Watchmen, l’iconica serie concepita da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons, ha da oggi un nuovo adattamento e, senza girarci troppo intorno, iniziamo subito con il dire che Lindelof ci ha regalato un’ora di grande televisione per quella che si prospetta una serie che lascerà il segno per gli anni a venire.

Damon Lindelof aveva però inizialmente declinato più di una volta l’offerta di occuparsi della riduzione televisiva di Watchmen, graphic novel che per altro – e forse proprio per questo – costituisce un elemento fondante del suo modo di narrare. L’autore non ha mai fatto mistero di aver scritto Lost sotto l’influenza pregressa del lavoro di Moore e di aver concepito il personaggio di Desmond Hume avendo in mente Dr. Manhattan. Avvicinarsi a un’opera così significativa per la propria formazione e così complessa, senza neanche il beneplacito di Moore, non era sembrata una strada percorribile finché lo showrunner non si è imbattuto nel saggio The  Case for Reparation di Ta-Nehisi Coates che a sua volta lo ha spinto a leggere The Burning di Tim Maddigan. Entrambi i lavori parlano della condizione della comunità afroamericana degli Stati Uniti anche se il libro di Maddigan si concentra sui Tulsa riots avvenuti nel 1921. Ma andiamo con ordine.

Tra il 31 gennaio e il primo giugno del 1921 a Tulsa nell’Oklaoma si verificò uno degli episodi di violenza razziale tra i più gravi, brutali e sanguinosi avvenuti negli Stati Uniti. L’innesco per i drammatici disordini fu l’arresto di un giovane di colore accusato di violenza nei confronti di un’adolescente bianca, a seguito dell’arresto si sparse rapidamente la voce di un imminente linciaggio del ragazzo e, sulla scorta di questo timore, un gruppo di neri armati si radunò davanti alla stazione di polizia dove però si era ritrovata nel frattempo una folla di bianchi altrettanto armati. Furono esplosi alcuni colpi e da lì l’escalation di violenza portò alla distruzione dell’intero e florido quartiere di Greenwood popolato dalla comunità africana che venne decimata.

Più che scontri si trattò infatti di un vero e proprio attacco contro la popolazione di colore condotto anche per via aerea. 10mila afroamericani rimasero senza un tetto, a oggi si stima siano morte 300 persone, mentre i danni riportati si valuta ammontino a 30 milioni di dollari.
Nonostante la gravità i fatti di Tulsa sono sconosciuti ai più, sia bianchi che neri, perché omessi dai libri di Storia: solo a partire dal 1996 si è iniziato a far luce su ciò che avvenne quella notte fino ad arrivare al 2001, anno in cui nella relazione finale la commissione d’inchiesta incaricata ha raccomandato un programma di riparazione per i sopravvissuti e i loro discendenti.

Questa storia ha colpito molto Lindelof così quando HBO gli propone per la terza volta di occuparsi dell’adattamento di Watchmen l’autore accetta e, riflettendo su come aggiornare e adattare le premesse della storia, arriva alla conclusione che la sua trasposizione non può prescindere dalla tematica razziale e i fatti di Tulsa finiscono per essere rappresentati nel cold open del primo episodio.

watchmen

Watchmen è stato già trasposto al cinema da Zack Snyder che si è cimentato nell’impresa, riuscita solo in parte, di condensare in un film una narrazione gravida di eventi e personaggi, strutturata su 12 albi. Quando Lindelof accetta la proposta di HBO sente quindi di non poter seguire la strada di Snyder, ma al tempo stesso di non essere interessato a una riproposizione pedissequa della controparte cartacea che avrebbe comportato l’essere una “cover band” dell’originale. L’idea di Lindelof è quella di un remix: non propriamente un sequel, anche se i fatti narrati dalla serie si collocano a distanza di 34 anni da quelli del fumetto, mentre alcuni aspetti potrebbero funzionare da prequel, e contestualmente non si può parlare di un remake. Il Watchmen di Lindelof è fedele nello spirito, ma originale nell’adattamento, si fonda sul lavoro di Moore, ma è soprattutto una serie di Lindelof. Nelle parole dell’autore:

[…] there are characters from the original Watchmen. And more importantly, we inherited a world from the original Watchmen that is in continuity with this world. Everything that happened in those 12 issues, happened. We’re not erasing or changing any of it […] I feel like this is a continuation of, and in conversation with, the original Watchmen. Here’s another instance where I want to punch myself in the face: I called this thing a remix, because it doesn’t feel like a sequel to me. But it does by the traditional rules of a sequel, in that this chronologically follows the original. But it’s also kind of a prequel, because this story starts in 1921, which predates any of the events of the comic.

Lindelof ha voluto anche spiegare la sua posizione pubblicando sul suo account Instagram una lettera aperta di cinque pagine che potete leggere qui.

Adesso che abbiamo il preciso contesto che ha portato alla realizzazione della serie HBO c’è da valutare il proverbiale elefante nella stanza. Lindelof, per quanto possa documentarsi, essere vicino alla comunità nera e supportare le loro rivendicazioni, resta un bianco borghese che non vivrà mai – letteralmente – sulla propria pelle il razzismo e si potrebbe obiettare che quella delle persone afroamericane non è la sua storia da raccontare. L’indubbia posizione di privilegio lo porta però a essere nella condizione di poter puntare il riflettore sulle tensioni e le violenze razziali che a tutt’oggi percorrono gli Stati Uniti e, nel mentre, circondarsi di una writing room multietnica e di un cast con una forte presenza di attori neri, a iniziare dalla coppia centrale di protagonisti in cui spicca una strepitosa Regina King (l’attrice ha un curriculum nutrito, ha già lavorato con Lindelof in The Leftovers, ma questa parentesi è tutta per consigliarvi di ammirarla in quella straordinaria serie che è Southland).

E quindi di cosa parla nello specifico questo Watchmen?

Non siamo più nella New York del 1985 pervasa dal timore di un olocausto nucleare, ma la storia è ambientata 34 anni dopo a Tulsa. Il presidente degli USA è Robert Redford le cui politiche hanno garantito risarcimenti per la popolazione afroamericana e le minoranze vittime di razzismo.  Nella serie non sono solo i supereroi a indossare una maschera, ma anche i poliziotti per evitare di essere – loro stessi o le loro famiglie – bersaglio di ritorsioni. Qui si intravede una delle prime complicazioni: se un supereroe/vigilante desta preoccupazioni per via della propria identità segreta che gli evita di dover rendere conto alla comunità e alla legge, ponendosi di fatto al di fuori di entrambe, è eticamente accettabile che anche le forze dell’ordine non siano riconoscibili dagli stessi cittadini? Ma prima ancora di affrontare questo tema la minaccia che emerge fin da subito nel pilot è la riorganizzazione di un movimento di suprematisti bianchi. Il nazifascismo è di nuovo alle porte.

L’esecuzione del pilot è impeccabile per ritmo, azione e sceneggiatura valorizzata dalla regia precisissima e inappuntabile di Nicole Kassel. La colonna sonora curata da Trent Reznor e Atticus Ross è il tassello finale che compone un quadro di grande impatto visivo. Ed è solo il primo episodio.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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