Una bambina vede scomparire all’improvviso la sua casa e finisce per incontrare sè stessa da adulta, due teenager si scambiano l’identità, una ragazza trova una macchina capace di fermare il tempo: sono solo alcuni dei racconti, in sospeso tra science fiction, fantascienza, retrofuturismo rivelati da Tales from the Loop, miniserie finanziata da Amazon Studios e ispirata alle splendide illustrazioni di Simon Stålenhag, che inserisce robot e macchine futuribili in ambienti naturali, desolati, selvaggi e incontaminati.

Certo, è bizzarro che una serie televisiva prenda spunto da un’opera esclusivamente iconografica, ma forse proprio questa è stata la giusta scintilla per ispirare una serie che propone una versione “aggiornata” de Ai Confini della Realtà (pescando anche da Dark, The Leftover e Devs) che vede protagonisti persone normali con tecnologie supersofisticate e capaci di compiere l’impossibile. Nemmeno i device più incredibili però, possono risolvere gli umanissimi problemi che affliggono gli individui: il dolore per la perdita di una persona cara, la frustrazione per essere respinti da chi suscita il nostro interesse, la difficoltà nel relazionarsi col prossimo, l’impossibilità di difendersi dal Destino e di cambiare il passato.

Tutti i personaggi che vediamo, anche di sfuggita, nel primo episodio, diventano poi protagonisti di tutti gli altri: ogni puntata è autoconclusiva, ma, facendo parte dello stesso universo narrativo, permette ad una trama orizzontale di evolvere o, almeno, di essere analizzata da diversi punti di vista, fino ad arrivare ad un finale a suo modo compiuto, avvincente, commovente e impeccabile.

Tales from the Loop mostra valori produttivi eccelsi, in ogni comparto: il cast (che vede “big” come Rebecca Hall e Jonathan Pryce (il Sam Lowry di Brazil di Terry Gilliam)), i registi (tra gli altri Mark Romanek, Jodie Foster, Andrew Stanton), la meravigliosa OST di Philip Glass, tutto concorre alla creazione di un microuniverso (tutte le storie si svolgono nello stesso, anonimo, paese di provincia) credibile e umanissimo.

L’unico vero “difetto” della serie è che tutti gli episodi hanno un passo piuttosto lento e compassato (forse TROPPO lento e compassato), che potrebbe risultare sgradito a coloro che si aspettano una sorta di Stranger Things made in Amazon. Proprio questa lentezza permette però di ammirare l’incredibile lavoro svolto da registi e scenografi, che ricreano alla perfezione l’Arcadia natural-tecnologica immaginata da Stålenhag, vagamente malinconica e rassegnata, e di apprezzare gli ottimi e variegati script di Nathaniel Halpern, lo showrunner della serie. Visione imprescindibile.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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