Ma loro, dico loro, chi sono? si chiedeva Renato Zero coinvolto in un gioco erotico tra i più celebri della musica leggera italiana. Anche Paolo Sorrentino si occupa parecchio di sesso nell’indagare i loro dell’Italia d’inizio millennio, identificati semplicisticamente da uno dei personaggi della pellicola come quelli che contano. Re farsesco della categoria è Lui, uno così iconico che rimane senza nome per metà film e si prende le briga di ricoprire il ruolo di protagonista della sua stessa biografia solo nella parte finale del film.

Loro 1 partiva dai peggiori presupposti: un film nebuloso, fuori tempo massimo sin dal suo annuncio (invece al solito Sorrentino si è rivelato profetico) diviso in due all’ultimo, giunto in sala senza nemmeno un minutaggio dichiarato e con un’accozzaglia fastidiosa di font in trailer che sembrano messi insieme dagli scarti della Grande Bellezza. Pareva l’inizio di una catastrofe, invece erano una confusione calcolata; quella del serpente che cambia pelle e lo fa silenziosamente, per passare inosservato nel momento di massima debolezza.

Prima ancora che riuscito o bello, Loro 1 è un film più che sorprendente, spiazzante. Paolo Sorrentino lo sa e ha fatto di tutto per nascondere le carte di questa partita, per indurci a credere di sapere cosa volesse dirci su Berlusconi e con che genere di pellicola. L’ultimo regista italiano premio Oscar dimostra un’enorme consapevolezza del suo percorso e delle aspettative del suo pubblico, oltre che al solito, inspiegabile feticismo per gli animali in CGI estemporanei che popolano il suo cinema più recente. L’apertura di Loro 1 sembra voler consapevolmente farci vedere il baratro, con una pecorella che se ne sta sull’uscio di Villa Berlusconi in Sardegna, in una scena di una pretenziosità immaginabile per chi ha seguito Sorrentino anche nel periodo di alti e bassi post Il Divo, il suo ultimo capolavoro.

Sorrentino sta solo giocando: sa che se vuole sopravvivere deve cambiare pelle, che essere il Fellini 2.0 ad uso e consumo degli stranieri non può funzionare ancora a lungo, nemmeno con la fotografia di Luca Bigazzi. Dopo essersi concesso quell’ultima scena, diventa quasi irriconoscibile, cominciando a dirigere un film che pare l’esordio danaroso e iperconsapevole di un regista trentenne. Montaggi veloci, ironia sferzante, dimensione meta e sfondamento della quarta parete: come altro si potrebbe definire un film che porta a paragonare il neoclassico Sorrentino ai montaggi di Edgar Wright e alle atmosfere di Spring Breaker, se non spiazzante?

La prima sorpresa è che il protagonista de facto del film è un Riccardo Scamarcio forse nella sua interpretazione migliore di sempre, la più gretta e animale. Il film non a caso s’intitola Loro, perché è un ritratto dell’Italia che guarda a Berlusconi come a un punto di riferimento, l’unico possibile, anche oltre la corte dei potenti che popola la sua corte o ne aspetta trepidante una telefonata. Il personaggio di Scamarcio scambia le prestazioni sessuali di un codazzo di amiche e arriviste per ottenere appalti e favori, ma la dimensione provinciale e lurida di Taranto gli sta stretta: la sua aspirazione non è nobilitarsi (anzi, va orgoglioso dei suoi istinti animali e della sua volgarità) ma di espandere il suo giro di cocaina e escort nella Roma che conta, fino ad arrivare a Lui.

È Berlusconi stesso a suggerirgli questo piano: non l’uomo momentaneamente irreperibile, prepensionato da una maggioranza risicata della sinistra e da qualche nube giudiziaria e coniugale che ne riduce le manie di protagonismo, bensì il tatuaggio del suo volto/maschera, che lo osserva sornione dal coccige della prostituta che si sta scopando. L’Italia di Loro sta tutta qui: nell’abbassamento di svariati livelli della qualità del suo tessuto umano e sociale, nell’arrendersi al pop e popolare perché con il pensionamento del Divo se ne va una dimensione mentale e intellettuale, algida e calcolatrice, ma statista, lucida, implacabile.
L’Italia di cui Berlusconi è la stella appannata, questo livello – nel bene e nel male – non riesce più a toccarlo e così il registro del regista stesso si adatta. Via le raffinatezze e i lunghi, solenni movimenti di macchina, largo a montaggi veloci, tocco leggero, estetica quasi video clippara e raccordi frammentari, come i ricordi di chi non sente la primavera nell’aria, perché ha le narici tappate dalla cocaina.

Gli elementi sono gli stessi della Grande Bellezza: una Roma decadente e popolata da figure enigmatiche e potenti, una carrellata infinita di sgallettate seminude, feste e droga, pettegolezzi su questo e quel potente. La distanza però è enorme e non solo a livello stilistico. Il Sorrentino che raccontava quella Roma aveva con lei un rapporto intimo, si doleva della sua caduta, ne disprezzava la volgarità. Il Sorrentino che ritrae questa Roma e questa Italia ha lo sguardo divertito ma distaccato dello straniero e mostra senza giudicare mai i suoi personaggi. Figurine di potere più o meno reale a cui Sorrentino a sorpresa concede una certa umanità, come se il loro essere grette e rozze le rendesse a tratti genuine. Non c’è più la capacità sovraumana di calcolo politico del Divo, il distacco intellettuale che rende tragiche le conseguenze dell’amore. Questi personaggi sono incapaci di resistere alle loro passioni, perciò amano e scopano e il loro sesso, per quando opportunità e privo di fantasia o feticismi, è sorprendentemente ricco di trasporto e sentimento.

Lo stesso Sergio è senza scrupoli, ma anche senza speranza, irrimediabilmente provinciale nel suo essere trasparente per desideri e aspirazioni. Al suo fianco c’è la sua amante, una che si divide tra le sue spiccate doti di essere brava a fare la troia e una fedeltà carnale al suo uomo quasi commovente, che la ricambia considerando i figli di lei come suoi. Figli amati ma nutriti a Sofficini, scaldati in soli trenta secondi da una madre multitasking che nel mentre riesce anche a tirarsi tre strisce di cocaina.
Di questa alternanza tra sincerità disarmante dei personaggi e i loro magheggi volgari e farseschi il film fa tesoro: dalla sua ha una sceneggiatura esemplare, capace di continue uscite fulminanti, in un crescendo autenticamente comico che strappa risate, persino applausi in sala. Che Sorrentino fosse tra i pochi in Italia capaci di girare scene e scrivere battute in grado di entrare nell’immaginario collettivo (vedi Jep Gambardella) lo sapevamo già. Un Sorrentino che si concede di essere leggero, di ridere del suo stesso cinema anche a costo di abbassare un po’ l’asticella: più sorprendente di così cosa ci può essere?

Forse solo il fatto che di tutti i tagli che Loro poteva scegliere per introdurre il suo protagonista, venga scelto quello romantico. Silvio Berlusconi seduce calciatori e occhieggia alla carne giovane delle vicine di yacht, ma l’unica cosa che ne scalfisce il mascherone di compiaciuta vanità è Veronica Lario, la moglie ferita nell’orgoglio, decisa a punirlo con un atteggiamento passivo aggressivo. È lei – che sognava di sposare un Agnelli e si ritrova un personaggio manipolatore e farsesco come marito – l’ultimo residuo dell’Italia alta e letteraria, lei che fa giocare i bambini con passatempi che lui bolla come “noiosi come programmi di Rai3”, lei che legge Saramago per compiacersi di come attacchi il marito, che a sua volta si bea al pensiero che persino un premio Nobel gli presti attenzione.
Loro è l’ultimo grande momento d’amore di un matrimonio ormai compromesso, che perseguita Berlusconi uomo del fare al pari della politica che lo allontana e del calciatore che vorrebbe preferire la Juve al Milan.

L’operazione è furbissima: trasfigurando la figura storica di Berlusconi in un personaggio farsesco, si ha tutto lo spazio di manovra per inventare, giocando sull’umanità del personaggio senza doverne per forza dare un giudizio. Scegliendo di presentarlo come maschera – accentuandone il make up e il trucco grottesco – Sorrentino si mette al riparo dai ricorrenti eccessi recitativi di Toni Servillo, che non può materialmente esagerare un personaggio che è già una maschera esagerata dell’uomo di cui si racconta la storia. Così l’attore italiano vivente più famoso al mondo ha modo di strafare, salvo poi infilare quei monologhi velenosi che hanno segnato i migliori passaggi de La Grande Bellezza.

Così Berlusconi può essere davvero tutto: il marito che vuole riconquistare la moglie con disarmante sentimentalità, l’uomo che la tiene prigioniera in una vita di amanti subalterne e controllo manipolatorio, il potente pronto ad annichilire con poche, misurate parole chi tenta di tramare alle sue spalle, lo statista che cita con disprezzo la comunista Natalia Ginzburg e conosce i nomi delle piante del giardino in latino, capace d’insegnare al nipote il relativismo morale più estremo, ma anche il personaggio speculare a Sergio, mosso dalla stessa superficialità di pensieri terra terra e dallo stesso amore genuino per la sua donna, che semplicemente gioca in un’altra lega. C’è un residuato di Jep Gambardella in come Silvio tenti di replicare la sua prima infatuazione, da cui Veronica è ossessionata perché sa di essere un rimpiazzo, ma è simile al poco del Sorrentino felliniano sopravvissuto a questa metamorfosi. Per il momento il registro alto rimane altrove.

Loro 1, il suo Silvio Berlusconi e il suo regista rimangono nell’ipercontemporaneo, sfoderando ritmo, ironia e leggerezza. Questo ultimo Sorrentino è un film incredibilmente accessibile, non estraneo al concetto dell’intrattenimento. Questa linea stilistica però ha anche i suoi difetti: Loro 1 è un film che colpisce ma senza mai incidere, una sorta di pilota brillante ma un po’ superficiale del film vero e proprio che forse sarà Loro 2, un prequel che si limita a introdurre la vera sostanza, il contenuto, il senso.
Paolo Sorrentino non ha ancora salvato sé stesso, per ora ha solo scelto di cambiare pelle, di percorrere nuove strade. Scopriremo con Loro 2 e successivi dove lo condurrà questa decisione. Il cambiamento però non è mai un’operazione da poco e a Sorrentino bisogna riconoscere l’indubbio merito di essersi saputo trasformare, contro ogni pronostico, appena prima che la somma inconscia del totale di cazzate che ci ha propinato nel mezzo di vere perle ne minasse irrevocabilmente la credibilità.

Le foto promozionali del film sono di Gianni Fiorito. Questa recensione è apparsa in origine sul blog di Elisa: Gerundiopresente



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