Il principale quotidiano italiano pensa di potersi comportare come un bullo.

Sbagliare è umano, e pubblicare un libro di vignette senza l’autorizzazione di chi le ha realizzate è uno sbaglio. Questo è il punto di partenza dell’intera vicenda. Ci sono però molti modi per rimediare a un errore, e pretendere di averlo commesso in buona fede non è uno di questi. Nemmeno sottolineare il fine benefico della propria iniziativa (che comunque riguarda solo i ricavi, e non l’intero incasso; lieve, ma non sottile differenza). La beneficenza non è un detersivo che smacchia tutto ciò che tocca o una carta bonus universale da giocare per nobilitare ogni attività con cui entri in contatto. No, il primo passo per rimediare a un proprio errore, nonché metodo più semplice, è chiedere scusa. Non che sia semplice farlo, ma è uno di quei bocconi amari che a tutti ogni tanto capita di ingoiare una volta superata l’adolescenza ed entrati volenti o nolenti nell’età delle responsabilità. Parrebbe semplice, invece così non è.

Ora, cosa fa il bullo quando costretto a chiederti scusa? Ci aggiunge un “ma”, e in coda a uno “scusa” pronunciato a denti strettissimi ci aggiunge un bel pippotto per dire che sì, la maestra l’avrà anche costretto a scusarsi, ma la colpa rimane tua, lui lo sta facendo perché obbligato e ai suoi occhi tu non conti un cazzo esattamente come prima. Questo è l’atteggiamento con cui il Corriere ha deciso di porsi verso individui e professionisti a cui ha procurato un danno.

scuse

Nella redazione del principale quotidiano italiano non ci si fanno domande scomode (o peggio).

La prima volta che ho visto sui social la pubblicità dell’instabook del Corriere ricordo di aver sogghignato cinicamente per la prontezza con cui l’opera di sciacallaggio fosse stata allestita, prima ancora che i corpi delle vittime si fossero raffreddati, per opera di chi oltre tutto il giorno dopo l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo aveva deciso di omaggiare la satira con un vignetta in prima pagina che descriveva quello cristiano come un dio che non si offende. Subito dopo i dubbi sulla tempistica e l’opportunità dell’iniziativa, un altro interrogativo si è fatto spazio a gomitate: come avranno fatto ad ottenere il consenso delle decine di vignettisti coinvolti in così poco tempo? O meglio, visti i tempi decisamente incompatibili con le incombenze burocratiche connesse a un’operazione di questo tipo, davvero il più prestigioso quotidiano italiano ha deciso di muoversi senza autorizzazioni come già allora era ipotizzabile? Domanda lecita, che probabilmente sarà venuta in mente a chiunque abbia avuto anche solo una minima esperienza di come funziona una redazione, e che a maggior ragione sarà rimbalzata in anche a chi lavora in prima persona nella redazione nel Corriere. È possibile che tra tutte le professionalità coinvolte nella realizzazione del libro (chi ha materialmente salvato le immagini dai social media, chi ha impaginato il volume con immagini chiaramente a risoluzione inadeguata, etc.) o tra coloro che lavorano all’interno della mura di via Solferino e dunque sapevano cosa si stava confezionando nell’ufficio affianco, nessuno si sia posto il dubbio e abbia provato a sollevare la questione? Le risposte possibili sono solo due e nessuna lascia spazio a scenari rassicuranti. O nessuno si è preoccupato di porre la domanda, il che porta ad avanzare seri dubbi sulla professionalità di una redazione in cui domande scomode vengono taciute, oppure in piena sindrome da Marchese del Grillo si è deciso di fare quel che si voleva in evidente disprezzo della tutela sul diritto d’autore.

La colonnina di destra è diventata il principale modello di giornalismo in Italia.

Il comportamento dei quotidiani italiani sul web si può far risalire a diverse ragioni tra cui una legge che distorce il funzionamento della raccolta pubblicitaria sui media e il ruolo di spicco giocato da gruppi editoriali che controllano contemporaneamente media diversi tra i quali dividono pacchetti pubblicitari attraverso clausole contrattuale con gli inserzionisti. Elementi che sommati ai sussidi alla stampa regolano a grandi linee il necessario flusso economico nelle casse della stampa garantendone almeno parzialmente l’indipendenza. Dal punto di vista pubblicitario invece il web è una jungla in cui il click è l’unica cosa che conta e il nemico non è un esercito di dinosauri impantanati, ma una schiera di cucciolosi gattini con 8 milioni di click stampati sul turbante. Al momento dello sbarco sul web dunque due strade si aprivano di fronte al giornalismo italiano. E poiché la prima richiedeva di lottare sul terreno della qualità dei contenuti e della puntualità della notizia si è dunque deciso di assumere stuoli di precari sottopagati da lanciare in un’opera di rastrellamento dei fondali del web da cui riemergere con vagonate di vacuità e video stucchevoli da incastrare nel lato destra della home page, confidando nell’idiozia dell’utente medio. Inutile dire che l’operazione ha funzionato, al punto che qualcuno si deve essere chiesto perché questo modello economico non si potesse applicare anche al cartaceo. Voglio dire, se mi è permesso appropriarmi di immagini, video, spezzoni interi di blog realizzati da altri utenti e pubblicarli tra le mia pagine per generare traffico a costi prossimi allo zero estendendo pericolosamente il concetto di diritto di cronaca, perché non dovrei fare lo stesso su quel foglio di carta che mando in edicola con fatica ogni giorno e genera sempre meno introiti?
Anche questa analisi porta a due conclusioni entrambe poco rassicuranti. La raccolta di vignette può essere stata fatta davvero credendo di non avere bisogno di alcuna autorizzazione, in pratica un letale mix di scarsa professionalità, ignoranza delle leggi che governano il proprio settore e la pervasiva convinzione della correttezza delle dinamiche che governano la “raccolta delle notizie” online. Oppure chi ha ideato e realizzato l’operazione sapeva chiaramente quel che stava facendo ed ha proseguito sui suoi passi per verificare il risultato dell’esperimento, un banco di prova per capire quanto spazio di manovra ci sia per l’esportazione cartacea del modello economico utilizzato sul web.

I vignettisti stanno perdendo una grande occasione.

Passando al punto di vista dei vignettisti, entrambe le precedenti ipotesi dovrebbero far sentire una fortissima puzza di bruciato. L’appropriazione indebita del loro lavoro ha scatenato giustamente forti reazioni e un’immediata mobilitazione, a cui tuttavia non stanno seguendo azioni concrete. Non è una guerra mia (anche se in un certo senso la sento vicina visto che anche io porto in tavola i pasti col diritto d’autore su ciò che scrivo), questo lo so, e probabilmente mi è più facile parlarne in questi termini visto che non toccherebbe a me infilarmi in prima persona in un groviglio di avvocati e sentenze (in cui comunque chi lavora col diritto d’autore prima o poi finisce impelagato, anche solo per esigere i compensi che gli spettano in molti casi). Eppure questa accettazione delle finte scuse del bullo per dimostrare una superiorità morale rinunciando a ogni altra azione appare ai miei occhi un’occasione persa per far valere i propri diritti, sancire una linea di confine oltre la quale non si possa calpestare il diritto di chi lavora con le idee facendola franca. Il semplice ammonimento “Per questa volta passi, ma non farlo più” mi sembra che possa servire solo a far finire il manico del coltello in mano al Corriere creando un pericoloso precedente. Probabilmente mi trovo a pensarla così perché la prossima volta potrei esserci io (come singolo o come categoria) dalla parte dello sfruttato e la conclusione a tarallucci e vino di questa vicenda non mi gioverebbe affatto; ma a prescindere da questo resto dell’idea che offrire un giro gratis possa andare bene come strategia di marketing per un pusher, un po’ meno se il tuo obiettivo è far rispettare una regola.

Il principale quotidiano nazionale le prende dai vignettisti sul piano della comunicazione.

Se in questo articolo non ho accennato al succo della vicenda dandolo per scontato è perché il pasticciaccio brutto dell’instabook del Corriere è finito subito in pasto alla macchina comunicativa della rete. Dunque, a meno che non abbiate acceso un computer oggi per la prima volta, le probabilità che la vicenda vi sia già nota sono altissime. Se ciò è successo la bravura si deve al lavoro svolto dai vignettisti in difesa dei loro interessi. Appena le matite coinvolte si sono accorte della pubblicazione a loro insaputa delle vignette è scattata immediatamente la denuncia del fatto attraverso i loro blog personali. I post sono rimbalzati subito sui social, poi sono stati ripresi dai principali siti di informazioni sul fumetto, linkati nei forum di ogni genere, e in un paio d’ore lo scontro tra vignettisti e Corriere è diventato il principale argomento di conversazione in rete. La risposta del Corriere è stata un lungo silenzio – che luogo comune vorrebbe assordante e qualcun altro definirebbe colpevole – spezzato solamente da un poco incisivo intervento di De Bortoli che si appellava al fine benefico (scusa già smontata) e alla ristrettezza dei tempi tecnici (un’aggravante usata come scusa in pratica). Nel frattempo sul versante dei disegnatori dalla denuncia si passava allo sfottò, in un brillante corto circuito referenziale con le vicende di Charlie Hebdo che ha toccato l’apice attraverso la matita di Leo Ortolani. Per assistere alla risposta ufficiale del Corriere è stato invece necessario attendere l’edizione cartacea del quotidiano con le finte scuse del bullo che trovate nell’immagine in alto. In via non ufficiale invece ci ha pensato la responsabile marketing del Corriere con un post sui social a dimostrare quale può essere l’unico esito di una guerra tra un dinosauro impantanato e un topo in calzamaglia.

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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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3 Comments

  1. Ciò che è accaduto non mi stupisce. Dalla stampa di regime cosa ci si può aspettare se non il comportamento di un bullo?

  2. Cosa le fa pensare che non stiamo facendo nulla di concreto?

    1. Al momento in cui ho scritto questo articolo nessuno dei disegnatori che conosco e che ha commentato l’accaduto pubblicamente su internet parlava di iniziative legali e, più in generale, non ero riuscito a rintracciare nessuna informazione in questo senso, mentre alcuni dei nomi coinvolti avevano annunciato a chiare lettere tramite post, blog o articoli di non avere intenzione di portare la vicenda nelle aule di tribunale.

      La mia considerazione si basava insomma solamente sui dati disponibili in quel momento. Qualora qualcuno tra voi disegnatori coinvolti abbia deciso di intraprendere nelle sedi opportune azioni tese a far valere i propri diritti non può che avere la mia totale solidarietà.

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