Liev Schreiber giganteggia, dentro e fuor di metafora, con partecipazione appassionata alla storia di Chuck Wepner, il pugile che conquistò fama – ma non denaro – per due motivi: resistette per quindici round sul ring contro Muhammad Ali, campione mondiale dei pesi massimi, e ispirò Sylvester Stallone per la storia di Rocky.

Nelle doppie vesti di interprete e produttore, Schreiber dà il massimo per infondere vita e credibilità a un personaggio di cui si è chiaramente innamorato.

Attore sensibile e versatile, ha accompagnato con orgoglio la pellicola alla Mostra di Venezia, presentandola fuori concorso, insieme alla compagna di set e di vita Naomi Watts che in The Bleeder interpreta l’ultima moglie di Wepner, Linda.

The Bleeder, o il sanguinolento, è il soprannome che Wepner odiò sempre. E fortunatamente il film non si dilunga a indagarne le cause facendo cronache sportive di lunghi incontri di pigliato. Anche lo storico incontro-scontro con Ali è raccontato, non senza ironia, con utili sforbiciate dalla voce fuori campo del protagonista che dà all’evento un sapore giustamente cronachistico, non noioso.

Ma la regia di Philippe Falardeau (Monsieur Lazhar, nomination all’Oscar come miglior film straniero) non serve con efficacia le intenzioni di Schreiber. Lo stile del film, terribilmente Seventies, è sovreccitato, scomposto, non sempre capace di mettere a fuoco la storia.

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Nel tentativo di mixare missione documentarista e dramma umano, realtà e fiction, Falardeau non approda mai a una sintesi equilibrata, solo a un’incertezza stilistica che toglie a The Bleeder sia carica empatica sia scioltezza narrativa. La pellicola, spesso, arranca là dove tenta di essere introspettiva, mostra ciò che vorrebbe esplorare, stenta a trovare lo slancio anche quando prova a rendere simpatico un protagonista il cui ritratto, sotto più punti di vista, è debole e sfocato: raramente Wepner è qualcosa di diverso da una simpatica canaglia, o da un provinciale ingenuo.

Restano, di nuovo, le interpretazioni. Liev Schreiber sorprende sia in mimetismo che in fisicità, esplosivo anche nel giocare per sottrazione, dimostrandosi ancora una volta attore di prima statura e di acute risorse interpretative. E, pur in un ruolo di spalla, Naomi Watts brilla sullo schermo a ogni inquadratura, anche nella luce rossastra dei locali notturni in cui Chuck e Linda si conoscono. Bellissima e vitale, la Watts vibra senza giganteggiare, non si annulla nel mimetismo, ma riesce a darci una sintesi perfetta di tecnica e cuore.

Difficilmente, pare, Schreiber e la Watts arriveranno alla nomination per i prossimi Oscar. Ed è un vero peccato.



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