci si sposta agilmente nel tempo ma poco nello spazio, che resta schematico e minimale, mentre il mondo passato, presente e futuro restano offscreen – e dall’altro vincolati alla soggettività precipua dei personaggi. Scelte apparentemente ovvie se si intende perseguire la via del whodunit, ma di cui comprenderemo meglio le ragioni e la condizionalità solo alla conclusione del viaggio.

Il finale di stagione ci aveva rivelato che Winden non era un sistema del tutto chiuso, una trappola spaziotemporale nella quale arrovellarsi alla ricerca di un’uscita (o un’entrata), bensì un “non luogo” più esteso, capace di ospitare realtà speculari nelle quale perdersi (o ritrovarsi). In questa nuova stagione il low fantasy e il post-apocalittico esplorati assumeranno caratteri mitologico-cristiani – in cui dualismo e finalismo faranno da perno a (quasi) tutte le (pseudo) scelte dei personaggi – mentre la fantascienza confluirà nel fiabesco, offrendoci uno dei finali più allegorici e poetici della storia delle serie tv. L’equilibrio narrativo e di genere, così come alcune soluzioni visive, devono sicuramente molto alla poetica nolaniana, con i suoi traumi rimossi, i suoi sensi di colpa e le sue espiazioni paradossali (Interstellar su tutti), ma se si guarda alle serie tv il riferimento più immediato resta Fringe (J.J. Abrams, 2008-2013), ai cui esperimenti di Walter Bishop sembrano far eco le ambizioni nobili e rovinose di H.G. Tannhaus.

Ciò che più strabilia di una serie come Dark, che in quanto a complessità narrativo-seriale non è seconda a nessuno, è la capacità di destreggiarsi in modo assolutamente non scontato tra loop causali e paradossi logici, articolandone il racconto e la messa in scena in maniera tutt’altro che lineare. Dark, infatti, non si limita ad avvicendare gli accadimenti di una storia potente e complicata – intrinsecamente complicata – in maniera tale da renderla facilmente assimilabile, ma ne centellina indizi e dettagli episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, con lo scopo di restituirne un quadro sconvolgente. Il lavoro di scrittura che c’è alle spalle di un progetto così ambizioso, determinato a non rinunciare a nessun aspetto dell’espressività, è di grande valore compositivo prima che contenutistico, e gli effetti di un simile approccio possono essere apprezzati non solo sul breve, ma anche sul lungo periodo (che poi è la strategia migliore per pensare e realizzare una serie tv di successo).

Al terzo giro di boa Dark non ha perso un grammo della sua forza ed eleganza, e le vicende delle quattro famiglie interessate, nonché della coppia caldeggiata dagli eventi ma sabotata dagli esistenti Jonas Kahnwald e Martha Nielsen, restano al centro dell’enigma acquistando spessore e profondità. Il tutto reso ancor più tridimensionale dallo splendido lavoro – mi sembra doveroso menzionarla – di Simone Bär, la cui selezione del cast ha sicuramente contribuito a rendere riconoscibili e credibili i personaggi nelle loro diverse fasi evolutive, concertati da un altrettanto valido uso di effetti e marche di transizione (spaziali, temporali e dimensionali).

Insomma, nonostante le sue complessità, c’è un’efficienza e una chiarezza nella narrazione di Dark tali da rendere l’assunto newtoniano, leitmotiv di questa stagione, quantomai tangibile: “Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano”, tenendo presente che quella goccia è tutto ciò che consideravamo imprescindibile, e invece…



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