Quando si parla di fumetto americano, non si può non citare Daniel Clowes e le sue opere.
Nato a Chicago, scrive e disegna fumetti dal 1986, quando venticinquenne iniziò a pubblicare Lloyd Llewellyn, serie poliziesca ambientata negli anni cinquanta. Da allora Clowes ha continuato a pubblicare opere molto interessanti centrando ogni volta o quasi il bersaglio, sviluppando sempre di più un proprio stile e una propria voce. Di questi lavori, meritano sicuramente di essere citati: Ice Heaven, Like a velvet glove cast in iron, Ghost World e Wilson ma soprattutto merita un attenzione speciale, un fumetto uscito nel 1998, piuttosto atipico nella sua produzione, di nome David Boring.

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David Boring, il protagonista della storia, è un ventenne di provincia che si è trasferito in città e cerca di vivere le sua vita. Tra una donna e l’altra, David conosce, mentre è in viaggio per andare al funerale di un amico di infanzia, Wanda, di cui si innamorerà. Lei pare ricambiarlo, ma in qualche modo è sempre sfuggente. Poi, dopo esserglisi finalmente concessa, scompare nel nulla. Proprio nella disperazione del protagonista appare il colpo di scena: uno sconosciuto spara a David, ferendolo gravemente. Da qui la storia prosegue, prendendo derive piuttosto inaspettate e facendo sorgere interrogativi(alcuni volutamente lasciati senza risposta) capaci di catturare e mantenere viva l’attenzione del lettore.

Uno dei temi principali di tutta l’opera di Clowes è l’esasperazione grottesca della vita di tutti i giorni. Spesso accade poco nelle sue storie e il mondo che viene descritto è popolato da personaggi depressi con difficoltà a stabilire relazioni sociali. Ma questa ossesione maniaco-depressiva che coinvolge i personaggi non contagia il lettore: genialmente, l’esasperazione porta al grottesco. Le storie di Clowes conquistano, prima di tutto da un punto di vista intellettuale, più che emotivo, per la straordinaria precisione psicologica con cui tratteggiano i protagonisti e la loro capacità di narrare i rapporti umani. I personaggi di Clowes sono generalmente degli sfigati, spesso ridicoli, quasi parodistici in come vivono e in ciò che fanno eppure, tutti con una loro dignità, per quanto distorta. L’autore riesce a prenderli crudelmente in giro, senza però togliere nemmeno un briciolo della loro umanità.

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David Boring, per quanto opera indiscutibilmente figlia dello stile del suo autore presenta tratti abbastanza atipici. Innanzitutto, accadono un sacco di cose: omicidi, misteri da svelare e addirittura l’immenente fine del mondo. David inoltre non è un fallito: vive insieme alla sua migliore amica in una grande città, lontano dalla provincia da cui proviene e dal controllo della madre ossessiva, lavora, ha successo con le donne. Eppure il suo male c’è, e sta dentro di lui. E’ come se fosse sempre in bilico tra il non provare interesse per nulla, e il vivere la vita con trasporto. Non smette di cercare ciò che gli interessa, sia esso una donna di cui è innamorato-ossessionato, il padre che lo ha abbandonato da piccolo o che altro, però il mondo gli mette davanti ostacoli e forse a lui le cose non sempre interessano tanto da superarli. Così finisce per subire le vicende, senza farne un dramma trovando sempre un modo per andare avanti. E’ una specie di giovane Holden, ancora meno coinvolto.

Lo stile di disegno scelto da Clowes per David Boring, è statico e lontano da quello caricaturale di altre sue opere. La scelta si rivela felice. L’opera è esemplare per quanto riguarda la resa psicologica ed estetica dei personaggi, e piacevolmente patinato, legato a un immaginario televisivo da soap opera. La gabbia delle vignette è classica e regolare e contribuisce a rallentare il ritmo, già compassato, del racconto.

David Boring non è una lettura facilissima. Clowes in generale, non è un autore facile. Richiede, specialmente per chi non lo ha mai letto prima, una certa quantità di attenzione per poter cogliere l’ ironia e le sfumature emotive caratteristiche, che possono facilmente sfuggire ad una lettura più superficiale. Ma è un sacrificio che vale la pena di fare.



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