Chi si cimenta in una storia a fumetti ispirata all’opera di H. P. Lovecraft si trova di fronte due grosse sfide. La prima è quella di essere all’altezza dei grandissimi nomi che lo hanno preceduto: gente del calibro di Alberto Breccia con I miti di Cthulhu, o di Alan Moore con Providence (disegnato da Jacen Borrow), tanto per limitarci ai due dei casi più altisonanti. La seconda è invece legata alla natura stessa dell’orrore lovecraftiano, le cui creature sono spesso per definizione impossibili da descrivere o da immaginare, tanto che trovarsi al loro cospetto può portare alla follia. Se la scrittura può limitarsi ad alludere, il disegno deve scegliere quanto e cosa mostrare, ed è molto difficile centrare l’obiettivo di rappresentare un orrore assoluto.

Hanno quindi avuto un notevole coraggio gli autori di Nyarlathotep, praticamente due sconosciuti: non ci risultano opere precedenti del disegnatore Julien Noirel, mentre a nome dello sceneggiatore Rotomago (evidentemente uno pseudonimo: è un antico nome della città di Rouen) c’è solo un altro fumetto, U-29, inedito in Italia, adattamento del racconto lovecraftiano Il tempio. Coraggio che appare ancora più consistente se si tiene conto che hanno scelto un’opera particolarmente difficile da adattare.

Nyarlathotep interni

Infatti, pur essendo diventato un elemento fondamentale del corpo della mitologia lovecraftiana, di per sé il racconto offre davvero pochi appigli. Non lo si può neppure definire un racconto in senso stretto: si tratta semmai di una specie di poema in prosa, una visione onirica che, come lo stesso Lovecraft rivela nei suoi diari, è la trascrizione abbastanza fedele di un autentico sogno dello scrittore. Poche brevi, inquietanti scene che descrivono un misterioso personaggio venuto dall’Egitto, che gira per il mondo come imbonitore e illusionista; la sua venuta annuncia la fine dell’umanità, messa da parte dall’avvento di creature aliene, incomprensibili e potentissime. Qui ritroviamo, in forma pura e concentrata, l’essenza dell’orrore lovecraftiano: un caos strisciante che domina l’Universo, al cui cospetto tutte le creazioni dell’umanità non sono che parentesi provvisorie e prive di sostanza.

In seguito Lovecraft tornò più volte a Nyarlathotep, raccontandone nuovamente la storia in una breve poesia della raccolta Funghi di Yuggoth (riportata, con illustrazioni, anche alla fine di questo fumetto), e citandolo in altri quattro racconti. Vari continuatori e discepoli trasformarono il personaggio in una divinità dagli infiniti aspetti, che trova tuttora a cittadinanza nella narrativa e paranarrativa horror, dai romanzi della Lavanderia di Charles Stross fino a Masks of Nyarlathotep, celebrata avventura per il gioco di ruolo Call of Cthulhu. Il testo originale, però, rimane scarno e inafferrabile.

Nyarlathotep interni 2

Dove la maggior parte degli autori avrebbe probabilmente usato il racconto lovecraftiano solo come spunto in cui inglobare elementi posteriori per costruire una trama più elaborata, Rotomago sceglie invece una strada rigorosamente filologica, rinunciando ad aggiungere alcunché al testo originale, che il fumetto riporta integralmente, spezzettandolo in una serie di didascalie (il copyright, che risale al 1920, è scaduto; nell’edizione italiana di Nicola Pesce Editore la traduzione è di Andrea Plazzi). L’opera dello sceneggiatore, di conseguenza, si limita a concepire immagini a commento del testo, quasi sempre delle splash page. Ne risulta una sequenza di quadri sottilmente inquietanti , dai colori cupi e malsani, inquadrati da prospettive innaturali.

La mia impressione è che la parte più efficace del fumetto sia la prima, quella in cui il mondo anticipa ciò che sta per avvenire, ma non ne è ancora pienamente consapevole. E qui che i disegni di Noirel danno il loro meglio, soffermandosi su dettagli che si caricano di misteriosi significati e su personaggi sconosciuti coinvolti in occupazioni che sembrano già aver perso il loro senso. A mano a mano che la follia si impadronisce del mondo il risultato impressione meno: il repertorio di visioni assurde e spaventose, per quanto ben realizzato, non si distacca significativamente da ciò che altri autori hanno prodotto in passato.

Nel complesso, comunque, credo che Nyarlathotep si possa definire un tentativo riuscito di riportare nel fumetto il Lovecraft delle origini, ripulendolo dalle stratificazioni di cui lo ha ricoperto l’immaginario moderno. Un’opera che potrà lasciare freddo il lettore in cerca di brividi tradizionali, ma che colpirà adeguatamente chi nella letteratura horror cerca il lato intellettuale e metafisico.

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Marco Passarello

Ingegnere non praticante, lettore (e occasionalmente scrittore) di fantascienza, noto anche con lo pseudonimo di Vanamonde (rubato ad Arthur C. Clarke). Per vivere esercita la dubbia professione del giornalista. Scrive su Nova 24, Pagina 99 e varie testate di settore, Ha fatto parte delle redazioni di Computer Idea e Computer Bild. Blog: (vanamonde.net/blog).

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