La direzione artistica di Waking è sicuramente l’aspetto che più è riuscito a suscitare curiosità, d’altronde la premessa creativa del suo director, Jason Oda, era chiara sin dalla sua presentazione: giocare e meditare, con l’intento di catapultare nel gioco frazioni della nostra coscienza.

L’aspetto metanarrativo è ciò definisce per buona parte l’approccio narrativo del gioco, tuttavia questo subentra dopo l’ovvia introduzione: una scelta registica di stampo cinematografico, un campo largo che ci mostra distesi e incoscienti su di un letto ospedaliero. Siamo in coma. Comincia quindi la discesa nel nostro etere mentale, forse nel nostro inconscio, in quella che Freud definiva la parte sommersa dell’iceberg, alla ricerca della luce o della bieca oscurità.

Il personaggio che andremo a interpretare sarà anonimo, senza volto. Una scelta stilistica ovvia e azzeccata: un volto definito corrisponde a una generalità altrettanto definita. Un volto indefinito corrisponde a generalità altrettanto indefinite, potenzialmente di chiunque. Una metafora ideale capace di suffragare efficacemente l’aspetto metanarrativo di cui sopra. Noi stessi dobbiamo idealizzarci come protagonisti, non solo come giocatori. Nonostante questa scelta – neppure così anomala – la sostanza ludica è presente e pulsante. Non crediate di avere a che fare con uno di quei soliti esercizi di stile privi di logica e sostanza. Waking è un videogioco che cerca semplicemente di sfruttare idee e tecniche convenzionali per proporre un’esperienza, al contrario, non convenzionale.

Una premessa semplice, forse banale: inseguire il risveglio o abbracciare il sonno? L’insieme di simbolismi e archetipi correlati non fanno altro che parafrasare uno dei dualismi più ricorrenti della cultura umana: vita e morte. Inseguire il risveglio nonché destarsi da quello che Ippocrate definiva “sonno letargico”, o accettare lo stato di sonno scegliendo di morire.

Una volta preso possesso di questi concetti comprendiamo definitivamente la logica concettuale di Oda. Non dovremo infatti seguire percorsi narrativi da lui voluti, ma dovremo crearne di nostri. Sarà la nostra interiorità e il nostro rapporto con l’inconscio a definire la nostra direzione nel gioco. Il developer si limita a definire l’insieme di regole, tuttavia l’applicazione di tali regole resta una facoltà riservata strettamente giocatore. Waking è quindi un’esperienza personale fatta di sensi e ricordi.

Parlando invece di mondi di gioco, va immediatamente evidenziata la natura casuale dell’ambiente. I piani astratti presenti in Waking sono riprodotti seguendo una logica procedurale. Questo, ovviamente, non sottintende che procederemo nel nostro percorso in maniera imprevedibile, ma che i suoi contenuti così come la loro disposizione variano secondo il volere di un algoritmo. Restando sempre in tema ambiente, trovo doveroso cercare di decostruirlo sul piano estetico e stilistico. Tenendo sempre bene a mente la natura dicotomica del gioco, parte dei suoi scenari appariranno perlopiù in chiave fantastica, a tratti danteschi; ma troveremo anche imponenti dungeon, così come scenari completamente antitetici a quelli finora elencati. Ad arricchirli ulteriormente ci penseranno svariati mob con i quali dovremo scontrarci: da costrutti volanti dalle geometrie mythpunk, a esseri bizzarri vagamente luciferini. Al netto di ciò va specificato quanto detto da Oda in merito ad alcuni richiami estetici: Waking non tenta, in nessun modo, di parafrasare e/o citare alcun culto o religione. Il perché di dichiarazioni simili è presto detto. Il gioco presenta in più momenti, elementi e individui “apparentemente” riconducibili a mitologemi cristiani. Angeli e demoni in primis. Tuttavia alcune digressioni proprio negli aspetti di questi, confermerebbero quanto detto da Oda. O semplicemente è un gran paraculo.

La nostra esperienza di gioco sarà accompagnata da frasi dal sentore solenne, che compariranno di tanto in tanto al centro dello schermo. Queste invitano il giocatore a meditare e ponderare sulle scelte ludiche da intraprendere; scelte che si semplificheranno negli obiettivi sopracitati: scegliere la vita o la morte.

Parliamo adesso di pura sostanza ludica, il gameplay. Seppur all’apparenza sembri un titolo art house, Waking è in realtà molto più dinamico di quanto sembri. In sostanza è un action adventure con componenti provenienti da ogni coordinata videoludica. I combattimenti si alternano in due fasi decisamente complementari. Nella prima fase viene messa bisogna concentrarsi sulla telecinesi con la quale raccoglieremo oggetti sparsi per l’ambiente. Questi potranno essere sovraccaricati di energia prima di essere scagliati e quindi poter arrecare un maggior danno. Alcuni png potranno essere sconfitti semplicemente ricorrendo alla telecinesi, altri invece, richiederanno l’innesco di una seconda routine di attacchi, quelli corpo a corpo. Il melee costituisce la seconda fase di combattimento, nonché un’altra fondamentale componente di gioco che, contrariamente alla telecinesi, va utilizzata col contagocce poiché basata sul consumo di “neuroni”, un bene cumulabile che assorbiremo da alcuni oggetti di supporto o semplicemente dal drop dei png che affronteremo.

Dalle dinamiche di gameplay, a mio avviso discrete per una produzione indipendente, passiamo alla componente audiovisiva. In questo contesto è possibile constatare i limiti tecnici normalmente riservati alle produzioni indipendenti: un budget non particolarmente adeguato o semplici limiti di know how. Partendo da una fisica povera e da un comparto grafico spesso afflitto da problemi di varia natura – numerosi sono stati i casi di tearing –, si arriva purtroppo a un sonoro decisamente anonimo, con la sola eccezione di alcuni temi proposti in specifiche azioni di combattimento. Spiace constatare come Waking non spicchi per ricchezza di dettagli visivi: molti elementi infatti risultano eccessivamente ricorsivi e di conseguenza noiosi. Ciononostante, pur essendo limitato sul piano contenutistico, Waking riesce a raggiungere traguardi estetici interessanti, ben amalgamati per altro con le finalità narrative a cui il titolo pare ammiccare, contribuendo quindi all’ottimo livello di immersione che si respira per l’intera avventura.

Ciò che personalmente mi ha colpito di questo titolo indie non è in fin dei conti né la direzione artistica, né il concept sulla quale si basa, ma la totale anarchia ludica. Poter importare all’interno del gioco i propri pregi e difetti, compresi i rammarichi e più generalmente i propri sentimenti, ha causato in me una catarsi totale. È sorprendente quanto questo titolo cerchi realmente di coinvolgere la parte più emotiva del giocatore, spesso ricorrendo a domande decisamente inaspettati: qual è la vostra più grande mancanza?

Qualunque saranno le vostre scelte, spero vivamente possiate provare, percepire e ascoltare l’eco che il vostro inconscio emetterà. Riuscirete a svegliarvi?



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