Passano gli anni (dall’ultimo suo disco solista Keys to the World oramai è trascorso un’intero decennop), ma il carattere di Richard Ashcroft rimane sempre spigoloso ed ineffabile. Dire che l’ex-leader dei Verve sia un personaggio particolarmente simpatico non è possibile, anche se, a conoscerlo meglio, pare sia disponibile ad aprirsi a ragionamenti sui massimi sistemi e la percezione falsata della realtà. A questo proposito, per il suo nuovo album, ha dichiarato di sentirsi un “moderno trovatore” che mette sul tavolo riflessioni sulla società “malata, nichilista e votata alla guerra” in cui viviamo.

Ma sarà vero? Proviamo ad entrare nel dettaglio di questo disco che è stato realizzato con la collaborazione dell’arrangiatore di fiducia di Ashcroft, Wil Malone, e con l’apporto di Mirwais già arrangiatore di Madonna per American Life. Se lo si considera nel suo insieme, These People non è un lavoro del tutto riuscito, perché accanto a ballad di raffinata eleganza e melodicamente suggestive – perfettamente in linea con il sound caratteristico cui ci aveva abituato fin dai tempi dei Verve – Ashcroft commette l’errore di proporci delle tracce catalogabili alla voce “very easy-pop” con la pretesa di arrangiarle elettronicamente e svecchiarle nel sound.

Il risultato è mediocre, soprattutto nel brano d’apertura quel Out fo my body di cui peraltro Aschroft si fa vanto nelle interviste, mentre risultano sono appena passabili Ain’t the future so bright e Song of experience, nonostante un buon uso di sovrapposizioni vocali, tipiche del cantato di Ashcroft. Gli arrangiamenti orchestrali di Malone danno carattere all’album, ma in alcuni casi si ritrovano sporcati in modo forse eccessivo da suoni di sintetizzatori e drum-machine che fanno a pugni col contesto e creano un effetto deja-vu e francamente sorpassato.

Di tutt’altra caratura sono ballad come Picture of you o Black Lines che ci riportano a quel particolare timbro vocale che ha reso Ashcroft inconfondibile nel mondo della pop music anni ’90: belle canzoni impreziosite da arrangiamenti d’archi piacevoli e rilassanti, che ci fanno apprezzare ancor di più le sonorità vagamente country-blues di un gioiellino come Everybody needs somebody to hurt o di quello che ritengo il brano migliore di tutto l’album, anche nei test,i e che non a caso gli dà il titolo, These people: “Questa gente è stata mandata per metterci alla prova, per incasinarci la mente, ma noi, baby, siamo più forti, so che possiamo sopravvivere”. A molti verrà in mente Urban Hymns dei migliori Verve di sempre… e, credetemi, non c’è niente di che vergognarsi: si tratta pur sempre di una delle più belle colonne sonore di fine secolo che ci ha accompagnato in momenti di vita senz’altro migliori e più speranzosi degli attuali.

Insomma, Ashcroft ci piace quando rifà sé stesso e ci delizia con archi e refrain suggestivi. Dunque, se volete davvero bene a Richard Ashcroft fategli capire che è proprio quello il sound che vogliamo sentire da lui e che le brit-song danzerecce ed elettro-pop le possiamo lasciare Madonna e ai suoi discepoli modaioli.

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