Serie tv di produzione spagnola, La Casa di Carta (La Casa de Papel, Alex Pina, 2017) è recentemente sbarcata su Netflix conquistando il cuore degli orfani dell’action drama alla Prison Break – dove al dramma della detenzione facevano eco piani machiavellici e situazioni critiche al limite del ridicolo – e di quelli che all’espediente del cliffhanger sopperiscono con il binge watching sfrenato. La Casa di Carta racconta le vicende di otto criminali di professione che, reclutati da un geniale e losco figuro chiamato “il Professore” (Alvaro Morte), prendono d’assalto la zecca di Stato barricandovisi all’interno e tenendo in ostaggio un grosso numero di civili.

Accomunati da maschere raffiguranti l’artista spagnolo Dalì, i criminali si distingueranno per i bizzarri nomi in codice e l’unicità delle loro relazioni con il potere e la pressione, ma soprattutto per l’inclinazione a prestare il fianco a debolezze personali mentre tenteranno, ostacolati dalle forze di polizia e dal tenace ispettore Raquel Murillo (Itziar Ituno), di mettere in pratica un diabolico piano d’evasione.

Diversamente dalla serie spagnola, articolata in due stagioni composte relativamente da 9 e 6 episodi di impegnativi 70 minuti, la prima stagione italiana, ulteriormente frazionata, ne possiede 13 della durata tra i 40 e i 55 minuti (ripartizione che, probabilmente, interesserà anche la seconda stagione), scelta che tutto sommato giova alla fruizione, date le dinamiche piuttosto limitate e ripetitive del plot. Nonostante il buon ritmo e le simpatiche gag, La Casa di Carta si distingue soprattutto per la particolare – ed estesa a tutti i personaggi – coazione a fallire a causa della particolare sensibilità, più che alla “carta” frusciante, alla carne: quella di corpi erotizzanti e irresistibili, ma anche contraddistinta da legami di sangue (familiari) o marchiata da patti di sangue (amicizie di vecchia data) o, infine, segnata dalla malattia.

Se il denaro e il sogno di una vita migliore rappresentano le principali ragioni dell’agire, la carne (propria e altrui) è ciò che fa dei protagonisti criminali tanto determinati quanto uomini completamente inaffidabili. E ciò non vale solo per gli otto rapinatori, ma anche per l’ispettore capo, una donna sagace ma anche sanguigna e impulsiva. In linea generale i personaggi sono abbastanza macchiettistici e i loro profili psicologici incoerenti al limite della schizofrenia, tuttavia ciò va a vantaggio della definizione di un gruppo variegato e una coralità equilibrata – anche se la voce narrante, quella di Tokyo (Ursula Corberó), conferisce a tratti un taglio soggettivo e parziale. Fuori dalla mischia, la partita a scacchi disputata a distanza tra il Professore e l’ispettore riporta alla memoria – e paradossalmente meglio del live action dedicatogli – la battaglia strategica di Light ed Elle in Death Note. Anche se qui, a lasciarci le penne, purtroppo saranno in pochi.

Nonostante gli eccessivi intermezzi romantici e la lenta ma inesorabile deriva narrativa, La Casa di Carta resta un gradevole prodotto d’intrattenimento che non farà rimpiangere il tempo perso… ma nemmeno correre a recuperare i restanti episodi in lingua originale che, qui da noi, saranno distribuiti sulla piattaforma ad Aprile.



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